#VoltiDiSperanza

ROLANDO – N.46 IL LIBRO GRATUITAMENTE


Qui è possibile leggere il n. 46 degli InstantBook della collana #VoltiDiSperanza, ROLANDO

Perché in Africa non si soffre di depressione
Presentazione di Padre Rolando Choc Matzir.
Fraternità Missionaria di Maria

Non puoi rimanere indifferente a ciò che accade in famiglia. Per questo difficilmente soffrono di depressione o di perdita del senso della vita, perché sono sempre insieme alla ricerca del necessario per quel giorno, vivono alla giornata, il presente. Non si preoccupano di cosa accadrà il prossimo mese o l’anno prossimo, combattono solo per la loro sopravvivenza ogni giorno.

Non si può rimanere indifferente a ciò che accade in famiglia: per questo non possono nemmeno cadere in depressione o perdere il senso della vita, perché tutti insieme sono sempre alla ricerca del necessario per quel giorno, vivono alla giornata, per il presente. Non si preoccupano di cosa accadrà il prossimo mese o l’anno prossimo, perché intanto devono lottare per la sopravvivenza di ogni singolo giorno.
Sono nato nel municipio di San Pedro Yepocapa, Chimaltenango, in Guatemala, l’8 maggio 1980. Ho sentito la vocazione al sacerdozio nell’anno 2000 e sono entrato nel seminario della Fraternità Missionaria di Maria a Città del Guatemala. Ho sempre desiderato essere un sacerdote missionario e non diocesano, perché pensavo che essere diocesano significasse rimanere per sempre nella mia città o nel mio Paese; invece, il mio desiderio era di conoscere altre terre dove l’evangelizzazione cristiana non è ancora arrivata, dove cioè si sa poco o niente del nostro Salvatore Gesù Cristo. Ho sentito nel profondo del mio cuore che la Fraternità mi apriva le sue porte e mi dava uno spazio per realizzarmi come persona e come sacerdote. I miei sogni si sono avverati quando sono stato ordinato sacerdote il 28 agosto 2010 perché ho ricevuto una delle notizie più belle della mia vita: i miei superiori mi avevano scelto per andare missionario in Kenya. Il 20 giugno 2011 ho lasciato il mio Paese natale per la missione in Kenya, nel continente africano; nello zaino, nient’altro che alcuni vestiti e pochi dollari, ma il cuore pieno di felicità e soddisfazione – anche se non sapevo assolutamente nulla del luogo dove stavo andando se non qualche storia raccontata dai primi missionari della mia comunità. Il 23 giugno sono arrivato alla missione di Bura Tana, dove ho trovato i miei confratelli sacerdoti: padre José Alberto e padre Ernesto Contreras, con i quali ho vissuto in comunità per circa due mesi. Successivamente sono stato inviato alla missione di Mere, nella diocesi di Malindi. Malindi si trova nel Kenya meridionale, sulle rive dell’Oceano Indiano, dove predomina la tribù Giriama. I Giriama sono una tribù molto povera materialmente ma con grandi sentimenti, costumi e valori – come spiegherò più avanti. È qui che ho vissuto tante esperienze indimenticabili di cui ve ne voglio raccontare alcune. Queste esperienze riguardano il mio lavoro pastorale sia con i cristiani sia con i non cristiani o con persone di religioni diverse. Mi è sempre piaciuto ascoltare gli altri per imparare da loro, soprattutto nel momento in cui ero missionario straniero e nuovo in quel luogo; all’inizio mi è stato molto difficile capirli perché non conoscevo la loro lingua, il kishwahili e il giriama, ma poiché ero molto desideroso di comunicare con loro, conoscerli e capirli, decisi di imparare la loro lingua, in particolare il kishwahili. La mia comunità mi ha dato l’opportunità di frequentare per tre mesi una piccola scuola di lingue a Malindi. Ricordo che all’inizio nelle lezioni non capivo quasi nulla, perché l’insegnante insegnava sì, il kishwahili, ma lo faceva parlando in inglese ed io non conoscevo neppure l’inglese. Non dimenticherò mai, però, che i miei migliori maestri nella conoscenza della lingua e della cultura giriama sono stati e continuano ad essere i bambini della mia Chiesa ed anche fuori di essa. Venivano quasi ogni giorno nella casa dove abitavo per invitarmi a giocare a calcio o a correre in bicicletta o semplicemente a passeggiare per fare esercizio o ad andare a visitare le famiglie, soprattutto gli ammalati che, anche se non capivo bene perché, vedevano i bambini come la loro unica compagnia Per me è stato molto piacevole e mi ha confortato anche spiritualmente. Con i bambini ho imparato che esiste un linguaggio al di là delle parole e dei gesti, quello di accettare l’altro così come è, indipendentemente dalla sua cultura, dalla sua lingua, dalla sua personalità, cioè senza alcuna riserva. Mi sono sempre chiesto: perché mi cercano? Perché si preoccupano dello straniero? Alcuni di loro camminavano per due o tre chilometri sotto il sole cocente per venire a trovarmi, alcuni anche senza scarpe e senza abiti adeguati… e tutto questo dopo la scuola: perché sacrificarsi, senza guadagnarne un centesimo?
