Viaggi di Solidarietà

QUATTORDICESIMO VIAGGIO DI SOLIDARIETA’: LA PIAGA DELL’AIDS, KENYA 20-28 FEBBRAIO 2016


COMPREHENSIVE CARE OUTREACH MSANBAHA KENYA
Ma fare l’elemosina dev’essere per noi anche una cosa che sia un sacrificio. Io ricordo una mamma: aveva tre figli, di sei, cinque e tre anni, più o meno. E sempre insegnava ai figli che si doveva dare l’elemosina a quelle persone che la chiedevano. Erano a pranzo: ognuno stava mangiando una cotoletta alla milanese, come si dice nella mia terra, “impanata”. Bussano alla porta. Il più grande va ad aprire e torna: “Mamma, c’è un povero che chiede da mangiare”. “Cosa facciamo?”, chiede la mamma. “Gli diamo – dicono tutti e – gli diamo!” – “Bene: prendi la metà della tua cotoletta, tu prendi l’altra metà, tu l’altra metà, e ne facciamo due panini” – “Ah no, mamma, no!” – “No? Tu da’ del tuo, dà di quello che ti costa”. Questo è il coinvolgersi con il povero. Io mi privo di qualcosa di mio per darlo a te. E ai genitori dico: educate i vostri figli a dare così l’elemosina, ad essere generosi con quello che hanno.
Papa Francesco, Udienza Giubilare del 9 aprile 2016

