Emergenze

FONDAZIONE SANTINA COSTRUISCE UNA CAPANNA PER DOROTHY IN KENYA


Presentiamo la costruzione di una nuova capanna per Dorothy affetta da HIV in Kenya
Il costo dell’opera è di circa 2000 Euro, una miseria, ma con questo intervento abbiamo tolto dalla strada 2 persone: una giovane mamma sieropositiva e il suo bambino Pavol. La terra e la capanna sono intestate anche al bambino di 7 anni, perché nel caso venisse meno la madre possa avere un piccolo aiuto per il futuro. Forse qualcuno si dirà che si poteva fare molto meglio. Non abbiamo molti soldi, ma oggi anche se avessimo Euro 20.000  per costruire una stanza a Dorothy, preferiremmo costruire 10 piccole capanne come queste per dieci altre famiglie che vivono nella miseria. Vi diciamo di più: siamo orgogliosi di aver costruito questa piccola casa e vi mostriamo come abbiamo fatto nel prossimo video che vi proponiamo.

Dobbiamo di cuore ringraziare Mario e Maria Antonietta CANTUTI perché la capanna di Dorothy è stata interamente costruita grazie al loro generoso contributo. In Africa invece dobbiamo ringraziare di cuore Jimmy KATANA perchè gratuitamente lui ha seguito lo sviluppo di tutti i lavori e la realizzazione è tutta opera sua, come in passato la prima capanna per la nostra cara Everlyne. Per chiarezza poniamo qui di seguito copia della documentazione per mostrare a tutti dove sono finiti i 2000 Euro erogati da Mario e Maria Antonietta. La pagina offre anche il diario della piccola vacanza fatta dai bambini orfani: Santina, Nora Ramsi  con don gigi e grazie all’aiuto di Dorothy. Tali pagine si possono trovare nell’edizione elettronica del libretto ASMA che regaliamo cliccando qui.

Documento redatto d Jimmy per richiedere la costruzione della capanna per Dorothy

SANTINA, NORA, RAMSI, DOROTHY E GIGI ASANTE SANA
Dopo un lungo viaggio di nove ore, simile al precedente di andata, siamo tornati sulla costa dell’Oceano Indiano e ci stiamo dedicando alla visita delle dieci capanne con bambini HIV. Un posto del tutto speciale lo vogliamo, però, dedicare a Santina, Nora e Ramsi. Con Jimmy stiamo organizzando di far rivivere ai bambini le ore felici che hanno trascorso, al Temple Point, lo scorso anno, con la loro mamma. Everlyne non è più con noi e, anche se il pensiero ci strazia, sappiamo di aver bisogno di un aiuto, almeno per la lingua, di una mamma. Chi vorrei portare con noi? Un’altra donna terminale AIDS! Jimmy ride divertito quando glielo propongo. “Gigi non ho mai visto un matto come te! Mai un muzungo chiede a una malata terminale di trascorrere una giornata in un bel resort. Sei matto?”. “Beh… Jimmy questo è fuori discussione. Ti dirò di più, non voglio una malata qualsiasi, ma la peggiore tra le malate che conosci… Una sola cosa: che capisca qualche parola di inglese!”. Il giovane ride ancora più divertito. Continuo io… “Tendenzialmente deve fare schifo, deve essere vista come una che ha AIDS e che sta male. In questo modo otterremo due guadagni: il primo che potrò accudire bene ai bambini, il secondo che renderò felice alcune ore degli ultimi mesi di vita di questa donna. Mi hai capito bene?”. Jimmy sorride divertito: “È una domanda un po’ difficile, ma tenterò di accontentarti! Dobbiamo poi riservare la stanza al Temple Point, dobbiamo predisporre il trasporto… e molte altre cose. Non dimenticarti, poi, della croce che vuoi piantare nel luogo in cui è sepolta Everlyne… Mi hai capito padre Gigi?”. Jimmy è molto preciso nelle cose che facciamo e così prepariamo bene la bella esperienza dei tre piccoli orfani.