Io, con il mio pensiero formato dal cristianesimo, li ho sempre considerati piccoli angeli inviati da Dio per aiutarmi ad adattarmi alla mia nuova realtà di vita; ed era vero, perché poi ho capito che lo facevano solo per aiutarmi a stare bene, considerandomi uno di loro e non uno straniero. Ho imparato ad amarli come veri fratelli. Ogni volta che ne avevo l’occasione andavo a mangiare da loro per condividere il poco che avevo. Mi piaceva sedermi con loro attorno al fuoco aspettando che il cibo cuocesse mentre ci raccontavamo storie: è qui che ho imparato molto da loro. Man mano che aumentava la mia conoscenza della loro lingua ho iniziato anche a capirli meglio e ho scoperto che loro hanno molti valori veramente nobili e degni di imitazione: i loro valori sono cristiani senza che appartengano alla religione cristiana. Tanto per fare qualche esempio: senza appartenere ad alcuna religione, hanno le idee molto chiare sul bene e sul male morale. Ciò si manifesta anche nelle cose più piccole e ordinarie della loro vita, come il rispetto per gli anziani, a cominciare dai genitori, l’unità della famiglia, la condivisione delle loro gioie e dei loro dolori, delle loro conquiste e dei loro fallimenti: se qualcuno ha successo, tutti hanno successo con lui; se qualcuno fallisce o ha un problema, tutti soffrono con lui. Ecco, anche le emozioni vengono condivise. Non puoi rimanere indifferente a ciò che accade in famiglia. Per questo difficilmente soffrono di depressione o di perdita del senso della vita, perché sono sempre insieme alla ricerca del necessario per quel giorno, vivono alla giornata, per il presente. Non si preoccupano di quello che potrà accadere il prossimo mese o l’anno prossimo: lottano per la sopravvivenza di ogni giorno.
E questo vale per tutti gli aspetti della loro vita, anche nelle cose materiali: per esempio, se il cibo è poco, tutti mangiano poco affinché nessuno resti affamato; ma se non c’è assolutamente nulla, quella notte tutti andranno a dormire affamati, perché per loro non è bene che alcuni mangino e altri no; per loro, infatti, la disuguaglianza nella società è l’inizio dei ogni male. Ho vissuto esperienze che mi è molto difficile raccontare, che però sono tutte vere perché avendo vissuto con loro, ho potuto toccare con mano. Quante volte ho visto bambini avvicinarsi alla casa parrocchiale, piangendo, per chiedere un po’ di cibo raccontando che già il giorno prima non avevano mangiato nulla … e questo avviene quasi ogni giorno. Mi si è spezzato il cuore vederli piangere dalla fame, e questa è una realtà quasi generalizzata qui in Kenya, soprattutto nelle zone più remote e abbandonate del Paese. A queste realtà materialmente difficili siamo inviati noi missionari della Fraternità Missionaria di Maria, e queste realtà difficili richiedono da noi grandi qualità umane come la semplicità, l’umiltà, la comprensione, l’ascolto, la disponibilità e anche il sacrificio per gli altri. Ecco perché il nostro ministero sacerdotale qui in Kenya non si riduce ai servizi sacramentali nella chiesa, ma si estende oltre una realtà puramente ecclesiale. I giriama hanno certamente bisogno di essere evangelizzati come molte regioni del mondo, ma prima dobbiamo occuparci delle loro diverse necessità umane. Abbiamo imparato che prima dobbiamo nutrire il corpo e poi possiamo occuparci dello spirito. Quante volte ho sentito i bambini dire che non riuscivano a prestare attenzione alla maestra a scuola o ad ascoltare una bella predica del prete in chiesa, perché avevano fame. Ecco perché qui in Kenya la mia comunità svolge un grande lavoro a favore dei più poveri e abbandonati della società, aiutandoli soprattutto nel campo dell’alimentazione e dell’istruzione. Dopo aver vissuto con loro per tanti anni, condividendo anche le loro diverse esigenze, ho visto molte conversioni. Quelli che si convertono sono i cosiddetti tradizionalisti che non seguono alcuna religione ma semplicemente i loro costumi ancestrali – e sono la maggioranza della popolazione che serviamo. Quando si convertono diventano ottimi cristiani, molto collaborativi e pronti a sacrificarsi per il bene della Chiesa.Nel cristianesimo trovano il coraggio per andare avanti nelle loro difficoltà. A loro piace il messaggio cristiano perché dicono che Gesù certamente ha vissuto una vita di povertà, con tante difficoltà e con tante sofferenze, fino alla morte in croce. Questo dà loro speranza perché – dicono – se Gesù conosce la sofferenza, la povertà e la morte, allora questo Dio può aiutare e avere compassione del suo popolo, Lui che ha vissuto e continua a vivere come uomo in mezzo a noi, soprattutto tra i più bisognosi. ed emarginati. Dicono che il Dio del cristianesimo è un Dio vicino, umano, compassionevole, umile, semplice e di facile accesso, non come gli altri dei pagani. Hanno scoperto che nel cristianesimo tutto ciò che accade nella vita ha un significato, tutto ha una sua ragion d’essere, perfino i momenti più difficili e tristi della nostra vita. Ecco perché nutrono la grande speranza che, nonostante i loro numerosi limiti, possano essere persone migliori, cristiani migliori per una società migliore.
Che Dio Onnipotente ti benedica,
Padre Rolando Choc Matzir.