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IL MATERASSO VERDE
La prima volta che giunsi in Kenya era con Santina ed Olinda. Era il trentaquattresimo viaggio di mamma, dopo la sua malattia, dal 23 al 30 ottobre 2011. Aprendosi il portellone dell’aereo la buona Olinda esclamò: sono tutti neri! Se non avessi portato Santina in Kenya, probabilmente in Kenya non ci sarei mai andato, oppure ci sarei arrivato fugacemente. Ogni volta che l’aereo atterra a Mombasa ho la percezione di entrare in un mondo radicalmente diverso non per la pelle nera degli uomini, ma per la radicale miseria in cui si vive. E tale radicale miseria mette ancora più in crisi il benessere dell’europeo e pone inquietanti interrogativi che fanno star male. In Africa si sopravvive con 10 euro al mese, per circa 15 chili di ugali, una farina che molto assomiglia alla nostra polenta. Dieci euro sono la cifra che – nel nostro programma di lotta all’HIV – elargiamo al mese per 13 persone che hanno 50 anni e pesano 39 chili. Sono 120 euro all’anno: quei soldi danno si la possibilità di sopravvivere, ma rinfacciano a noi il benessere che ci fa spendere per una cena la medesima somma, e senza il minino scrupolo! Mi trovo sempre impari di fronte a questo mondo straziante e mi interrogo sempre, ma cosa posso fare io? La Fondazione e la Associazione cercano di fare qualche cosa per loro… ma questi interrogativi fanno bene a me, alla mia interiorità. Ogni giorno che vivo in Kenya cerco di riempirlo di incontri, di riflessione, preghiera e carità. Ho preso spunto da Papa Francesco e nei gesti piccoli imparo a guardare negli occhi il povero. Ricordo un bellissimo testo del Santo Padre che cosi si esprimeva ai Membri del Banco Alimentare presenti in Aula Nervi, lo scorso anno 2015: “Non dimenticate che i poveri sono persone e non numeri, ciascuno con il suo fardello di dolore che a volte sembra impossibile da portare. Tenendo sempre presente questo, saprete guardarli in faccia, guardarli negli occhi, stringere loro la mano, scorgere in essi la carne di Cristo e aiutarli anche a riconquistare la loro dignità e a rimettersi in piedi. Vi incoraggio ad essere per i poveri dei fratelli e degli amici; a far sentire loro che sono importanti agli occhi di Dio”. In questo viaggio di solidarietà ho voluto seguire radicalmente questo consiglio. Ogni mattino prendevo dal mio portafoglio 5000 scellini in piccoli tagli, si tratta circa di 50 Euro italiani e durante la giornata, indipendentemente dal lavoro per la nostra ONLUS, cercavo di capire un bisogno immediato piccolo e alla mia portata, ma del quale farmi carico e per il quale pagare di persona con i miei risparmi, nel tentativo deciso di guardare negli occhi i miei poveri e di condividere con loro un piccolo pezzo di vita. Inizia così la mia scuola che si compone di alcune lezioni. Lezione numero uno: un materasso nuovo per il piccolo Daniel. Daniel, bimbo da noi supportato con adozione a distanza esce dall’ospedale nel pomeriggio del mio primo giorno in Kenya. Il bambino è magro e deperito, non riesce neppure a stare in piedi. La prendo in braccio e attendo pazientemente che Jimmy abbia preso le medicine dalla farmacia dell’ospedale e poi partiamo in macchina… verso il suo villaggio. Almeno in ospedale aveva da mangiare ogni giorno e dormiva su di un giaciglio! Giunti al villaggio ci dirigiamo verso la sua capanna e con la nonna  entriamo. Guardo l’orrenda miseria che ben conosco e di tutto mi colpisce il materasso di gommapiuma lercio, maleodorante e ridotto a brandelli. Jimmy si volta e mi dice: “Padre, guarda dove dorme il piccolo”. Mi indica nel buio della capanna fatta di frasche l’angolo nel quale la notte dorme la nonna, Daniel ed i 4 fratellini. “Don gigi qui occorrerebbe un materasso nuovo!” Ecco la mia lezione, il maestro Jimmy mi interroga ed io cosa rispondo davanti a tale semplice e piccola domanda? La posso ignorare stando zitto, posso rispondere con buone maniere: hai proprio ragione e non fare nulla. Posso rispondere, bene Jimmy ne parlerò al Direttivo e dirò di comperare; naturalmente con i soldi degli altri… oppure usare i miei soldi e risolvere io quel piccolo problema. Ecco la mia medicina per oggi: “Jimmy andiamo subito a comperare!” Davvero Don gigi? Andiamo subito allora. Saltiamo in macchina e dopo un’ora siamo di ritorno con il materasso nuovo e pulito. Non risolvo il problema della povertà e potrebbe essere anche una presa in giro, ma… Papa Francesco mi dice di guardare negli occhi il mio Daniel. Me lo devo ricordare bene quando lo vedrò. Il materasso è verde; giungiamo alla capanna mentre la nonna è dai vicini, un piccolino scappa via in pianto a motivo della mia pelle bianca che lo spaventa. Da dietro la capanna appare lui poverino, Daniel. E’ pallido perché il forte antibiotico lo ha molto debilitato, trascina i suoi piedini: sembra felice di essere tornato a casa e mi guarda con meraviglia. Apriamo la macchina e togliamo il materasso di una piazza e mezza. Appena lo vede il bimbo esclama oohh: è colpito dal colore verde. Non ha ancora capito cosa sia. Lo depositiamo vicino alla macchina, entriamo nella capanna e togliamo quel lercio residuo di materasso maleodorante. Sulle prime il bimbo non vuole. Jimmy lo prende in braccio e lentamente parla: “Don gigi ti ha fatto un bel regalo, questa notte dormirai più comodo: è un materasso nuovo e verde, ti piace? Il viso del bimbo si accende. La meraviglia si confonde sul suo volto con un grande sorriso e le sue manine applaudono felici. Contemplo la scena che costituisce un forte antibiotico spirituale alla mia stupidità interiore. Il bambino capisce che sto guardandolo divertito, scende dalle braccia di Jimmy e lentamente, con fatica muove i suoi passi verso di me. Mi preparo, recito in fretta una preghiera allo Spirito Santo, Daniel è a due metri da me. Lo guardo negli occhi con calma e a lungo. Forse il mio sguardo lo intimorisce, poi la sua riservatezza lascia il posto alla confidenza. Si avvicina ancora, allungo le braccia e prendo tra le mie mani il suo faccino, nero nero. Il contrasto tra il nero del suo volto ed il bianco delle mie mani è forte come forte è l’emozione nel mio cuore. Il bambino è ancora fragile, debole e vive in una radicale povertà. Lo fisso intensamente negli occhi, sono grandi e il bianco delle pupille è molto forte. Ho perso le parole, il sole illumina il suo viso e me lo rende bello come quello di un angelo, un angelo nero bellissimo. Mi specchio in lui e lui sorride, lentamente le sue labbra sorridono, mentre il muco scende dal suo naso, postumi di una brutta polmonite non del tutto guarita. I suoi occhi mi trafiggono il cuore e la sua vocina mi dice sommessamente: Grazie muzungo! Grazie Gigi! Il tono della voce infantile e la dolcezza della lingua kiswahili mi incantano, il bambino esercita su di me con la sua povertà un grande fascino e un profondo rispetto. Lo guardo con ammirazione e rispondo a lui, sempre tenendolo tra le mani: “Daniel oggi tu mi hai stregato, mi hai incantato: ti voglio bene”. Con le mie mani asciugo il muco dal suo nasino. Vicino vi è una lurida scodella di acqua, metto la mia mano nell’acqua e con cura ed attenzione detergo quel volto sofferente. Lo pulisco bene, scrupolosamente, ed il bimbo si lascia fare, quasi avvertendo delle dolci coccole in quelle premure. Tolgo dalla tasca il mio fazzoletto candido e profumato di bucato e asciugo Daniel. Daniel prende il fazzoletto bianco, che sembra essere ancora più bianco tra le sue manine e lo stringe forte a se ed in modo compulsivo lo riempie di baci quasi a ringraziarlo di averlo pulito. Poi mentre tiene nella manina sinistra il fazzoletto bianco, con la destra mi da una carezza lenta e dolcissima…ed è lui al sole, con il volto splendente a fissarmi in modo profondo, i suoi occhi riflettono il sole e sono pieni di luce, due piccoli diamanti. Mi da la sua manina e mi accompagna alla macchina. Non ho il coraggio di chiedere il fazzoletto che tiene stretto nella sinistra come fosse un prezioso trofeo. Dai vetri della jeep saluto Daniel e prometto a lui di passare la sera seguente a salutarlo. La notte sta scendendo, ma nel mio cuore i due occhietti di Daniel continuano a emanare una forte luce, quella luce di cui Papa Francesco aveva parlato implicitamente nel suo discorso, quando raccomandava di guardare i poveri negli occhi: “Non dimenticate che i poveri sono persone e non numeri, ciascuno con il suo fardello di dolore che a volte sembra impossibile da portare. Tenendo sempre presente questo, saprete guardarli in faccia, guardarli negli occhi, stringere loro la mano, scorgere in essi la carne di Cristo e aiutarli anche a riconquistare la loro dignità e a rimettersi in piedi.

