Interventi

KENYA – IMPIANTO CISTERNE ACQUA PER SCUOLA CATTOLICA DI GARISSA


Fondazione Santina in Kenya inaugura impianto di cisterne per scuola cattolica con 600 studenti a Garissa, guarda il video:

In data 4 marzo 2022 il Vescovo di Garissa Joe ed il nuovo Vescovo George chiedevano con una lettera a Fondazione Santina di finanziare la costruzione di due grandi cisterne di acqua per l’impianto idrico della Scuola cattolica con circa 600 studenti. Ecco la lettera di richiesta firmata dai due vescovi:

In data 1 luglio 2024 il nostro tesoriere Luigi Pacini, verificata la bontà del progetto dal grandevalore umanitario provvede a inviare la somma richiesta, ecco l’ordine di bonifico:

I lavori sono terminati, come potete vedere e così siamo lieti di annunciare che in data 5 ottobre, alla presenza del vescovo George i lavori saranno inaugurati

In attesa del report del prossimo 5 ottobre 2024, proponiamo qui di seguito un testo che spinge alla meditazione ricavato dal libro di Anastasia #VoltiDiSperanza n. 41 pp. 93-110

UNA VECCHIA CHIAVE SPEZZATA
Dopo aver visitato con grande commozione le povere capanne di Munira, Iqra, Mariam, Hamina, Katra, Hamida, Bahati, Sakina, Fatuma e Sadia, le dieci bambine mutilate genitalmente, seguite da Esha nel nostro programma di adozione a distanza, che qui a Garissa si incentra particolarmente sulla piaga della mutilazione genitale femminile, a notte fonda facciamo ritorno alla missione. Sono stanco morto, sfinito dai chilometri fatti a piedi per visitare le capanne, gli occhi rossi per la polvere, la maglietta ingiallita dalla sabbia di questa terra arida che il vento ti spara in faccia e che ti penetra i pori della pelle. Sul braccio ho uno stupendo tatuaggio fatto con l’henné, regalo della mamma di Iqra: quando sono arrivato, lei stava facendo questi tatuaggi ad alcune ragazze che dovevano partecipare alle nozze di parenti. I tatuaggi con hennè durano una settimana, mi ha detto. Adesso lo ammiro con orgoglio, sbatto gli scarponi sulla porta e poi mi sciacquo in una bacinella con acqua color giallo il viso, metto una maglietta pulita e poi mi butto sul letto sfinito e cado in un pesante sonno.
Verso le tre del mattino a svegliarmi sono i brontolii della mia pancia che mi avvisa in modo prepotente che sono in arrivo scariche di dissenteria. Scusate, la pipì si risolve facilmente, si esce fuori e si fa vicino a un cespuglio; ma con la dissenteria non si scherza. Là fuori ho visto la latrina: è un piccolo sgabuzzino in cemento con la classica schifosa turca e il bidone giallo per pulire. Scatto in piedi o me la faccio sotto! Prendo il rotolo di carta igienica, corro alla porta e mi fiondo nella latrina: domani devo bere due litri d’acqua in più! E’ la cura che mi impongo ogni volta che mi si presentano questi che io chiamo “fenomeni tellurici”. La latrina è buia, c’è una piccola feritoia dalla quale entra la luce della luna. Prendo la tanica d’acqua e pulisco per benino. Il luogo è buio, con una puzza nauseabonda che viene dalle feci surriscaldate dai 37 gradi della temperatura esterna – un caldo incredibile. Insomma, una situazione da incubo che non avevo percepito subito perché ero impegnato a gestire il brontolio della mia pancia e le sue conseguenze… Passato il brontolio, pulita la latrina, meccanicamente e giro la maniglia della scassata porta… ma la maniglia gira a vuoto. Ripeto la manovra: nulla! La maniglia difettosa non vuole cedere e il chiavistello non si muove… passano alcuni minuti, la puzza mi devasta il cervello, il buio e il caldo fanno il resto… dopo cinque interminabili minuti scoppio a ridere: e ora che faccio? A Garissa, rinchiuso in una latrina nauseabonda alle tre del mattino: chiamo Jimmy, nel cuore della notte? Chiamo i padri? Ma chi mi sente? La stanza è lontana e se mi sentissero sarebbe ancora peggio: già vedo Jimmy ridere per tutto il resto del viaggio.
