Viaggi di Solidarietà

COLOMBIA 1-11 MAGGIO 2024 61MO VIAGGIO DI SOLIDARIETA’


Fondazione Santina inaugura un refettorio per bambini di strada nel suo sessantunesimo viaggio solidale. Siamo in Colombia, a Bogotà, dove ad Esmeralda, un quartiere povero della Capitale inauguriamo questa opera in onore di Josefina y Humberto Casillas. Il viaggio toccherà anche la città di Medellin e visiteremo le famiglie dei nostri bambini presi in adozione a distanza. Ecco il promo del viaggio.

FONDAZIONE SANTINA ONLUS
ASSOCIAZIONE AMICI DI SANTINA ZUCCHINELLI
61MO VIAGGIO DI SOLIDARIETA’
Sonríe cada día, Vive cada instante
Colombia 1– 11 maggio 2024

Programma di massima

GIORNO MATTINO POMERIGGIO  – SERA
Martedì
30 aprile
INIZIO DEL 61MO VIAGGIO DI SOLIDARIETA’ – Ore 18,00 Santa Messa di inizio viaggio
Mercoledì
1 maggio
-ore 16,00 partenza da Bergamo per aeroporto di Milano Malpensa
– ore 19,35 volo TK1876 decollo per Istanbul ore 23.35 arrivo a Istanbul
Giovedì
2 maggio
VOLO TRANSOCEANICO
13 ORE E 25 MINUTI NO STOP
– ore 9,40 volo TK801 decollo da Istanbul – ore 15,05 arrivo a Bogotá e trasferimento in parrocchia da padre Giorgio. Celebrazione della Santa Messa
Venerdì
3 maggio
BOGOTA’
– ore 8 partenza per il quartiere Esmeralda
– ore 10,00 celebrazione della Santa Messa e inaugurazione del refettorio per i bambini di strada.
Visita alle famiglie dei bambini in adozione a distanza: 1. Eithan, 2 Lucia 3 Juan Carlos, 4 Jota, 5. Giampier.
Rientro in parrocchia per il pernottamento
Sabato
4 maggio
SILVANIA
– ore 8 partenza per Silvania  visita alla comunità dei tossicodipendenti – ore 16,00 celebrazione della Santa Messa ed incontri conviviale
– pernottamento in Silvania
Domenica
5 maggio
SILVANIA
– ore 10,00 celebrazione della Santa Messa
Pranzo e saluti
– Rientro a Bogotà nel pomeriggio
– pernottamento in parrocchia
Lunedì
6 maggio
BOGOTA’
– ore 8 celebrazione della Messa e continua la visita alle famiglie di 6. Dilan, 7. Emily, 8. Nicolas, 9. Cristofer
– ore 13 pranzo con il Nunzio Apostolico S.E. Mons. Paolo Rudelli orginario di Bergamo
– ore 17,00 incontro con il CardinaLe di Bogotà Sua Eminenza Luis José Rueda Aparicio
– ore 18,00 rientro in parrocchia
Martedì
7 maggio
MEDELLIN
– ore 8,00 celebrazione della Santa Messa e trasferimento in aeroporto – volo per Medellin, arrivo in serata ed incontro con la comunità locale
Mercoledì
8 maggio
MEDELLIN
Medellin Medellin
Giovedì
9 maggio
MEDELLIN BOGOTA’
Medellin Rientro a Bogotá in serata
Venerdì
10 maggio
VOLO TRANSOCEANICO
16 ORE E 05 MINUTI
STOP A PANAMA
– Ore 8 celebrazione santa messa in parrocchia a Bogotà
– ore 12 trasferimento in aeroporto
– Ore 16,35 volo TK 800 decollo per Panama (stop di un’ ora e 40 minuti)
– Ore 19,50 volo TK800 decollo da Panama
Sabato
11 maggio
Giornata di volo – ore 16, 40 arrivo a Istanbul
– ore 21,50 decollo da Istanbul
– ore 23,45 arrivo a Milano Malpensa e trasferimento a Bergamo
Lunedì
13 maggio
– ore 18,00 santuario Madonna dei Campi a Stezzano Messa di ringraziamento e TERMINE DEL 61MO VIAGGIO DI SOLIDARIETÀ