COMPREHENSIVE CARE OUTREACH MSABAHA, KENYA
QUINDICI CHILI DI UGALI
Una delle gravi piaghe che esistono in Africa si chiama AIDS. All’AIDS si arriva attraverso la strada dell’HIV, dell’essere sieropositivi. Sulle coste del Kenya vi sono più di 26.000 casi di persone sieropositive e non sempre la causa è la promiscuità sessuale: tale piaga contagia molti bambini, che nascono così perché la madre era sieropositiva. Essere sieropositivi non significa immediatamente avere AIDS, con opportuni famaci si può vivere a lungo una vita normale, ma occorre anche una corretta alimentazione. Cosa succede in Kenya? Il Governo offre gratuitamente i farmaci alle persone sieropositive, ma… quello che le persone non hanno è il cibo equilibrato. Non hanno da mangiare, ma hanno i farmaci, e così sembrano tenuti in vita per… morire di fame. E’ facile trovare giovani, ragazzi e ragazze sieropositive che assumono i farmaci, ma non hanno da mangiare e così sembrano degli zombi che camminano, magri, provati e… avviati a morte certa. In un precedente viaggio avevo conosciuto James, morto all’età di 11 anni di AIDS. In questo viaggio incontro invece Waziri. In questo 14mo viaggio la nostra attenzione si focalizza sulla cura dell’AIDS e chiedo a Jimmy di farmi incontrare casi di malati. Inizia così la litania dei nomi e delle famiglie visitate con Jimmy, per dare impressione e per farvi toccare con mano, come è avvenuto a me, che l’AIDS e l’HIV esistono in Kenya: non sono una categoria sociale, ma sono persone reali. Come reale è la signora Nievo Chano che ha 50 anni: la trovo sdraiata sulla stuoia della misera capanna, ha la febbre alta e gravi problemi respiratori, ormai è AIDS conclamata, lei ha 7 figli e 4 nipoti, e… ha il sacchetto di pastiglie, ma non ha da mangiare. Poi incontro Zauadi Charol, lei è una dona più giovane: ha 24 anni con 4 bambini è HIV, magrissima, sottoalimentata con le sue pastiglie, ma senza niente da mangiare nella capanna. Arrivo poi alla capanna di Damag Naru, una donna sposata, il cui marito è fuggito e le ha lasciato in regalo l’HIV, ha 4 figli, con le sue pastiglie, ma né lei né i bambini questa sera mangeranno… i nomi e le storie si susseguono, sono tutte riportate scrupolosamente in un file nei miei archivi. Incontriamo così Belina Charo che ha HIV, sposata ma il marito non aiuta, anzi è un peso con 5 figli, sieropositiva, con le sue pastiglie, ma senza cibo. E poi vi è Margaret Siddi di 27 anni, il marito è morto e lei è sieropositiva ha tre bellissimi bambini e per vivere compie lavori saltuari e molto duri: lava la biancheria oppure lavora in una cava di pietra. I suoi figli sono Erik di 14 anni, Pamela di 13 ed il piccolo Alfred di 6 anni. Anche lei è sieropositiva, denutrita e indebolita dal pesante lavoro. Respira male e a fatica: anche lei toglie dalle tasche le pillole, ma non ha nulla da mangiare poverina. Sono tutte case piene di pastiglie e vuote di cibo. Come scrivevo in Opere di Luce, sembra uno scherzo demoniaco quello di far vivere le persone con i farmaci, ma per farle morire di fame! In questo nostro viaggio nel mondo dell’HIV, nel triste mondo dei sieropositivi, Jimmy mi conduce alla capanna di Waziri. Waziri è appena uscito dall’ospedale dove era stato ricoverato per polmonite. Il ragazzo ha 17 anni ed è sieropositivo. Respira male è rimasto ancora il respiro affannato della polmonite non completamente risolta. Mi colpisce perché è molto magro, è a dorso nudo e dalle braccia e anche dalle gambe sono spariti i muscoli e lo scheletro si individua bene sotto la pelle. Non peserà più di 28 chili. Il ragazzo sembra ancora più magro perché è alto. Mi avvicino e lo saluto, parla uno stentato inglese, i due occhi sono resi ancora più grandi dalle guance scavate e vuote dalla fame. “Padre, sono sieropositivo, non ho la forza di fare lavori dopo la brutta polmonite che mi ha colpito. Sono tornato nel mio povero villaggio e non mi sento bene; nella mia capanna non abbiamo cibo e… non so quale sarà il mio futuro! Mi guardo attorno nella capanna vestita di povertà: gli stracci appesi al muro fatto di fango sono lerci e pieni di buchi, il fumo del fuoco rende l’aria irrespirabile, una pentola di acqua bolle non si sa per cucinare che cosa. Jimmy mi guarda  e mi vede assorto nei miei pensieri. E in modo diretto, guardandomi negli occhi mi dice: “Sai quanto denaro ti chiede ora, questa sera Waziri per vivere una mese?” La domanda diretta di Jimmy la sento come irrispettosa, anche sfacciata e subito la giudico male nel mio cuore. Ecco il mio pensiero: “Ma tu guarda questo… mi porta qui e poi? Ti chiede soldi! Lo immaginavo… ma che impertinente questo Jimmy, ma come si permette! Potrei non avere in tasca alcun denaro…e poi se cominciamo così, mica posso sfamare tutto il Kenya. Mentre freddo formulo il mio pensiero Waziri mi fissa profondamente negli occhi. Alzo lentamente la fronte china sui miei fogli di carta bianca dove sto appuntando i miei incontri e guardo negli occhi di Waziri… lentamente arrossisco. Quello sguardo sembra scrutare i miei pensieri e leggere nel mio volto diffidenza e chiusura. Divento rosso in volto e per noi bianchi il rossore è ancora più evidente per i neri. Jimmy mi dice: sei diventato rosso? La sua domanda produce l’effetto inverso della prima e entra nella mia mente in modo tagliente. “Si Jimmy sono diventato rosso e forse questo