In un rigurgito di orgoglio mi dico: porca miseria, non voglio mica passare per il musungu scemo, rimasto chiuso nella latrina alle tre di notte! Sai come se la riderebbero tutto?! Pensa alle suore e ai catechisti: “Guarda, il padre italiano preso dalla dissenteria rimane pure chiuso nella latrina in mezzo alla notte e chiede aiuto!”. Rido di gusto da solo e poi mi dico: bene, o dormo qui, o aguzzo il cervello e trovo un modo per uscire. Mi tranquillizzo e prendo a esaminare con cura quella porta scassata. Potrei buttarla giù con una spallata, ma si spaventerebbero tutti per il rumore nel silenzio della notte africana e riderebbero ancora di più. No, questa soluzione non va. È buio, ma riesco a intravvedere la fessura nella quale c’è il chiavistello bloccato che la maniglia non riesce a spostare per aprire la porta. Mi dico: potrei provare a infilare qualcosa nella fessura e provare a spostare la barra. Mi guardo in giro e trovo – curioso – in terra un bastoncino di ghiacciolo di legno. È sporco, lo pulisco con l’acqua, lo asciugo, lo infilo, guarda, ci passa, provo ancora, la barra sembra muoversi – ma il legnetto fradicio e marcio si spezza. Riprovo una seconda volta. Nulla, si spezza di nuovo, ormai del bastoncino non c’è rimasto niente. Mi scoraggio e inizio a rassegnarmi: dovrò sottopormi alla gogna delle risate dei missionari, delle suore, dei catechisti, di Esha e di Jimmy: storie come questa qui, in Kenya, vicino alla Somalia, hanno la capacità di diffondersi in poche ore, nonostante non vi siano né televisione né notiziari. Nulla di più delizioso per le donne al mercato del bianco rimasto chiuso nella latrina.
Il caldo è soffocante, la maglietta è zuppa del mio sudore e decido di levarla, la puzza è terribile e il buio regna incontrastato. Tolta la maglietta, ecco che la vedo: la chiave spezzata che porto al collo dal 21 giugno 2016. È un regalo per i miei 30 anni di sacerdozio e viene da Challapalca, il terribile carcere di massima sicurezza peruviano, a 5.100 metri di altitudine. Quella chiave spezzata, nonostante sia spezzata, pure riesce ad aprire il pesante lucchetto della cella 313. Non avrei mai e poi mai immaginato che nella notte tra il 10 e l’11 marzo 2023 questa chiave spezzata mi avrebbe liberato da una fetida latrina in Kenya! Se ci pensate bene, questa riflessione ha una carica di significato incredibile! Prendo la chiave spezzata e ci provo, più per disperazione che perché creda veramente che possa aprire… e invece? Inserisco lentamente la chiave spezzata nella serratura, l’acciaio della chiave tocca la barra di metallo nella serratura, lentamente ruoto da sinistra a destra la mia chiave spezzata – si muove! Ci riprovo una seconda volta: adesso la sbarra scorre a sufficienza, la serratura si apre e la porta si spalanca… e io finalmente riesco a respirare a pieni polmoni l’aria pulita della notte … poi mi asciugo il sudore con la maglietta zuppa e, esausto, mi sdraio a pancia all’aria, mentre la polvere mi si attacca alla schiena.
Apro gli occhi e uno spettacolo incredibile mi rimette al mondo: i milioni di stelle in cielo e la calda luna entrano nel cuore; regna un profondo silenzio. Dalla situazione infernale di fetore, buio e caldo mi ritrovo, grazie a una chiave spezzata di un lontano carcere in Perù, in un paradiso fatto di stelle, di aria pura e di brezza leggera. Rimango sdraiato nella polvere per cinque minuti. Le grosse formicone africane, stanche anche loro, mi passano sulla pancia, una entra nell’ombelico, un’altra sale fin sul naso, ancora una sul lobo dell’orecchio destro, un’altra sul pollice della mano sinistra… non mi danno fastidio, anzi. mi fanno compagnia: ringrazio Dio per il dono delle formiche, delle stelle, della brezza, improvvisamente mi sembra che l’universo intero questa notte mi stia coccolando! È vero, la natura è a disposizione dell’uomo e proprio per questo esige grande rispetto. Mi addormento – sono le leccate di un cagnolino a svegliarmi e ancora una volta mi sento coccolato dalla natura.