LA MADONNA CALPESTATA A CARTAGENA (DAL LIBRO FRANGELIS #VDS 42 pp. 77-94)
Domenica sera – negli ultimi giorni della mia permanenza in Colombia – volo con padre Jorge a Cartagena; il volo dura circa un’ora e 15 minuti. Atterriamo e Javier, un amico di padre Jorge, ci viene a prendere con l’anziana madre, Sara. Il programma è fittissimo: oltre all’incontro con il Vescovo, sono previsti incontri con gli “abitanti di strada”, come ho fatto a Bogotá, la visita alla periferia dove la gente vive dividendo la spazzatura; l’incontro con una grande realtà scolastica per ragazzi in estrema povertà, una casa per anziani e una struttura per la prevenzione del fenomeno della tratta e della prostituzione, rivolta soprattutto alle ragazze. Non c’è un millesimo di secondo libero in questo programma meraviglioso! La stanchezza inizia a farsi sentire, ma la forza di questi incontri anima le giornate e alla fine si conferma sempre che a conclusione della giornata è meglio essere stanchi che depressi! La città colombiana è in piena espansione, ma esclusivamente nel settore turistico. Dietro all’affascinante skyline della penisola si celano disuguaglianza, povertà e un ecosistema danneggiato. Dal XVI al XX secolo, Cartagena de Indias è stata uno dei principali porti delle due Americhe (attraverso il quale sono stati introdotti nel continente milioni di schiavi africani) e il più grande centro industriale della costa atlantica della Colombia. Nel 1991 la città ha ufficialmente cambiato nome in “Distretto Turistico e Culturale di Cartagena”: oggi è la destinazione turistica più ambita del Paese.

Stanchi morti per l’intensa giornata vissuta a Bogotá, saliamo in macchina e Javier ci porta subito nella città antica: vuole mostrarci subito la sua bellezza. Scendo con padre Giorgio ad ammirare gli antichi edifici di epoca coloniale; incontriamo una famiglia di nativi che volentieri acconsente ad alcune foto ricordo. Risaliamo in macchina e, mentre andiamo a casa di Javier – dove dormiremo – non voglio perdere tempo e inizio subito a chiedere a Javier: “Javier, qui in questa città vecchia c’è un impressionante numero di turisti. Ma è così tutto l’anno?”. Il giovane, concentrato nella guida, mi spiega: “Cartagena, vedi, don Gigi, accoglie ogni anno un milione di turisti, una popolazione fluttuante pari al numero di abitanti della città stessa. È spesso definita una città ‘a due facce’ per la netta divisione economica e geografica tra ricchi e poveri, o meglio, tra il mondo turistico e il resto della città. Cartagena soffre di un grave degrado urbano causato dall’esplosione demografica e dalla mancanza di pianificazione urbanistica, da cui derivano tra l’altro gli ingorghi pazzeschi, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua e la mancanza di alloggi a prezzi accessibili. Entro i confini della città, il 65% degli abitanti ha difficoltà a soddisfare i propri bisogni primari, il 12% delle abitazioni si trova in zone ad alto rischio e il 70% di esse è colpito sistematicamente da inondazioni”.