rossore delle mie guance curerà la mia idiozia. Appena mi hai fatto la prima domanda mi sono indispettito, ho pensato: che insolente, ma cosa vuole! Poi lo sguardo di Waziri… e nella mia testa i pensieri che avevo formulato si sono sciolti. Jimmy non ho in tasca molto, ma dimmi quanto occorre per dare cibo per un mese a Waziri?” Penso ai miei 5000 scellini in tasca (circa 50 euro) e dubito che possa campare più di… una settimana? Forse quattro giorni. La risposta arriva come un pugno forte, nello stomaco. Come la lama del coltello che ti taglia sul braccio sinistro e la cui sutura costa 20 punti, come una pietra che ti arriva in testa e spacca il cuoio cappelluto. Don gigi Waziri campa con 1000 scellini al mese. Mille scellini al mese. Mille scellini al mese! Tre volte me lo dice Jimmy. Me lo dice in un orecchio per non farsi sentire: ma a me appare un tuono nella testa. Gli occhi mi diventano lucidi, mi vergogno e nel cuore nasce una preghiera: “Signore Gesù abbi pietà di me peccatore! Signore Gesù abbi pietà di me peccatore! Signore Gesù abbi pietà di me peccatore! Tre volte lo scandisco. Mentre Jimmy mi suggerisce: “Padre usa i soldi della Associazione e accontenta questo ragazzo malato ed affamato!”
Ecco la sottile tentazione del diavolo, che sempre è all’opera quando tentiamo di fare del bene. Lucifero non ci fa paura, ma ci seduce, ed il povero Jimmy da angelo del paradiso con la sua prima domanda di fuoco, con questo suggerimento innocente diventa una tentazione. Infatti ora ho una via di fuga; posso rispondere: certamente attingo al conto della Associazione! Tutti saranno contenti sono soldi dati per un fine buono… io farò la mia bella figura con Waziri, Jimmy e può darsi anche con la mia Associazione e al tempo stesso salverò i miei 10 euro, si perché alla fine si tratta solo di 10 euro. Ecco la meravigliosa soluzione! E per blindare la mia coscienza dico a me stesso …e questi 10 euro li tengo per un altro caso più duro e difficile! Tutto perfetto, ma tutto luciferino e demoniaco, assolutamente intelligente, ma totalmente fuorviante. Fermati Gigi! Discerni con attenzione questo ragionamento non viene da Dio. Non si tratta di mille euro, ma di soli 10 euro che tu hai già in tasca, te li eri messi questa mattina per …la tua scuola di condivisione. Non ti viene richiesto molto, ma poco. E poi nessuno ti chiede di sfamare tutta l’Africa e poi… questa sera quale caso più duro di questo troverai? Non sei chiamato a sfamare l’Africa, ma Waziri questa sera e non è chiamata l’Associazione, ma sei chiamato tu. Ora alle 18.30 di sera del 22 febbraio 2016 a Msabaha con i tuoi 10 euro in tasca. Come potrai aiutare grandi progetti di solidarietà… se non sei in grado di dare 10 Euro? Non sono più rosso in viso. Waziri mi sorride, non ha distolto i suoi occhi dal mio volto durante le manciate di parole scambiate con Jimmy in pochi secondi. Mi sento ridicolo, l’Africa questa sera mi ha guarito. Metto le mani in tasca ed estraggo i mille scellini li pongo nelle nere mani del ragazzo sieropositivo, il quale fugge via. Jimmy mi fa sedere su un pezzo di tronco fuori la capanna. La sera è meravigliosa nel villaggio, i fuochi si stanno accendendo nei focolari fuori dalle capanne… Jimmy mi parla del villaggio, le donne e i bambini mi salutano festosi al loro passaggio: Jambo! E proprio dal fondo del villaggio vedo riapparire dopo una mezzoretta Waziri… torna da me con un pacco pesante che mi mette ai piedi: sono 15 chili di farina di ugali, la polenta africana. Il giovane magro mi dice: “ Don gigi sono 15 chili di farina, in un mese, potrebbe bastare per me… con mezzo chilo di ugali al giorno potrei sopravvivere, come tanti di noi vivono in questo villaggio, in cui l’HIV abita in quasi tutte le case. Ma siamo cinque in famiglia e io dividerò questo regalo con loro: sono tre chili a testa e per una settimana potremo tutti mangiare. Tieni… ti ho portato la ricevuta mettila in tasca e non dimenticarti di noi. Il ragazzo allunga il braccio magro e mentre lo fa scorgo accentuate tutte le articolazioni delle ossa coperte solo dalla pelle, la mano scarna mi porge un pezzo di carta, è una piccola ricevuta. Il gesto semplice mi commuove, prendo il pezzo di carta lo guardo e lo metto con cura in tasca. Il ragazzo mi abbraccia con infinita dolcezza. Mentre lo stringo a me sento il rantolo dei suoi polmoni, sento tutte le sue costole e mi domando, ci sarà ancora quando tornerò? Lo lascio con una carezza al suo volto magro e malato. Salgo in jeep e mentre Jimmy accende il motore saluto dai finestrini Waziri e metto la mano in tasca, con calma estraggo la ricevuta, la accarezzo e la bacio. Jimmy mi vede e mi dice… “Padre questa sera sei stato grande hai fatto un bel regalo a quel ragazzo e lo hai fatto con i tuoi risparmi!” “No, Jimmy ti sbagli Waziri mi ha fatto un grande regalo: mi ha mostrato tutto il suo cuore dividendo in cinque il suo cibo per un mese…e questa ricevuta che tengo in mano, la metterò nella mia Bibbia insieme alla ricevuta del materasso verde di Daniel: sono per me una reliquia, la reliquia di una povertà dignitosa nella quale si nasconde la carne di Gesù…” mentre termino il mio discorso con devozione bacio il foglietto bianco e dico a Jimmy: “Ora possiamo tornare a casa felici!” E la jeep si addentra per il sentiero nella magia di un’ Africa piena dei colori della sera.

