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Anniversario Associazione Amici di Santina Zucchinelli 2024 – Omelia Mons. Pelucchi


DESTINO E DESTINAZIONE
di Mons. DAVIDE PELUCCHI
Vicario generale della Diocesi di BERGAMO

Omelia in occasione dell’undicesimo anniversario dell’Associazione Amici di Santina Zucchinelli, sabato 13 luglio 2024

Quando leggo nei libri pubblicati da don Gigi la cronaca dei suoi viaggi, mi pongo sempre questa domanda: il destino delle persone che lui incontra, persone povere, carcerate, ammalate, umiliate, prive di un futuro garantito, è un destino segnato per sempre? Il destino di queste persone è un destino triste, doloroso, segnato per sempre? Certo, lui porta a nome dell’Associazione degli Amici di Santina, aiuti preziosi; migliora gli ambienti in cui vivono dentro il carcere, fuori dal carcere, nei villaggi africani o in città abitate da migliaia di persone. Certo, testimonia la vicinanza della Chiesa. Ma tutto questo, cambia il destino di quelle persone?
Nell’ultimo libro narra l’incontro con tre giovani di strada, persi nel mondo della droga, con uno dei quali scambia la corona del rosario. Nello stesso libro, poi, narra la vicenda di una ragazza violentata da piccola e che si è buttata a sua volta nella droga, nell’alcol, nella vita di strada dopo una serie di umiliazioni, violenze e delusioni.
Quando io termino la lettura, sento riaffiorare le stesse domande: il destino di questi tre giovani è segnato per sempre? Il destino di questa ragazza è segnato per sempre? È possibile fare qualcosa di più per cambiare il destino di queste persone?
Ma subito dopo essermi posto queste domande leggendo il libro, le domande le riporto a me stesso e penso che possono valere anche per me – mi permetto di dire che possono valere anche per voi che in questo momento siete qui seduti; possono valere anche per le sorelle monache che vivono in questo convento. Il nostro destino, che può essere segnato da rapporti familiari molto sereni o […] o conflittuali o interrotti, il nostro destino che è segnato dai limiti del nostro carattere a volte dolce, a volte burbero, a volte irruento – è segnato per sempre? Il destino della nostra natura, della nostra salute, che a volte sembra avviato verso malattie inguaribili, è segnato per sempre? Dobbiamo solo prenderne atto?
Io non so rispondere a queste domande.
Ma questa sera la Parola di Dio ci dà una risposta. Stasera la Parola di Dio, soprattutto nella seconda Lettura del Vangelo, ci dà un’indicazione, una terapia. Ci invita a convertire il nostro destino in destinazione. Ci aiuta a convertire il nostro destino in destinazione.
Che differenza c’è, tra destino e destinazione? Sono due modi diversi di stare dentro la vita.
Il destino di solito – questo termine può essere usato anche da noi – indica una condizione da accettare, da subire, che non possiamo modificare. Quando parliamo con le persone diciamo: “È il destino, purtroppo!”, oppure: “Bisogna rassegnarsi al proprio destino”, oppure: “È segno che le cose andassero così!”. Queste frasi sembrano dire che esiste un destino misteriosamente deciso che noi uomini non possiamo modificare.
Nel 1862 venne rappresentata per la prima volta nel Teatro Imperiale di San Pietroburgo, in Russia, l’opera di Giuseppe Verdi “La forza del destino”. La forza del destino. Che significato ha, questo titolo? Di cosa parla, questa opera bellissima di Giuseppe Verdi? Quest’opera è ambientata in Spagna, nel Settecento, e narra il destino tragico di due giovani che si innamorano: una ragazza nobile e un giovane mulatto. Nonostante loro siano profondamenteinnamorati, il padre della ragazza non vuole che lei si sposi con un mulatto. E poi, il destino vuole che, senza cattiva volontà, il futuro sposo uccida il futuro suocero. Poi sembrano esserci momenti di riconciliazione, di serenità; poi, di nuovo, finché alla fine si realizza il tragico destino: non potranno mai volersi bene, i due innamorati.
E che titolo ha scelto, Verdi? “La forza del destino”. C’è una forza nel destino che l’uomo, nonostante tutto, non può modificare.