Sono in matatu con la piccola Santina, Ramsi e Nora con noi c’è Dorothy. Pesa 35 chili, cinque chili in più di Everlyne, e Jimmy ci accompagna. È bellissimo il tempo passato con la piccola Santina, meraviglioso! Lei con i suoi soli tre anni è un incanto che parla alla mia vita vecchia. Per capire la vita si deve scrutare un piccolo, si deve giocare con lui e si imparano molte cose. Basta guardare Santina, una povera orfanella di tre anni, ma con una forza atomica di vita. Ogni suo gesto, ogni sua espressione sono per me il modo di aprire il libro nascosto della Vita chiuso a coloro che sono adulti. Lei inizia a insegnarmi, a insegnarmi la meraviglia. Guarda i colori che scorrono fuori dal piccolo pulmino colmo alla follia e si meraviglia con la sua vocina esclama ‘ooooh!’ per una bicicletta che passa, per una tanica gialla messa vicino a un albero. I suoi occhi si riempiono di meraviglia e sorride felice. Io la guardo e mi sembra di vedere Dio! Le sue manine salutano, gridano ‘Jambo’. È felice e contenta della bella passeggiata. I suoi due fratellini sono seduti vicino, uno in braccio alla mia Dorothy e l’altro sulle ginocchia di Jimmy. Siamo felici. Dorothy anche un po’ spaventata di essere in un bell’albergo per la prima volta nella sua vita, si è messa un vestitino povero ma dignitoso ed ha portato anche un cambio, forse unico cambio di vestito che possiede. Io sono inebriato dalla mia piccola Santina!

Per lei non capisco niente, ho perso letteralmente la testa, ma ne sono felice. ‘Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli’. Con in braccio Santina capisco cosa vuole dire Gesù. La mia piccola mi ha saputo riempire di forza ed entusiasmo per la vita! Mi sono trovato la sua manina sulla guancia durante la notte o il suo piedino sulla pancia. Il suo sonno pesante ha dato pace al mio sonno leggero e spezzettato. Sono fiero di lei e sono fiero dei bimbi e anche di Dorothy. Giungiamo così al resort della costa che ho prenotato per questa notte. Solo questa notte. Mi sono permesso di dormire qui; e qui… ero venuto con Santina e poi con Everlyne e spero che tutte e due, dal paradiso, mi accompagnino in questa esperienza di condivisione e gioia in un raffinato ed esclusivo luogo per turisti e vacanzieri bianchi, che qui chiamiamo muzungo. Facciamo il bagno in piscina, poi la doccia e, infine, facciamo il nostro ingresso trionfale nella sala da pranzo che guarda sull’oceano, allestita all’aperto sotto un gazebo bellissimo e in mezzo al raffinato giardino tropicale. Ammetto, ho il gusto molto forte di creare provocazione e penso che il mio ingresso in sala tenendo in braccio Santina e per la mano Ramsi, con Dorothy al mio fianco che tiene per mano Nora, suscita un bel po’ di chiacchiere tra i vacanzieri sbarcati per la prima volta in Africa.


Ordine di Bonifico di euro 2000 firmato dal nostro Tesoriere e inviato a Jimmy Katana Responsabile della nostra Associazione in Kenya. Il documento porta la data del 27 febbraio 2020

Un muzungo, con una moglie nera molto magra e tre bambini, che ci fa qui? Occupiamo il tavolo che mi hanno riservato: io a capotavola, alla mia destra metto a sedere la piccolina Santina, alla mia sinistra Nora, poi c’è Ramsi e, vicino a Santina, Dorothy con un vestito nero che, nella sua povertà, a me sembra anche elegante. Di cosa la gente dica o pensi di me e di noi non me ne frega niente; voglio solo che loro quattro passino un momento magico e bellissimo… e mi impegno con il cuore. Chiedo a Dorothy cosa voglia da bere. Lei si guarda attorno con occhi pieni di meraviglia, osserva i costosi vestiti delle altre donne e mi sembra che, senza dire nulla, li paragoni al suo povero e vecchio abito. Poi guarda al buffet dove, con gli occhi, cerca di capire cosa ci sia di buono.