UNA CURA PER HIV FUORI DALL’OSPEDALE
La quarta giornata di questo viaggio è stata particolarmente impegnativa ma molto costruttiva. Dopo aver parlato Waziri è importante parlare di cose concrete per la nostra ONLUS, per non dare l’idea ai ben pensanti che stia facendo una sorta di turismo missionario in Kenya. Chi pensasse in questo modo si sbaglia di grosso. Msabaha è una parrocchia lontana diversi chilometri da Malindi. In questa regione vi è forte presenza di HIV, come abbiamo visto,  che si trasforma frequentemente e rapidamente in AIDS. La gente affetta da HIV riceve dall’ospedale di Malindi gratuitamente medicine, ma la povera gente non ha denaro per andare a Malindi e quindi spesso i poveri non hanno acceso a queste costose cure. Con Jimmy abbiamo pensato di pagare un medico, un infermiere, un nutrizionista ed un farmacista perché possano venire una volta al mese ad incontrare e visitare i pazienti sieropositivi e quelli che già vivono nella morsa dell’AIDS. Convinti della bontà del progetto che già aveva visto la sua nascita quattro anni fa, ma che poi non era stato sviluppato per mancanza di mezzi, oggi siamo andati da padre Hilary, il parroco responsabile della Missione, per ricevere la sua approvazione ed avere indicazioni su dove porre il nostro logo associativo. Padre Hilary immediatamente acconsente e allora di corsa all’ospedale. Parliamo con la signora responsabile del reparto che cura l’AIDS e chiediamo a lei cosa ne pensa. Lei dice che è un bel progetto ma che deve essere sottoposto al direttore generale del settore che cura l’AIDS. Prendiamo appuntamento per la mattina seguente alle ore 9. Poi andiamo a far stampare su tela plasticata resistente all’acqua il nostro logo Associativo che verrà esposto nel luogo delle visite mensili. Torniamo da padre Hillary che ci chiede di parlare con la suora addetta al dispensario per coinvolgerla. La suora risponde prontamente di si.
Sto raccogliendo tutti gli elementi, poi vorrei con un giro di telefonate whathap  e chiedere autorizzazione al Direttivo ed inaugurare tale attività in questi giorni. Si tratta di una attività semplice ed umile, ma di grande portata sociale ed umana. Abbiamo fiducia che le cose andranno per il verso giusto anche se aprire questo ambulatorio ci fa venire i brividi e ci pone l’inquietente interrogativo che avevo sperimentato sulla mia pelle nell’incontro con Waziri. Dunque: noi paghiamo un dottore che venga a somministrare costose cure perché i poveri non possono permettersi neppure il viaggio a Malindi! Il ragionamento sembra filare… Ma invece? Invece si genera una seconda domanda, ma se si danno costose medicine senza fornire una semplice alimentazione questa non è perfida contraddizione demoniaca? Io penso di si. Questi bambini, giovani e donne hanno nella loro mano sinistra le costose pastiglie contro AIDS, ma nella mano destra stringono il vuoto di una vita disperata lontana dai canoni della sopravvivenza? Che fare? Sottopongo la provocazione a Jimmy e chiedo: hai un elenco di malati HIV che vengono a Masabaha? Il giovane mi risponde: “Si don gigi sono circa 50 persone” e… “continuo io: quanti sono denutriti?” Per denutriti pensiamo a persone che pesino meno di 39 chili: essi vanno alimentati. Jimmy mi dice che sono circa 13 persone. Immediatamente dico a lui, la lezione di ieri sera mi è molto servita. Ascolta con 10 euro garantiamo sopravvivenza per un mese, significa che con 120 euro possiamo garantire la sopravvivenza per una anno, è corretto? Certamente si! Dunque con la simbolica cifra di 1560 Euro possiamo far partire un iniziale progetto di alimentazione, vero? Il giovane felice mi risponde di sì. Sono giorni frenetici, torniamo all’ospedale e ci viene consegnata la lettera di accordo per il team medico una volta al mese a Msabaha a spese della Associazione. Con quella importante lettera vado ad incontrare il Vicario Generale e chiedo la sua approvazione. Il Vicario è felice e mi risponde con grande gioia si e che riferirà tutto al Vescovo Mons. Barbara. Bene ora abbiamo tutto pronto e possiamo ritornare alla Parrocchia di Msabaha: abbiamo l’accordo con l’ospedale, abbiamo il permesso del Vescovo , di Padre Hilary  e della suora del dispensario, non ci resta che preparare l’accordo per la gestione della iniziativa e cosi la sera in una cerimonia semplice e senza fronzoli di sorta, il venerdì sera 26 febbraio firmiamo Padre Hilary per la diocesi, Kristina per il centro Ushirikiano che seguirà per noi in loco l’iniziativa ed io e Jimmy e Doreen per la nostra Associazione. Nasce così questa piccola e semplice attività che speriamo di trasformare nel giro di un paio di anni in un ambulatorio specialistico per la cura dell’AIDS. Il vecchio padre cappuccino, mi prende in disparte e mi dice: “Don gigi, le altre ONLUS per giungere ad accordi come questi, vengono 2-3 settimane in 6-7 persone. Tu sei venuto da solo ed in 5 giorni sei riuscito a strappare un accordo scritto all’ospedale, a comunicare il progetto al vescovo e a firmare con noi accordo: congratulazioni vivissime. “Padre Hilary, non fare a me congratulazioni, ma alla Santina che dal cielo segue le nostre opere di luce e che con la sua preghiera ci permette di realizzare cose piccole, ma che da soli mai avremmo potuto realizzare.”