Sono sporco e pieno di sabbia: non posso rientrare così. Vicino alla latrina c’è una rudimentale doccia; fuori i bidoni gialli sono pieni. È un semplice recinto di makuti, non c’è nessuna serratura. Mi spoglio e mi scarico in testa 15 litri di acqua! Man mano che la tanica si svuota e l’acqua scorre sul mio corpo e porta via la sabbia, ricomincio a sentirmi bene, rinfrescato, coccolato perfino dall’acqua gialla. Rimetto mutande e pantaloni. Arrivo in camera, mi asciugo e sprofondo in un sonno ristoratore, stringendo forte in mano la mia chiave spezzata… La mattina, quello che è avvenuto nella notte rimane sigillato nel mio cuore: non ne parlo con nessuno…
Forse ora, prima di procedere alla conclusione del libro, è importante che tu che mi stai leggendo conosca meglio la mia chiave spezzata. Il testo che ti ripropongo è preso dal libro N.3 di questa collana del Volti di speranza, e riguarda un prigioniero di nome Kelvin in un carcere sulle Ande del Perù: la storia della chiave spezzata che porto al collo, da oggi con ancora più gratitudine a Dio!
“Mentre noi chiacchieriamo, il direttore chiama un agente dell’INPE e con lui parlotta sottovoce. Dopo alcuni minuti il secondino ritorna con in mano un lucchetto e una chiave spezzata. Lo guardo con curiosità. René mette il pesante lucchetto al centro del tavolo e vicino mette la chiave spezzata. Tutti lo guardiamo con curiosità e smettiamo di parlare tra di noi. “Padre, questo lucchetto è di una cella di Challapalca. Puoi vedere che su un lato c’è il numero 313 e sull’altro c’è scritto INPE. Oggi è per te una grande festa e noi vogliamo farti un regalo. Questo lucchetto è differente dagli altri. Quando i miei agenti di sorveglianza mi hanno detto che doveva essere sostituito perché la chiave si era spezzata ho detto subito di sì, ma quando l’ho avuto nelle mani mi ha affascinato. La chiave è spezzata e dunque inutile e così a tutti appare, perché una chiave spezzata significa che non può più aprire il lucchetto! Non è vero?”. Tutti rispondiamo di sì… René, in modo quasi didattico, chiede a tutti il proprio parere e il parere è unanime, una chiave spezzata non serve a nulla: semplice e vero. “Chiave spezzata significa sogno infranto, significa chiusura, significa mancanza di orizzonti e di prospettive – continua Renè. Padre, qui a 5.050 metri, dopo il servizio, sei solo, non ci sono diversivi e così finisci per riflettere di più sulla vita. Challapalca è una chiave spezzata soprattutto per gente come Kelvin che deve scontare l’ergastolo, Challapalca è sinonimo di paura e di castigo in tutte le carceri del Perù dove i prigionieri indisciplinati e violenti, al solo pensiero di finire qui, smettono di essere violenti. Challapalca è esclusione di tutto e da tutti. I prigionieri qui vivono in totale isolamento, in condizioni pessime e tu hai assaggiato i fagioli che poi ti sei ostinato a mangiare! Challapalca è una chiave spezzata… Sì, padre, tutti pensiamo così, ma tu oggi invece, in queste schifose cucine, ci hai insegnato una cosa molto diversa”. René si alza e, con gesto solenne e misurato, quasi da attore, prende in mano il catenaccio e lo alza, poi prende la chiave spezzata, la introduce nella serratura, lentamente la gira e… il grosso lucchetto fa clic e si apre. Tutti guardiamo stupiti e Olinda si lascia sfuggire un sonoro ‘Oooh’ di stupore! Una delle più belle caratteristiche di Olinda è la sua capacità di esprimere lo stupore, ma vi devo confessare che in questo momento ciascuno di noi interiormente è molto più che stupito. Non contento, René da bravo maestro ripete il gesto con fare solenne una seconda e poi una terza volta, quasi fosse una liturgia. Poi, nel