Ecco il cartellone della città: CARTAGENA; siamo sulle rive dell’Oceano, quella parte conosciuta come il Mare dei Caraibi. Ci fermiamo e scatto alcune foto per dimostrare che a Cartagena ci sono stato davvero. Risaliamo in macchina e di nuovo chiedo a Javier: “Mi sembra una città molto ricca, questa …”. Javier ribatte: “Vedi, don Gigi, Cartagena vende più unità abitative di qualsiasi altra città della Colombia. Questo boom all’interno di una città in crisi è tuttavia limitato alle zone turistiche, in particolare quelle che si estendono lungo le quasi infinite spiagge di sabbia bianca. Dal 2011 al 2015, circa la metà dei nuovi edifici è stata costruita nelle zone turistiche di Cartagena e di questi solo un quarto è stato destinato alle classi più povere. Quasi il 90% di quelle costruzioni è costituito da appartamenti piuttosto che da case; al tempo stesso, le “ville” monofamiliari che hanno contraddistinto la città per decenni sono state per la maggior parte sostituite da torri residenziali”. La città antica è davvero molto bella e sono colpito dal patrimonio storico che custodisce. Arrivati al nostro alloggio sprofondo in un profondo sonno ristoratore. Le giornate di Cartagena sono bellissime e anche con alcune tinte di folclore, come dei Raperos che si improvvisano Los amigos de Santina. Ma qui a Cartagena voglio parlarvi di un incontro speciale, ed è quello con gli abitanti di strada. Arrivo al centro che accoglie questi derelitti verso le 11.00: il centro offre loro una doccia e un pasto caldo. Mi salutano festanti e inizia così con loro una piacevole chiacchierata – argomento, Zapata, il calciatore colombiano che gioca nell’Atalanta, i tatuaggi di cui hanno cosparso il corpo e nel tentativo di arrivare al loro cuore che nasconde gradi storie di dolore. Sono tutti uomini e sono tutti giovani, vivono in strada: buttati nelle strade, sfracellati dal macinio di una vita insopportabile e straziante. Ognuno racchiude nel cuore una storia di dolore che lo investe con la forza di un ciclone e che lo “sbanda” e la povertà fa il resto! E così, intanto inizi a fumare piccole pipe di marijuana, poi passi a sniffare coca e così il cervello ti va in fumo. Mi accolgono sorpresi mentre passo tra i tavoli dove sono seduti in attesa del pranzo. Li saluto uno per uno, guardandoli negli occhi e mi accorgo che molti di loro hanno tatuaggi. Un ragazzo con una canottiera gialla – fanno 40 gradi di caldo tropicale – mi si avvicina zoppicando, vedo che l’occhio destro è perso: è cieco da un occhio. “Ciao, don Gigi, mi chiamo Gregorio, sento che vieni dall’Italia?”. “Ciao, Gregorio, sì, vengo da Bergamo, dove c’è una squadra di calcio che si chiama Atalanta e in quella squadra gioca Zapata”. So che i colombiani sono pazzi per il calcio e mi rendo conto di aver colpito nel segno perché Gregorio ne sa più di me sui giocatori colombiani della squadra della mia città! Il suo occhio si accende di sorriso e luce; anche se vivono in strada, il pallone è sempre nel cuore dei colombiani. “Gigi, lo so: Duván Zapata gioca nella squadra della tua città. E la storia d’amore fra la Colombia e l’Atalanta è davvero fresca, almeno in termini di prestazioni positive ed esaltanti, come dimostrano la quasi coppia del goal formata dal rapido e scattante Luis Muriel, e la punta di peso che risponde al nome di Duván Zapata. Per me – dice il ragazzo – sono loro due i fenomeni che hanno trascinato, oltre al resto della squadra, i bergamaschi fino a un passo dalle semifinali di Champions, quando a un minuto dal termine dei tempi regolamentari conducevano per 1-0 contro i futuri vicecampioni del PSG (Paris Saint-Germain). Ti ricordi, vero, negli scorsi anni questa incredibile prestazione?”.