L’ OSPEDALE GOVERNATIVO DI MALINDI
JULIUS
Il caldo umido rende il clima della corsia dell’ospedale pesante, sono tutto sudato. La nonna magra e consunta dagli anni sta imboccando il piccolo Julius. Lui è epilettico, il sistema nervoso è totalmente compromesso da questa malattia ed il ragazzo ora ha anche una grave polmonite. La nonna si sforza di far ingoiare al ragazzo di 13 anni, ma che sembra averne 3, alcuni cucchiai della polenta locale chiamata ugali. È molto diluita e sembra una crema. Il bambino non riesce ad inghiottire e così il suo faccino intrappolato in una morsa di nervi si sporca tutto e sporca la nonna ed il panno che lo avvolge….la nonna prova ancora, questa volta il bambino tossisce forte forte e muove tutto il catarro che imprigiona il respiro… Non ci riesce rantola, espelle il catarro con un colpo forte di tosse… Sembra essersi liberato, ma ecco il vomito.

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Una scena straziante, la nonna con le dita pulisce la bocca dal catarro e dal vomito. Io assisto attonito, cerco di aiutare, prendo il lenzuolo lurido e puzzolente e cerco di pulire il suo faccino. Mi torna in mente Santina la difficoltà ad inghiottire, il rantolo del catarro ed il frequente vomito che trasformava i suoi dolci occhi in occhi rossi e pieni di lacrime. Il ragazzino nero mi ripete la stessa scena, sembra un copione scritto per tutti gli uomini quello della sofferenza, in tutte le latitudini del pianeta. Dopo averlo pulito lo sollevo in braccio e qui un tuffo al cuore. Julius è magro! Quante volte spot televisivi propongono bambini denutriti e magri… Ci siamo abituati diciamo: poverini e voltiamo pagina. Non avevo mai provato questa sensazione. Senti le ossa, non esiste la carne, il sederino non esiste e senti nelle tue mani le ossa dure e spigolose, che ti distruggono dentro. Peserà non più di nove chili, il peso dello scheletro, ossa sporche di vomito e catarro, ossa spigolose che sono coperte solo dalla pelle. Occhi grandi e vuoti pieni solo del bianco delle pupille che forte risalta sul nero della pelle. Perché? Quel piccolo scheletro vivente urla la sua fame, la sua miseria e chiede dignità. Qui non possiamo dire che Julius sia la carne di Gesù, dobbiamo dire che Julius può assomigliare e rappresentarci le ossa di Gesù. La miseria di tanti di questi bambini non è neppure possibile paragonarla alla carne di Gesù. Sono in Africa da poche ore e già in questo ospedale dove incontro bambini con malaria, AIDS, polmonite, con ferite profonde causate da una vita che non riceve sufficienti protezioni dai genitori e dai grandi ma forse sfruttamento ed umiliazione, ricevo una formidabile provocazione che spezza facili equilibri spirituali che si tengono lontano dal catarro dal vomito, dalla fame e dall’ugali diluito in crema. L’incontro con questi piccoli malati chiede un severo esame della propria interiorità che tante volte è avvelenata da superficialità, ricchezza, piacere, da futilità di ogni tipo. Sono uscito dall’ospedale profondamente pensieroso e con nel cuore il forte desiderio di rinnovare me stesso. Un viaggio meraviglioso che recupera parti profonde di me stesso sfuggite al controllo e chiede un severo impegno per gli altri, per queste ossa di Gesù che non hanno alcuna parvenza umana ma che in se hanno il guizzo di Dio, di quel Dio pazzo di amore capace di morire in croce per noi. Questi piccoli crocifissi sono un potente e formidabile richiamo ad una quaresima vissuta alla riscoperta solo di Gesù e di una  vita che abbia il coraggio di liberarsi di tutto per essere autentica nella Sequela di Cristo. Bacio Julius non è una bacio solo, mi ha preso di brutto… Lo riempio di baci come facevo con Santina, bacio la faccina sporca di vomito e catarro, le braccine fragili come grissini, le manine anchilosate dalla malattia. Lo vorrei portare via… Porto via di lui il suo odore, la sua puzza, perché nel frattempo il bambino si è sporcato, ma quella puzza che respiro a pieni polmoni mi fa bene, è forte quella puzza, mi scuote è un forte ceffone che brucia tutta la mia stupidità. Prego nel profondo del mio cuore e mi metto in adorazione di quella manciata di ossa… Prego davanti a lui e chiedo a Julius di proteggermi con la sua sofferenza dalla mia stupidità. Jimmy mi chiama dobbiamo andare a visitare una ragazza che sta morendo di AIDS, un bambino con la malaria ed una donna che ha appena partorito un meraviglioso bambino. Lentamente tocco Julius, faccio il segno di croce davanti a tutti e proseguo la mia visita all’ospedale. Sulla maglietta segni di vomito e catarro, reliquie infette che producono risurrezione in me, ma che una dolce infermiera mi dice che devo pulire per non avere contagio della polmonite.

ETHAN
Mentre scrivevo il diario, non sapevo che Ethan sarebbe morto il 15 aprile 2016. Purtroppo, in seguito a gravi complicazioni per gli interventi chirurgici il piccolino non ce l’ha fatta. La sua scomparsa lascia in ciascuno di noi amaro in bocca perché avevamo fatto gli auguri di Pasqua, proprio promuovendo un breve video con Lui e la sua mamma. Abbiamo in cielo un angelo in più che insieme a Santina prega per noi. Dopo la morte di Santina il primo lutto dell’Associazione è stato quello di Silvano Ceravolo, il medico che aveva curato Mamma morto in modo tragico all’età 80 anni il 10 gennaio 2015. Dopo di lui invece vi è una serie di 4 bambini. Iniziamo dal Vietnam dove Huu Tung è morto  prematuramente in seguito alle malformazioni che aveva in se dalla nascita il 1 giugno 2015. Poi il 13 ottobre dello scorso anno 2015 è morta assassinata la piccola Bruna di 9 anni a Salvador De Bahia in Brasile. In seguito è stata la volta di James, che aveva ormai AIDS conclamato e che si è spento come un lumicino l’ 11 gennaio 2016, ora è la volta del piccolo Ethan, morto come abbiamo detto il 15 aprile 2016. In cielo dunque abbiamo sei angeli che pregano per noi. Ethan era nato il 20 ottobre 2013, erano due fratelli di cui il più grande di 10 anni si chiama Elvis. La mamma Doris ha trentatré anni, mentre il padre Wilson ha trentasette anni e lavorano in un negozio di alimentari. 