silenzio, ripone il lucchetto aperto sul tavolo e vicino la chiave spezzata. Mi guarda calmo negli occhi. “Don Gigi, oggi mi hai insegnato che Kelvin e tutti i 140 internati sono questa chiave spezzata. Ti confesso la mia confusione prima e poi la commozione al tuo urlo, davanti alla tua bocca sporca dello scolo dei lavandini e del pianto di Kelvin! Challapalca in tutto il Peru è conosciuto come un inferno, oggi tu hai portato un giorno di paradiso. A Challapalca arrivano tutti uomini dalla vita con una chiave spezzata. Le loro vite sono per noi tutti una chiave spezzata, vite depravate, violente, assatanate, degne solo di castigo… Vite inutili, un peso per la società, uno scarto schifoso. Così pensa comunemente la gente, e la gente qui in Perù ha paura di incontrare questi demoni, queste persone. Anche i parenti fanno fatica a venire, e vengono solo raramente. Oggi tu hai aperto uno squarcio di luce. Kelvin è quella chiave rotta. La sua vita e la vita dei carcerati in questo inferno non è inutile o addirittura pericolosa, ma è una chiave rotta che può aprire ancora il lucchetto della propria vita; e le lacrime e gli occhi di Kelvin oggi me lo hanno fatto capire! Grazie, padre Gigi. Anch’io compio oggi più volentieri il mio lavoro! Voglio farti un regalo in occasione del tuo trentesimo di sacerdozio: prendi questo lucchetto e soprattutto questa chiave e ricordati che molte volte la vita delle persone che incontri sembra una chiave spezzata, ma in verità anche una chiave spezzata apre una serratura. Torna nella lontana Europa, scendi da questa altezza che fa girare la testa e porta con te questo lucchetto e questa chiave spezzata. Ti guidi nel tuo ministero e ti aiuti a non scoraggiarti mai, perché la vita è una meravigliosa avventura in cui una chiave spezzata apre la porta di un carcere di massima sicurezza e di pena come quello nel quale oggi hai festeggiato i tuoi trenta anni di Messa!”. Il gigante si alza e, con grande devozione, prima mi consegna il lucchetto e poi con commozione la chiave spezzata. Sono sorpreso, tutti siamo sorpresi! Se oggi Papa Francesco mi avesse fatto una predica, di quelle belle come quelle che sa fare lui, e mi avesse fatto un qualsiasi regalo, sono sicuro che non avrebbe avuto parole così belle e un regalo così prezioso come il lucchetto numero 313 e una chiave spezzata, come quella regalatami da René, il gigante buono direttore del carcere! Mentre scrivo qui a Juliaca al collo sento il peso nuovo della chiave spezzata sulla quale ho fatto incidere le seguenti parole: da un lato, Challapalca 21-6-2016 L.G. e dall’altra: 30mo aniversario de missa. Così è vicino al sangue di Santina che porto al collo, custodito in una croce reliquiario, ed è anche vicino al mio cuore per ricordarmi che tutte le persone che incontro possono sembrarmi chiavi spezzate ma, in verità, sono chiavi che possono ancora aprire la loro pesante vita alla grazia di Dio e alla sua misericordia, come è avvenuto a Challapalca… e Kelvin me lo insegna! Sulle mie gambe tengo anche il pesante lucchetto numero 313 dell’infernale carcere di pena voluto dal dittatore Fujimori. Su di esso ho fatto scrivere, da un lato: Penal de Maxima Seguridad, Challapalca Perù. Anno de la misericordia. 21 junio 2016 e dall’altro lato Trigesimo Aniversario Sacerdocio. Mons. Luigi Ginami. (Luigi Ginami, Kelvin #VoltiDiSperanza n. 3 Velar Marna dicembre 2016, pp. 35-39 e pp.42-43)