Rispondo con un grande sorriso, prendo il telefonino e mostro a Gregorio un video su YouTube dove con la maglia dell’Atalanta mi alleno vicino a Zapata! Naturalmente è un fotomontaggio, ma tutti i miei disperati fanno ressa per vedere il mio allenamento. I ragazzi scoppiano a ridere quando poi ascoltano la canzone di Roby Facchinetti “Dea magica Dea!”, riferito all’Atalanta. Fermo il video, dico le parole in italiano, loro le ripetono, imparano una strofa… e dopo 5 minuti tutti insieme cantiamo “Dea Dea, magica Dea, fai sognare questa tua città. Tu ci prendi, ci sorprendi, magica Dea Dea, magica Dea, senti il cuore nerazzurro e noi, la tua gente che ti canta. Atalanta, Atalanta, cuore di tutti noi. Atalanta, stella che incanta, tu non tramonti mai”. Peccato non abbia potuto registrare il canto dei miei barboni … Mi commuovo per come il pallone o una canzone riescano a unire questa comunità di abitanti di strada e regalare ai loro occhi un po’ di gioia. Io non so se i tifosi dell’Atalanta e i giocatori stessi possano capire quanto quei poveri barboni fossero felici nel vedere dei colombiani giocare nella nostra squadra e portarle il successo sportivo! Ma Gregorio è proprio un grande tifoso del calcio e mi ricorda: “Padre, ma non ci sono solo Zapata e Muriel; negli anni scorsi, Iván Valenciano, Mario Yepes e Johan Mojica, tutti colombiani che hanno giocato nell’Atalanta!”. Sciolto il ghiaccio, parliamo della loro vita in strada; propongo di dormire in strada con loro e di passare una notte tra i loro accampamenti, come avevo fatto anche a Bogotá. I giovani rispondono felici: “Sìììì, padre! Ti proteggiamo noi, non ti accadrà nulla di male”. Ciascuno di loro ha una vita tatuata sulla pelle e vedo che Gregorio ne ha diversi, di tatuaggi; quello che più mi incuriosisce è un rosario tatuato attorno al collo che scende sulle spalle e davanti finisce con la croce. “Gregorio, perché ti sei tatuato una corona del rosario?”. La risposta è simpatica: “Gigi, io non sopporto le catenelle al collo e neppure i rosari e così me lo sono tatuato!”. “Ma ti ricordi almeno di recitarlo, il rosario?”. Sorride e non risponde, cambia discorso e mi mostra i suoi altri tatuaggi dai quali vengo a conoscere la sua vicenda di enorme sofferenza. Ci sediamo e Gregorio inizia a raccontare la sua tragedia. “Padre, io vivevo con la mia famiglia in un barrio pericoloso di Cartagena. Mio fratello Luis spacciava droga e talvolta mi regalava marijuana o coca… iniziai anche io a drogarmi, anche se non ho mai spacciato!”. Gregorio continua e il racconto si fa inquietante: “Una sera stavamo rincasando, quando due ragazzi della nostra età vengono verso di noi e con fare minaccioso intimano a mio fratello di non spacciare più nel loro rione porquè ve matamos todos los dos!”. Entrambi estraggono una pistola, noi scappiamo, scappiamo, ma… Gigi, sento un dolore formidabile alla gamba sinistra: un proiettile mi ha centrato! Stramazzo in terra dal dolore. Il sicario mi è sopra: con freddezza mi spara un colpo alla testa e se ne va!”. Gregorio dice questo con profondo dolore e questo racconto mi colpisce come un pugno nello stomaco. Gregorio alza il pantalone e appare sulla gamba sinistra una lunga, orribile cicatrice dovuta a un complesso intervento chirurgico che gli ha restituito parziale mobilità: ecco perché è zoppo. Poi indica l’altra cicatrice, quella sopra l’occhio spento e mi spiega: “Grazie a Dio, la pallottola non ha toccato il cervello, ma vivo con una pallottola in testa e questo mi provoca spesso dolori pazzeschi che non riesco a calmare. Allora mi butto a terra e passo ore pregando la Madonna che mi liberi da quel dolore”. Mentre Gregorio parla immagino in senso di solitudine, di abbandono, il disorientamento amplificato dal terribile dolore: ecco la stupenda preghiera di un barbone che dal santuario della strada invoca Dio! Penso spesso che siano i monasteri di clausura i luoghi dove si prega; non avrei mai pensato con quale intensità possa pregare un barbone nel suo dolore, né che quel dolore e quella solitudine lo rendano santo. Gregorio mi ha polverizzato, annientato, mi ha fatto capire che in alcune circostanze io vivo una vita da idiota … “Gregorio, ora so che ho fatto tanti, ma tanti chilometri per arrivare da te e imparare che anche un abitante di strada prega e che la sua preghiera, arricchita dal dolore e dalla solitudine, è tanto preziosa per l’intera umanità! Tu sei un parafulmine per tutta l’umanità, la tua preghiera, la tua invocazione quando sei a terra in strada, mentre urli per il dolore, tenendoti le tempie con le mani chiedendo aiuto a Dio e alla Madonna, fa sì che Dio allontani flagelli e cataclismi per la tua intercessione. Mi hai detto che invochi Maria e che ti sei tatuato la corona del rosario sulla