È una festa di colori e, per la donna di 40 anni, è una grande avventura in una vita tanto lontana dalla sua. Mi guarda e sottovoce mi dice: “Gigi mi piacerebbe bere un bicchiere di coca cola”. “Te lo vado a prendere subito!”. Santina, Nora e Ramsi mi chiedono, invece, un’aranciata. Prima torno con due bicchieri di aranciata: uno per Nora e uno per Santina e poi, al secondo viaggio, con un bicchiere di aranciata per Ramsi e uno di coca cola per Dorothy. Lei con un fare un po’ civettuolo mi dice: “È la prima volta nella mia vita che sono servita! Normalmente sono io a servire gli altri. Dove lavoro accudisco anche alla cucina e, alcune volte, mi viene concesso di portare le bevande in tavola, ma mai nessuno mi aveva servito in vita mia. A casa poi, Gigi, da quando ho HIV e la convivenza è diventata un inferno, io non posso mangiare con la mia famiglia, dai loro piatti e lo stesso cibo. Io ho il mio cibo, la mia pentola e mangio prima o dopo con mio figlio Pavol. Essere sieropositivi non è bello in Africa: è uno stigma profondo e, più la malattia procede e dimagrisci o la febbre ti assale, loro, la tua famiglia e i tuoi vicini, ti scartano, non vogliono più contatti con te, sei una specie di lebbroso. Pensa che presto dovrò lasciare casa, così mi ha detto mia madre, e non so dove andare con un bambino di soli 8 anni. Questa è la parte più oscura e devastante dell’AIDS: la discriminazione!”. Ascolto con attenzione Dorothy mentre i bambini mangiano e lei imbocca Santina con il riso che non vuole mangiare, divorando, invece, tutte le patatine fritte. I bambini sembrano uguali in tutto il mondo… La storia di Dorothy mi commuove.

Progetto della capanna: con Euro 2000 si prevedeva di comperare un pezzo di terra per l’ammontare di Euro 600; con i restanti Euro 1400 invece l’acquisto del materiale e il costo della manodopera

Ogni tanto la chiamo Everlyne e lei con una carezza e un sorriso mi corregge: “Io mi chiamo Dorothy, non Everlyne”. “Dunque, fammi capire. A Msabaha la gente ti evita e i tuoi cari non mangiano con te?”. “Sì, Gigi, loro pensano che l’AIDS si trasmetta anche con il cibo, con un contatto, con la saliva, il respiro o anche con i tuoi comportamenti”. Questa cosa mi infastidisce, mi irrita: non posso credere che una donna venga messa ai margini della vita per stupidi pregiudizi. Mentre penso così vedo che gli stessi camerieri neri, forse con uno sguardo attento su questa malattia che devasta il Paese, guardano Dorothy con un po’ di sospetto per la sua eccessiva magrezza, usano bellissimi tovaglioli di tela per togliere i nostri piatti e lo fanno in modo elegantissimo, con inchini e con il sorriso sulle labbra… me ne accorgo! Guardo il cameriere e, con un bel sorriso, gli chiedo di avvicinarsi.

“Scusi, volevo ringraziarla di cuore per la squisita raffinatezza con la quale ci servite, con grande deferenza e anche bellissimi tovaglioli, ma non c’è alcun bisogno di farci sentire più importanti degli altri ospiti! Facciamo così, lei porti pure le portate senza tovaglioli, con le mani semplicemente nude e pulite, come del resto fate per tutti gli altri ospiti, va bene?”. L’uomo sorride e tenta di spiegare: “No, ma questa è una mia abitudine aristocratica…”. “Senta, mi spieghi allora: lei arriva qui con il piatto pronto, poi il piatto lo prende con un tovagliolo nella destra e ce lo offre; lo ha fatto con tutti noi. Perché non lo fa con gli altri? Bene allora le chiedo di comportarsi come con tutti gli altri”. Il cameriere arrossisce e poi, storcendo un po’ il naso, inizia a servirci come tutti gli altri. Dorothy se ne accorge e mi dice: “Vedi, anche lui ha dei pregiudizi?”. Il nostro cameriere, irritato, si ritira in un angolo della sala e, Dorothy ed io, seguiamo il suo percorso. Due cameriere lo raggiungono e ci guardano in modo un po’ storto. Me ne accorgo mentre Dorothy sta bevendo il primo sorso di coca cola. Gli occhi sono lucidi…deve avere un po’ di febbre. Mentre la donna depone il bicchiere i camerieri ci guardano. Li chiamo e loro, incuriositi, si avvicinano. Con molta calma, dico a loro: “Ho visto che osservavate Dorothy bere il primo sorso di coca cola. Ora io vi voglio far vedere come io berrò il secondo sorso di coca. Ok?”. Prendo in mano il suo bicchiere: “Dorothy, se non sbaglio le tue labbra hanno bevuto da questo lato, vero? Me lo vuoi esattamente indicare?”. Lei, un po’ timidamente, allunga il braccio e pone l’indice sul lato dove aveva messo le labbra per bere… Guardo il bicchiere e, molto lentamente e con grande cura, metto le labbra esattamente dove aveva bevuto la donna HIV. Poi uno, due, tre sorsi davanti a loro, bevo la famosa bevanda.