Ora che avete letto l’incredibile storia della mia chiave spezzata, possiamo forse azzardare alcune riflessioni. Spesso nella vita ci troviamo al buio, senza orientamento, al fetore, in un caldo insopportabile. Cerchiamo di uscire da queste situazioni in cui la vita ci catapulta all’improvviso, da un momento all’altro. Pensiamo a chi perde in modo ingiusto il lavoro, alla malattia di una persona cara, oppure a una malattia personale, una calunnia che in modo diabolico ti distrugge la vita e ti fa perdere tutto: buio, fetore, caldo soffocante è una situazione che può capitare di vivere a ciascuno di noi. Ecco, è come essere prigionieri in una latrina, laddove latrina può essere sinonimo di calunnia, malattia, ingiustizia… Da queste situazioni, molto spesso noi cerchiamo di uscire con l’aiuto di “bastoncini di ghiacciolo marci”: tutto qua, il nostro fantastico piano per fuggire dalla latrina. Ma quei progetti sono fragili, sono marci, anche se noi li crediamo efficaci! Chi ci libera dalla latrina non è necessariamente la chiave appropriata alla serratura della situazione di cui siamo prigionieri, ma può esserlo anche una chiave spezzata, una chiave inutile, scartata, e che oltretutto viene pure da un posto squallido: il peggior carcere del Perù a 5.100 metri sulle montagne! Mi interrogo profondamente alla luce di questi viaggi: ma Gesù sulla croce, cos’è? Gesù sulla croce non è altro che una Chiave Spezzata! L’orrenda morte in croce non è il trionfo umano di Sanremo o il tappeto rosso delle star di Hollywood! È un luogo fetido, la latrina del Calvario, dove tre prigionieri più di duemila anni fa furono uccisi in modo orrendo. Penso al Calvario e mi commuovo e non penso proprio di essere blasfemo a paragonare il Calvario alla mia latrina! Sul Calvario, mentre Gesù e i due malfattori morivano tra atroci dolori, con le mani e i piedi traforati da chiodi, si fece buio su tutta la terra, la puzza della calunnia veniva gridata dai farisei e dai soldati… e il caldo era forte a tal punto che Gesù bruciato dalla sete grida: ho sete! Lui è la nostra Chiave Spezzata, lui la salvezza dalla latrina… non l’uomo profumato, ben vestito, ricco e famoso. Lui è l’uomo diffamato che muore nel buio, nel fetore e con una sete ardente! Ma ecco la commozione di quella latrina chiamata Calvario… Vicino a Gesù c’era il buon ladrone. Anche lui, come Gesù, avvolto dalle tenebre, dal fetore e dalla sete infuocata. Lui, il Buon Ladrone, riconosce che non può uscire dalla latrina in cui si trova con i suoi bastoncini di ghiacciolo fradici… con questi ci prova l’altro malfattore, imprecando contro Dio e chiedendogli di fare il miracolo e di farlo uscire di lì! No, il Buon Ladrone usa la Chiave Spezzata che la Provvidenza gli ha regalato nelle ultime ore della sua vita: la Chiave Spezzata che è Gesù. E a Lui il Buon Ladrone si rivolge: “Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno!”, e questa meravigliosa frase apre la porta della latrina: “Io ti dico: oggi stesso sarai con me in Paradiso!”. E il Buon Ladrone si trova in Paradiso, tra le stelle, all’aria pura e avvolto in una brezza leggera… E qui mi commuovo e scoppio a piangere perché se la Chiesa mi dice che in Paradiso ci sono la Madonna, San Giuseppe, gli Apostoli, è la voce di Gesù che mi assicura che in Paradiso c’è una persona, e quella è il Buon Ladrone. Gesù non ha assicurato a nessuno in vita il Paradiso e la Chiesa proclama i santi solo dopo la loro morte!! Il Buon Ladrone è l’unico esempio di Santo canonizzato in vita e non dal Papa, ma da Gesù stesso. Se è andato in Paradiso lui, spero che potrò andarci anche io e anche tu che hai avuto la forza di seguirmi fino qui.Ti lascio con un’ultima domanda: tu porti al collo una chiave spezzata? Forse no! Ma ti chiedo di metterti al collo un Crocifisso: con quella Chiave Spezzata potrai uscire dalla latrina buia fetida e di calore soffocante che la vita regala a tutti!