Catechesi

I MIEI TRE PAPI ED UN INDIANA JONES (di Valentina ALAZRAKI)


Da “DONNE CHIESA MONDO”, mensile de l’Osservatore Romano (ottobre 2024):

I MIEI TRE PAPI ED UN INDIANA JONES

Ho avuto l’immenso privilegio, grazie alla mia attività lavorativa come corrispondente televisiva in Vaticano, di seguire passo a passo tre grandi papi: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e papa Francesco. Li ho seguiti per il mondo e sono stata testimone di avvenimenti storici per la chiesa e per il mondo ma l’esperienza umana più intensa e profonda è stata quella di scoprire il sacerdote che c’era in ognuno di loro e capire che forse il sacerdote che vorrei dovrebbe essere capace di incarnare i loro tre modi diversi di vivere il sacerdozio.

Vorrei che il mio sacerdote “ideale” avesse innanzitutto il misticismo che Karol Wojtyla mostrò sin dai primi anni della sua vocazione vissuta in momenti difficili e ostili. Vorrei che come lui fosse profondamente innamorato di Dio e degli uomini, avesse la sua profonda e bellissima devozione per Maria e la sua totale fiducia nella provvidenza, capace di cambiare persino il corso della storia. Vorrei che sapesse immergersi nella preghiera così come lo faceva lui. Vederlo pregare soprattutto nella sua cappella, in momenti privati, è stata un’esperienza spirituale che nessuno tra le persone che hanno avuto questo privilegio ha potuto dimenticare. Ho assistito più volte a questi momenti e il suo misticismo si toccava con mano. Non ho mai visto nessuno pregare come lui. Si aveva l’impressione che si estraniasse completamente da questo mondo e avesse un dialogo diretto con Dio.

Vorrei un sacerdote con questa capacità di parlare con Dio, di trovare nella preghiera la forza della sua testimonianza e di rimettersi totalmente alla sua volontà.

Mi piacerebbe un sacerdote che sapesse prendere sulle sue spalle la Croce di Cristo e le croci del mondo, che sapesse spendersi fino alla fine dei suoi giorni, capace di trasmettere sempre speranza e fortezza, anche nei momenti più duri.

Vorrei un sacerdote con una fede granitica capace di avvicinare Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Un sacerdote che ci facesse capire che la vita è un susseguirsi di momenti belli e momenti difficili e che ci insegnasse a trovare in noi e nella nostra fede la capacita di affrontarli.
Vorrei che il mio sacerdote ideale avesse la formazione teologica di papa Benedetto XVI, la sua chiarezza e profondità di pensiero, il suo amore per la verità, la sua capacità di avvicinare la fede e la ragione e farci capire che non c’è contrapposizione fra loro. Vorrei un sacerdote capace come lui di presiedere nel turbolento e chiassoso mondo di oggi, delle cerimonie di adorazione eucaristica davanti a migliaia di fedeli, nel più assoluto silenzio.

Vorrei un sacerdote che non abbandonasse un palco nonostante una tempesta improvvisa e il pericolo che cadesse il telone gonfio di pioggia, per rimanere con i giovani di tutto il mondo in una veglia di preghiera, così come fece papa Benedetto XVI a Madrid, nell’’Aeroporto di Cuatro Vientos.

Vorrei un sacerdote con il coraggio di andare contro corrente, di non accettare compromessi con le mode del momento, un sacerdote capace di trasmettere certezze, soprattutto in un mondo confuso e sempre più liquido. Un sacerdote che percepisce che la sporcizia e il nemico sono dentro la Chiesa e non fuori e che quindi vanno combattuti dall’interno.