Ecco la lista ed il costo della prima parte del materiale usato

I camerieri capiscono e, mentre bevo, arrossiscono. La scena passa inosservata a tutti gli ospiti ma per loro sembra avere la forza di un ceffone! Lei, Dorothy, accende i suoi occhi di luce. Mi sembrano dei diamanti impreziositi dalla febbre. Appoggio il bicchiere sul tavolo, mi alzo e, davanti a tutti, le do un grande bacio; poi mi siedo e, di nascosto, dopo alcuni minuti, le porgo le medicine per l’HIV. Lei prende tre grosse pastiglie con un sorso di acqua e, mentre beve, io vedo la gioia in lei, la gioia di sentirsi non esclusa, ma accettata e amata. Mi guarda e mi dice: “Quello che hai fatto con il bicchiere di coca cola è il gesto più bello e più forte di tutta la serata”. La invito a mangiare e lei, stranamente, acconsente volentieri. Le pastiglie piano piano fanno effetto e la febbre se ne va lasciando il posto a una bellissima serata, di cui vi sto per raccontare. Santina mi ruba l’attenzione e continua a parlottare con una vocina incerta e con i suoni non ancora ben definiti. È un amore e, senza volerlo, attira gli sguardi di molte vecchie signore bianche vacanziere. Lei parla, guarda, sorride a coloro che passano e intanto mangia un boccone. Dorothy è bravissima a far mangiare anche quello che non vuole. Mi prende la mano, me la accarezza, poi dà degli schiaffetti e allora inizio a dire sotto voce all’orecchio: “Gigi ti voglio bene!”. Lei mi sorride e pronuncia una frase dai suoni sconnessi che fa ridere Dorothy e che rallegra anche me. Ci riprovo per la seconda volta: “Gigi ti voglio bene…”. E lei questa volta sorride e non parla. La terza e ultima volta ripeto più forte: “Gigi ti voglio bene!”.

Lei, con la sua vocina che è una musica, mi dice decisa: “Non mi parlare nella lingua kiriama, io capisco solo il kiswahili!”. Dorothy mi traduce e io scoppio a ridere. Tutti e cinque ridiamo felici della simpatica risposta della ‘mia’ Santina, perché in effetti così la considero. A questo punto Ramsi mi chiede di poter vedere i dolci che servono a buffet. Mi alzo, mi dà la mano, e insieme ci dirigiamo al banco e il bambino di 11 anni torna felice con una bella porzione di semifreddo al limone. Mentre lui si siede Nora chiede che la accompagni al bagno… Mi prende per mano e usciamo dal ristorante. Dorothy rimane sola con Santina alle prese con un bel gelato i cui colori non fanno che imbarazzare la felice scelta della piccolina. Una signora cicciona italiana sta parlando con Dorothy. Ci avviciniamo. Lei parla un inglese molto approssimativo e sta facendo i complimenti a Dorothy per la piccolina. In inglese continua con me: “Mi chiamo Flavia e volevo fare i complimenti per questa bellissima bambina, anche per i due fratellini e la sua gentile signora”. Vedo che Dorothy mi guarda divertita… e io sto al gioco. “Senta signore, la devo però rimproverare, lei deve far mangiare di più sua moglie è così magra!”. “Io le rispondo: “Ha proprio ragione! Ho portato questa regina qui perché metta su un po’ di chili!”. “Che bravo! Quante settimane vi fermate?”.