Stasera, invece, la […] che ci dice? Che la vita cristiana ha la capacità di modificare il destino in destinazione.
Cosa intende, con questo termine di destinazione? Lo esplicito con una testimonianza.
Quindici anni fa, il 3 settembre 2009, il vescovo di Bergamo, mons. Roberto Amadei, mi chiese di accompagnarlo in ospedale nel reparto di neurologia perché, dopo aver lasciato la responsabilità di vescovo, aveva incominciato a far fatica a camminare, a volte cadeva … temeva una grave malattia neurologica. Fa una visita di due ore, dettagliatissima, davanti al primario, e poi il primario gli chiede di entrare nello studio e dice la stessa cosa al vescovo e a me – perché io lo stavo aspettando […], e dice, il primario al vescovo: “Mi dispiace dirglielo, eccellenza, ma lei è malato di Sla, e tra l’altro di una forma di Sla che ha un percorso rapidissimo: morirà tra pochi mesi”. Un destino diagnosticato in maniera lucida. Il vescovo ascoltò in silenzio, non fece nessuna domanda, non fece nessun commento e quando lo riaccompagnai a casa, chiese di rimanere da solo per poter offrire al Signore quella situazione. Ma il giorno dopo, lui diede una testimonianza esemplare: decise di cambiare il destino in destinazione. Non avrebbe cambiato il destino della sua vita: sarebbe morto poco più di tre mesi dopo, e lo sapeva lucidamente. Ma quei mesi lì fece un atto d’amore continuo al Signore […] solito passare mattina e pomeriggio a fare visita.

Chi incontra Gesù, non cambia la vita, non cambia la salute, non guarisce da tutte le malattie, non risolve i problemi della povertà e della fame nel mondo, delle violenze e delle ingiustizie: ci sono state, ci sono, ci saranno.
Ma è lo sguardo del cristiano sulla vita che cambia e quindi rende possibile […] la storia anche là, dove ci sono delle limitazioni che vanno a […] da destino a destinazione.
Ce lo ricorda la seconda Lettura con delle espressioni formidabili: “In Cristo ci ha scelti prima della Creazione del mondo, predestinandoci a essere figli adottivi”. E poi, versetto successivo: “Dio ha riversato in abbondanza la sua grazia su di noi per ricondurre a Cristo tutte le cose. In Lui siamo stati predestinati secondo la sua Parola”.
Queste espressioni che in passato sono state motivo anche di grandi discussioni teologiche, non significano che Dio ci ha predestinati fin dalla nascita ad andare all’inferno o in paradiso; vogliono dire che Lui ha deciso di volerci bene già prima che noi nascessimo. E non cambia questa decisione di amarci, al di là della nostra risposta.
Ma se noi accogliamo il suo amore, allora trasformiamo la vita noi, il destino in destinazione, perché diventiamo persone capaci di un atto d’amore.
Questo lo impariamo da Gesù. Man mano che passavano i mesi del suo ministero pubblico, Gesù vedeva chiaramente qual era il suo … destino: cresceva l’ostilità, cresceva la volontà di ucciderlo, cresceva il rifiuto. Negli ultimi giorni, poi, avrebbe potuto scappare,nascondersi, andare via da Gerusalemme: Lui è andato incontro al destino non tanto perché cronologicamente è passato per il Lunedì Santo, Martedì Santo, Giovedì Santo, Venerdì Santo; ma perché ha cambiato il destino in … è come se avesse detto queste cose: “Voi mi sputate in faccia – questo è il destino; ma io vi voglio bene lo stesso – questa è la destinazione. Voi mi prendete […] – questo è il destino; ma io vi voglio bene lo stesso – questa è la destinazione. Voi mi flagellate, mi spezzate la schiena – questo è il destino; ma io vi voglio bene lo stesso – questa è la destinazione. Voi mi coprite la testa con una corona di spine che mi fa sanguinare – questo è il destino, non posso impedirlo; ma vi voglio bene lo stesso e ciò che vi do in cambio, trasformando in amore quello che la Storia sembrerebbe […]”.
Lo stesso il Vangelo: qual era il destino dei pescatori, gli apostoli, sul lago di Tiberiade? Stesse barche, stesso lago, stessi pesci, stessa miseria, stesso destino. Arriva Gesù, e il destino diventa una … destinazione. Perché si sono fidati delle sue parole.