Vorrei un sacerdote che avesse l’umiltà che solo i grandi hanno di chiedere scusa per errori e peccati compiuti da altri, come in varie occasioni ha fatto Benedetto XVI, un sacerdote la cui umiltà e coscienza dei suoi limiti fossero così grandi da mettersi persino da parte per il bene della sua chiesa
Vorrei poi un sacerdote con l’umanità e l’empatia di papa Francesco, un sacerdote che sia un vero pastore, che “odori a pecora” perché sta sempre in mezzo al suo gregge e non in palazzi sfarzosi. Un sacerdote che si avvicini a tutti e non solo ai cattolici perfetti, che sappia ascoltare tutti, che sappia toccare e lenire le ferite del cuore e dell’anima, con le braccia e il cuore sempre aperti, con la volontà di capire e non di giudicare, un sacerdote dotato di una grande tenerezza e compassione che cerca di avvicinarsi agli uomini e alle donne del suo tempo, mettendoli al centro della sua missione. Un sacerdote che preferisce le periferie ai centri di potere, che abbandona il superfluo per tornare all’essenza, che capisce che il mondo ha un enorme bisogno di misericordia e lo aiuta a prendere coscienza che Dio perdona tutto e tutti e che siamo noi a stancarci di chiedere perdono. Un sacerdote convinto che la chiesa debba essere un ospedale di campagna con le porte sempre aperte dove si curino le ferite e non si facciano prognosi sconfortanti. Vorrei un sacerdote, che come dice papa Francesco non sia “un ragioniere dello Spirito” ma un buen samaritano in cerca di chi ha bisogno, un pastore e non un ispettore del gregge, un uomo disposto a sporcarsi le mani, “che non conosce i guanti”, che “non fa il pavone” attratto dal carrierismo, la vanita o la seduzione del denaro.

Vorrei poi un sacerdote che amasse e rispettasse le donne, che non le considerasse solo come assistenti di poco conto, domestiche o badanti ma come creature meravigliose con pari dignità e pari diritti. Vorrei un sacerdote che capisse la grandezza e la fragilità delle donne, le difficoltà che incontrano, le violenze alle quali sono sottoposte solo per il fatto di essere donne, le umiliazioni che devono subire in tanti contesti, anche dentro la chiesa.

Mi piacerebbe un sacerdote con un equilibrio e maturità affettive tali da permettergli di guardare, abbracciare o baciare una donna con la naturalità di un uomo e la pulizia, innocenza e limpidezza di un bambino.

Questo era, di fatto, uno dei tratti che più mi affascinava nel rapporto tra Giovanni Paolo II e le donne.
Vorrei un sacerdote che non commettesse mai un abuso, fisico, morale o di potere verso chicchessia, sia minore, adulto vulnerabile o semplicemente adulto. Un sacerdote che parlando di abusi di uomini di chiesa sulle donne, non dicesse: “in fondo, mica si tratta di minori”, come se abusare di una donna non fosse grave. Un sacerdote che capisca con il cuore e non solo con la testa che nella chiesa non vi sono figli di serie A e di serie B e che bisogna avere il coraggio di punire il figlio che sbaglia, in nome della verità e della giustizia. Un sacerdote che pensi che la sua priorità deve essere sempre la vittima che ha il diritto di essere prima ascoltata e creduta e poi aiutata a guarire.

Vorrei un sacerdote che capisca che nella chiesa bisogna agire sempre con trasparenza perché i fedeli non sopportano più menzogne e insabbiamenti e perché la vera missions della chiesa è essere portatrice di luce, verità e giustizia. Nell’identikit del sacerdote che vorrei, mi piacerebbe ricordare anche il sacerdote “amico” o l’amico sacerdote” che molti di noi hanno la fortuna di avere. Non è il sacerdote “ideale” ma un sacerdote in carne ed ossa con i suoi pregi e i suoi difetti, con le sue forze, le sue debolezze e le sue solitudini, che ci ascolta e che ascoltiamo, che col tempo diventerà parte integrante della nostra famiglia.

Il mio sacerdote amico è una specie di Indiana Jones che viaggia per il mondo per portare aiuto agli ultimi, da famiglia bisognose a cui garantisce l’adozione a distanza dei figli, a carcerati a cui regala un campo di calcio, un’infermeria o un posto in cui le mamme carcerate possono tenere i loro figli, a malati di aids a cui offre le cure, Per non parlare di pozzi, piccoli ponti, impianti di luce, capanne, che rendono più vivibile la vita di queste persone sfortunate. In poche parole non un super eroe che realizza miracoli e imprese straordinarie ma un sacerdote che puzza di pecora, che si sporca le mani, tocca la carne di Cristo, empatizza, aiuta, senza mai smettere di pregare e cercare di far capire a drogati, prostitute, relitti umani, donne violentate e umiliate, che dietro a lui e alle sue piccole opere di bene, c’è sempre Dio, perché il buon sacerdote vive per e con Cristo.
Donne Chiesa Mondo – ottobre_2024 

Valentina Alazraki