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Me ne avevano parlato, avevamo valutato, viste tante fotografie….ma trovartelo davanti con quel piede deforme e grande più di cinque volte l’ altro piedino ti ammazza! Tutto diverso, forse perché sono un passionale ed ho bisogno di toccare, palpare, pesare con le mani… Avere tra le mani quel fagotto di carne che fai fatica a considerare un piede ti confonde, ti mette il capogiro. Il primo istinto è quello di togliere lo sguardo mentre la mamma Doris con infinita dolcezza ed attenzione toglie al bambino l’enorme calzino che vela lo scandalo della deformità. L’enorme alluce si sta infettando da una ferita vicina a quello che è una parvenza di unghia. Faccio forza su me stesso e dolcemente prendo il piede deforme. È pesante, è grande, non ha forma, fa veramente ribrezzo. Ma proprio in quel ribrezzo devo scavare per trovare il significato più vero di questa deformità . L’enorme piedi cattura tutta la mia attenzione per alcuni minuti: lo tengo in mano, provo repulsione, poi invece sono attratto. Tutto il mio sguardo e le mie mani sono rivolte al piede sinistro di Ethan, poi improvvisamente inizio a rendermi conto che anche le dita delle mani sono deformi, due dita sono smisuratamente più grandi delle altre. Il bambino piange, sente dolore al piede e prova paura di me muzungo, uomo bianco, che non ha capito perché c’è l’abbia con il suo piede. Ethan mi guarda ha gli occhi pieni di lacrime, dalle mani deformi finalmente il suo viso sofferente inizia ad essere visibile alla mia mente passionale turbata dall’enorme piede deforme e dalle grandi dita delle due mani. Il volto di Ethan è rigato da grandi lacrimoni. Torno a guardare il piede martoriato da cicatrici di precedenti interventi. Quel piede diviene provocazione, il mondo scarta quel piede, lo considera uno schifo e dunque si prova compassione e con un sonoro POVERINO tutto finisce. Si è conclusa anche la mia visita ad Ethan ed il rischio è quello di trasferire terapeuticamente per me nello scritto quel miscuglio di emozioni e considerazioni che mi sono frullate in testa. No non voglio dimenticare Ethan e la foto del suo piede deforme mi chiede se il metro di misura della mia vita è quello dell’ efficenza, della forza, del potere oppure come dice Papa Francesco il metro di giudizio deve essere proprio lo scarto. Quel dolcissimo bambino con il suo piedone scandalizza, ma il crocifisso scandalizza di più . Un dio crocifisso non si riesce ad accettare, a meno che attraverso Ethan inizi ad accettare che proprio nella deformità e nella persona sfigurata Dio si manifesta di più, con forza ed evidenza. ‘NOn ha bellezza ne piacere uomo sfigurato che ben conosce il patire” così le scritture ci parlano di Gesù. È proprio il ricordo di questa frase che mi fa esplodere in una forte affermazione interiore… Signore Gesù abbi pietà di me peccatore! Mi morsico la lingua fino a farla sanguinare, mi inginocchio e bacio quel piede, lo bacio dove vi è infezione, lo bacio dove puzza ed il risultato è quello di sentirmi come quando mi confesso il venerdì dal cardinal Comastri. Sento pace nel cuore, sento che quel gesto mi ha purificato la bocca come i tizzoni ardenti sulla bocca dei profeti del l’antico testamento. Quel bambino piccolo e con il volto pieno di lacrime è stato capace di purificare le mie labbra immonde ed il mio cuore impuro. Baciare coloro che il mondo scarta significa baciare Gesù. È per me una grande medicina, dell’ incontro con Ethan in questa sera ricordo solo questa grande pace che ho provato nel dare un bacio alla sua deformità e nel considerarla forza di Dio. Questa giornata africana si conclude in un impasto di stanchezza, sole che mi ha bruciato la testa pelata, polvere e lacrime… Ethan è solo uno dei tanti incontri di questo giorno africano vicino a lui vi è Nekesa ed Albert, vi è Waziri, vi sono intere famiglie con AIDS e poi vi sono i poveri che mangiano gli scarti delle galline : testa, interiora e zampe… Vedere un bambino che succhia le interiora di un polo e che poi le mangia non riesco a descriverlo in questa notte africana , ma c’è l’ho stampato nel cervello è una ferita, una cicatrice che presto esploderà in un nuovo racconto inzuppato di miseria

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GK PRISON MTHANGANI
Dipingere l’inferno, così si potrebbe definire il viaggio nelle prigioni del terzo mondo, dal Perù al Kenya. Disastri terribili dove l’umanità viene piegata e spezzata. Varchiamo la porta principale… Siamo in cinque. Il soldato responsabile dell’ ingresso si sta facendo lustrare le scarpe da un detenuto… A differenza del Perù una divisa a strisce bianche e nere esiste. I carcerati condannati in via definitiva indossano quella, mentre coloro che attendono giudizio una di colore grigio. Il caldo è umido e soffocante. Il carcere è diviso in alcuni squallidi dormitori in cui sono ammassati i prigionieri. Nel caldo incredibile il sovrappopolamento rende l’aria acida: l’acre e forte puzzo di sudore diviene un forte tanfo irrespirabile. È il momento centrale del viaggio… Una marea di disperati ci attende con i grandi occhi aperti, con loro preghiamo e parliamo prima di dirigerci al carcere femminile attiguo. La prigione è una completa desolazione i muri sono luridi, la biancheria ammassata nel camerone puzza, i materassi sono lercia gommapiuma. Al centro di questo squallore campeggia una grande calendario. Il calendario è il vero signore del carcere. Tutti gli occhi sono puntati su di lui in attesa di una data, quella della libertà che tarda a venire. Sono molto partecipe e seguo ogni istante della mia visita al carcere, non voglio perdere neppure un secondo di questa esperienza di misericordia. Inizio lo stesso discorso che avevo svolto nel carcere peruviano e le risposte non si fanno attendere: Patric narcotrafficante, james violentatore e dominic ladro decidono di attraversare con me la porta santa della grande cella. Questa volta il breve video esiste ed è il più bel ricordo di questo viaggio in Kenya. Attraversare quella squallida porta santa del carcere in compagnia di tre delinquenti esige di programmare diversamente la vita e di riprogrammarla sul Vangelo. Nel vangelo si legge che i pubblicani e le prostitute ci passeranno avanti nel regno dei cieli, ma altresì si leggono le opere di misericordia corporale delle quali una è visitare i carcerati, e la conclusione del brano è formidabile . Quello che avremo fatto a loro: i beneficiari delle opere di misericordia corporale lo avremo fatto a Gesù. Questo è quello che ho provato baciando i piedi ai tre carcerati e questo è quello che ho provato abbracciandoli forte dopo aver varcato con loro una squallida porta carceraria trasformata in porta santa dalla bontà di papa francesco. Torno in Italia felice con nella valigia altri due pesanti lucchetti delle carceri africane, me li porrò sul tavolo per ricordarmi la meravigliosa esperienza e per pregare per loro gli ultimi e disperati carcerati del carcere GK PRISON MTHANGANI in Kenya. Una fotografia in cui bacio la porta santa sarà mia compagna in questo anno di misericordia . Un forte abbraccio dalla calda Africa vostro don gigi