Chi collabora con l’Associazione Santina si prefigge certamente di raccogliere degli aiuti, anche economici, per modificare un po’ il destino di sofferenza di tante persone.
Ma nel fare questo, gli amici di Santina, […] un secondo beneficio, personale, cioè modificare il proprio destino in destinazione. In un’azione che, indipendentemente dalla quantità di offerte che si possono dare, diventa un atto d’amore facendo sì che anche chi riceve non solo avrà un po’ d’acqua, un po’ di pane o un refettorio migliore, ma avrà una speranza nuova.

Termino citandovi la scena di un film che forse avete visto: avete visto i film di don Camillo e Peppone? C’è un film, del ’47, intitolato “Il ritorno di don Camillo”. C’è una scena breve, il testo scritto dallo scrittore un po’ più lungo rispetto a quanto registrato, ma è splendida. La scena è questa: don Camillo ha fatto […] nel suo paese, per cui non andava […]. Allora cosa fa Peppone? Va dal vescovo e dice: “È impossibile avere un parroco così, che va nell’osteria con i compagni comunisti: deve andare via!”. E il vescovo lo trasferisce: lo manda via dal paese […] e lo manda in un piccolo paese di montagna, d’inverno, poverissimo, in una chiesa sguarnita, senza riscaldamento. Dopo due-tre giorni che è su non ce la fa più: gli manca … cosa gli manca? Sentire la voce di Gesù nel Crocifisso. Allora, la sera scenda, va da Peppone e gli dice a Peppone: “Io ho bisogno di avere il Crocifisso di questa parrocchia nella mia chiesa: mi aiuti a portarlo su con il tuo camion?”. Va in chiesa, stacca il Crocifisso dall’altare, lo mette sul camion di Peppone e Peppone lo porta su per la strada finché arriva il camion, e poi c’è tutto da fare la strada a piedi. Si prende il Crocifisso, Peppone gira il camion e don Camillo si incammina – è già notte; poi incomincia a nevicare. La croce pesa moltissimo.
Mentre sale lungo il sentiero che porta alla sua chiesa, Peppone [don Camillo] si rivolge al Crocifisso – la testa di Gesù è vicina alla sua – e gli dice, a Gesù: “Com’è pesante, portare questa croce!” – “E lo dici a me, che l’ho portata in un cammino più difficile e doloroso?”. “Signore – esclama – siete Voi, è la Vostra voce, siete Voi che adesso mi parlate? Come sono contento di sentirVi!”. “Don Camillo, io non ho mai smesso di parlarti, ma tu non mi sentivi perché avevi le orecchie chiuse dall’orgoglio”. “Grazie, Signore: ora odo laVostra voce e qui mi sento bene”. Sale alla sua chiesa, la apre, appoggia il Crocifisso sull’altare, poi si addormenta, stanco morto – morto però […]. La mattina si sveglia e vede, come al solito, la chiesa con una sola persona ad assistere alla Messa: la sua domestica.
E quando si sveglia – “son qui ancora da solo, come le altre volte” – si alza, accende le candele, prepara le ampolline, sta per incominciare la Messa e vede, in fondo alla chiesa – questa scena c’è nello scritto, non c’è nel film – Peppone. Quando era sceso dal camion, don Camillo gli aveva dato diecimila lire per pagare […]; ma Peppone, l’amico, l’aveva seguito di nascosto dietro di lui, era entrato in chiesa, aveva preso le diecimila lire che gli aveva dato e le aveva messo nella cassetta delle elemosine: aveva visto la povertà della chiesa in cui si trovava.
A un certo punto, don Camillo si volta verso il Crocifisso e gli dice: “Gesù, sei dispiaciuto di essere stato portato in questa chiesa così squallida, così povera, così fredda? Ti ho forse fatto del male, portandoti qui, rispetto alla chiesa più bella in cui ti trovavi prima?”.
E Gesù gli risponde: “No, don Camillo, questa chiesa, questa gente, questa parrocchia sono meravigliose!”.
Don Camillo capisce, sorride e impara a trasformare il destino in destinazione.