pelle. Ti voglio fare un regalo; ti ho portato una immaginetta su cartoncino della Madonna Calpestata, viene dall’Iraq e sono sicuro che ti farà buona compagnia”. Dalla tasca prendo l’immaginetta e gliela mostro… Il ragazzo si fa attento. “Vedi, questa immagine viene dall’Iraq, dove essere cristiani è molto pericoloso. Era il 4 maggio 2017 e infuriava la guerra tra l’esercito iracheno e la soldataglia dell’Isis, fanatici musulmani che odiano i cristiani. Loro erano entrati in una chiesa e avevano preso a calci e calpestato questa immagine sacra, l’avevano resa irriconoscibile! L’ho portata via da là e una volta tornato in Italia l’ho ripulita ed ecco la nuova immagine: piena di tagli ma bellissima proprio per i tagli che ha sul volto!”. Gregorio guarda con grande emozione e subito dà un bacio all’immaginetta; ma guardate cosa fa questo stupendo ragazzo! L’immagine si compone di due lati: da una parte c’è la Vergine irriconoscibile e dall’altra la Vergine dopo il restauro. In Italia, quando regalo questa immaginetta, tutti baciano la parte in cui la sacra immagine è restaurata; invece Gregorio guarda le due parti dell’immagine e poi con profonda consapevolezza bacia l’immagine deturpata e irriconoscibile!!! Cavolo che ceffone m’arriva, con quella scelta! Scoppio a piangere, lui non capisce e mi chiede sorpreso: “Padre, perché piangi? Ho sbagliato?”. Accarezzo affettuosamente la guancia di questo ragazzo, tutto sporco dalla sua vita in strada, e gli dico:  “Tu per me sei un gigante e io di fronte a te sono un nano! Perché hai baciato la sacra immagine dalla parte che il mondo ritiene sbagliata?”. Lui mi guarda e sorride: “Gigi, ho baciato quella parte perché è la fotografia della mia vita: io sono ogni giorno calpestato dai passanti che mi ignorano, che mi disprezzano e talvolta mi maledicono. Se non mi sposto dal luogo dove sto dormendo, mi prendono pure a calci, calci veri; nella mia testa c’è poi quel proiettile e la mia faccia è ferita e calpestata: tutti, tutti mi calpestano fuori di qui”. Lo guardo con intensità e dopo alcuni secondi gli rispondo così: “Gregorio, ti devo raccontare una cosa che ti potrà davvero far piacere. Nel 2017, rientrato a Roma con questa sacra immagine, la porto nella Basilica di San Pietro per la festa della nostra Associazione, il 4 dicembre, la data della morte di mia mamma Santina. Celebra la Messa il mio direttore spirituale, un cardinale che si chiama Angelo Comastri, molto devoto alla Madonna. Vedi, Gregorio, io non mi confesso da lui non perché è un cardinale, ma perché è un santo, un santo prete: lui è un santo come te”. Gregorio ride, un po’ imbarazzato. “Bene, il cardinale si sofferma alcuni istanti in preghiera davanti alla Vergine Calpestata. Anche a Lui regalo la stessa immagine che ho dato a te, Lui la riceve con devozione e che fa? Le dà un bacio! Ma ecco la mia sorpresa ed emozione: il cardinale Comastri bacia la sacra immagine dalla stessa lato che hai scelto anche tu … io lo guardo allibito, lui sorride e mi dice con espressione seria: ‘Don Gigi, è troppo facile baciare questa Madonnina dal lato dove la si vede sorridente, è molto più difficile baciare il suo volto sfigurato!. Ricordalo sempre, sempre questo: la sacra immagine non può rimanere nella tua stanza, non è proprietà tua, ma della gente calpestata che a Lei si rivolge e che veramente capisce il valore del quadro, che è nelle sue ferite’. Da allora ho visto solo una persona baciare il quadro dalla parte in cui il volto è sfigurato, e quella persona sei tu!”. Ci abbracciamo forte forte. Gregorio mi porge l’immagine e mi dice: “Baciala anche tu da questa parte, coraggio!”. Faccio con molta devozione il gesto, poi bacio la ferita sulla fronte del ragazzo e lui mi dice: “Gigi, questa immaginetta sarà sempre con me e quando proverò dolori lancinanti dolori alla testa, non avendo soldi per comperare un analgesico, Lei, la Madonna Calpestata, sarà il mio calmante; la stringerò forte forte al mio cuore mentre le lacrime scenderanno sul mio volto nella notte buia di Cartagena, e poi riempirò di baci l’immaginetta dal lato in cui c’è la fotografia della mia vita, una vita resa irriconoscibile dalla miseria, dal vizio e da un proiettile nella testa!”. Lo abbraccio forte; lui mi regala un braccialetto: “Quando guarderai questo braccialetto ricordati di me!”. Lo abbraccio ancora: “Sai cosa faccio? Lo porto in Italia e quando vado a Roma lo porto alla sacra immagine e lo regalo a Lei! Lo lascio lì e chiedo alla Madonna che ti possa essere vicino quando il dolore ti spacca la testa e la vita!”. Gregorio si riempie di gioia: “Che bella idea, mi rende orgoglioso!”. Si toglie il braccialetto e me lo mette al polso… il prossimo 26-27 maggio vado a Roma e depongo il bracciale davanti alla sacra immagine!