CONCLUSIONI
Nella settimana che ho trascorso in Kenya dal 20 al 28 febbraio, diverse sono state le lezioni della mia scuola di solidarietà, dell’esercizio della carità non tanto focalizzato sul quanto donato, ma sul modo di donare e cioè su consiglio di Papa Francesco: guardando negli occhi i miei poveri e chiamandoli per nome. In queste pagine abbiamo descritto alcune importanti lezioni, ve ne sono però altre minori, ma di uguale valore come l’acquisto per 500 scellini di un po’ di cibo per Rosaline Nekesa, la nostra ammalata di AIDS e mamma di Albert; oppure fuori dall’ospedale di Malindi una piccola mancia ad un prigioniero di 200 scellini, veniva condotto in manette ad una visita per l’AIDS… I 500 scellini per la piccola Rita di alcuni mesi – che mi sono presa e legata sulle spalle – e che aveva una brutta bronchite  accompagnata dalla sua mamma al dispensario di Padre Hilary; vicino a lei un altro bimbo ammalato a cui sono stati regalati 300 scellini; il grembiulino di scuola per una bambina del valore di 600 scellini e che viveva in una squallida capanna… piccole ed invisibili storie di attenzione ai più poveri per la mia scuola di solidarietà. Tali gesti non hanno cambiato la vita di miseria di queste povere persone che vivono nello squallore, ma tali gesti di generosità pensati e studiati aiutano a costruire l’orizzonte nel quale è poi possibile coltivare grandi azioni di solidarietà, come la chiesa di Garissa che presto ianuguremo, oppure le aule scolastiche a Lango Baya, opere tutte descritte nel nostro libro associativo  Opere di Luce. Ogni volta che si torna da un viaggio compiuto a questa scuola si è davvero migliori, come è capitato a me tornando da questo viaggio in Africa. E quanto è vera la frase di Victor Ugo che dice così:  Quando la tasca si svuota, il cuore si riempie.

PROGRAMMA DEL 14MO VIAGGIO DI SOLIDARIETA’ ASSOCIAZIONE AMICI DI SANTINA ZUCCHINELLI ONLUS KENYA 20-28 FEBBRAIO 2016

GIORNO MATTINA POMERIGGIO-SERA
20 FEBBRAIO
SABATO
– Celebrazione Messa alla Madonna dei Campi.
– Rientro da Bergamo per presentazione libro
– Ore 14,00 Milano – Roma ore 17,00
– Ore 23.40 Roma – Addis Abeba ETIOPIA
21 FEBBRAIO
DOMENICA
– Ore 7,15 arrivo ad Addis Abeba
– Ore 10,25 Addis Abeba – Mombasa (Celebrazione Messa in a)
– Ore 12,45 Arrivo a Mombasa
– Transfert a Watamu
22 FEBBRAIO
LUNEDI’
– h. 10.00 Ospedale di Malindi visita a Daniel ed a malati di malaria, AIDS e TBC – Pranzo Karen Blixen
– h.14.00 Daniel a casa da ospedale
– 16.00 Incontro con Waziri ragazzo malato terminale di AIDS
– 19.30 Celebrazione MessaTemple Point
23 FEBBRAIO
MARTEDI’
– h10 Visita Fr Antony Economo, mattone per Garissa
– acquisto biglietti pullman per Garissa
– visita bambini Msabaha Emma e Sonia
-14,30 Visita famiglia di Ethan
– visita famiglia di Nekes
– Visita ai villaggi
– 19,30 Messa al Temple Point
Cena
24 FEBBRAIO
MERCOLEDI’
– h. 9,00 incontro direttore Ospedale per servizio HIV
– h. 11,00 accordi al carcer di Mtangani
– h. 12.00 Pannello per HIV
– h.13,30 pranzo Karen Blixen
– h. 14,30: acquisto materasso di Daniel
– h 17,00 Visita famiglie con HIV
– h.19 Messa al Temple Point
25 FEBBRAIO
GIOVEDI
– h.9.00: firma di accordo con Direttore Ospedale di Malindi
– Pannello CCO
– Msabaha visita
Dispensario
– 14.00 Carcere maschile di Mtangani
– 15.00 S. Messa Carcere Femminile di Mtangani
–  18.00 Ritorno a Watamu
26 FEBBRAIO
VENERDI’
– h 9. Vicario Generale per firma accordo CCO Msabaha
– h.11,00 Msabaha: elaborazione pratiche accordo intervento su HIV
– h.16.00 Firma accordo Comprehensive Care Outreach Msabaha, Kenya
– 19.00 Messa a Temple Point e cena
27 FEBBRAIO
SABATO
– Visita al dispensario di Msabaha
– Incontro con P. Alex per programmare consacrazione della Cappella di Bura Tana
– Ore 14 partenza per Mombasa
– Ore 19,00 Mombasa Addis Abeba arrivo Ore 21,20
28 FEBBRAIO
DOMENICA
Ore 00,005 Addis – Abeba
Roma Arrivo ore 4,30
SANTA MESSA E FINE DEL 14MO VIAGGIO

 

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