Ecco la lista della seconda parte del materiale acquistato da Jimmy Katana per la costruzione della povera casa

La donna capisce di essere un po’ pettegola ma io finisco la frase: “Ce ne andiamo domani dopo pranzo…”. Lei ride: “Beh, così non è che metterà molti chili”. Dorothy ride anche lei divertita. Flavia ci lascia e torna a un grande tavolo di italiani dicendo che lei è riuscita a parlare grazie al suo inglese con questa strana famiglia. Abbassa la voce e, io e Dorothy, intuiamo che sta parlando del consiglio che mi ha dato e della stranezza di fermarci solo una notte. Il risultato è che tutto il tavolo ci squadra e i vacanzieri continuano a cazzeggiare. Queste diaboliche spiagge sono piene di chiacchiere vuote e stupide se non cattive. Dorothy si sente al centro di una straordinaria attenzione e, per una donna AIDS in stadio avanzato, questo è molto meglio delle tre pastiglie al giorno che deve rigorosamente prendere. Sono convinto che vedere per alcune ore un luogo così bello e passare alcune ore felici nella infelicità cupa della malattia sia un grande tonico: ‘meglio aggiungere Vita ai giorni che giorni alla vita!’. Dorothy ha 40 anni e ha più o meno lo stesso peso di Everlyne tre anni fa… Se va bene campa ancora tre anni, se va male può morire in pochi giorni. Svolge lavori saltuari con due figli da accudire. Ora sta pulendo la casa e lavando la biancheria nella casa di due italiani stronzi che le danno, alla settimana, per otto ore al giorno, solo 10 euro! Me lo racconta lei durante la cena e sanno che è sieropositiva. Che tipo di peccato è mai questo? Come lo potrei definire? Come è possibile retribuire otto ore al giorno per sette giorni alla settimana con soli dieci euro dai quali la poveraccia deve togliere i soldi di trasporto? Mi racconta questo a tavola e i suoi occhi si riempiono di lacrime. Mi alzo lentamente, vado da lei e le do un grande bacio sulla fronte con una carezza.


Questa è la lettera con la quale Dorothy dice di essere contenta di aver ricevuto in regalo la capanna

Le pettegole italiane al tavolo parlano… Hanno altri motivi di chiacchiericcio. Felice e divertito mi siedo, ma solo per pochi minuti, perché Nora ci dice che lo spettacolo degli acrobati nell’anfiteatro che guarda sull’oceano sta per cominciare. Sono le nove di sera e la gente si siede. Noi ci sediamo al centro per meglio vedere senza accorgerci che così facciamo una macchia nera in mezzo a un centinaio di bianchi. Non me ne rendo conto! Flavia si pone a sedere vicino a Nora. Lei è seduta alla mia sinistra, mentre tengo in braccio Santina. Alla mia destra, felice, c’è Dorothy che si sente un po’ la regina di questa serata e, accanto a lei, c’è Ramsi. Lo spettacolo inizia e i bambini sono divertiti; guardano con i loro occhioni. Ad un certo punto la piccola, in braccio, si addormenta con una guancia sulla mia spalla e io sento dentro di me l’impressione bellissima dell’energia della pace che la bimba sprigiona. Felice continuo a guardare lo show e poi? Gli atleti hanno bisogno di qualcuno che cooperi per i loro numeri. Vedono i bimbi neri e si sentono più sicuri nel coinvolgerli. Il primo a scendere sul palco è Ramsi che cavalca felice la riproduzione di un leone colorato. Dopo gli applausi chiamano Nora e a lei tocca saltare la corda. Infine chiamano Dorothy. La giovane donna si sente in imbarazzo. La invito a scendere. Si alza e le viene chiesto di passare rannicchiata attraverso un cerchio e lei, forte della sua magrezza, lo attraversa facilmente! Scoppia un applauso. I primi ad applaudire sono proprio gli atleti. Dorothy ritorna festante al mio fianco. Le do un bacio e una carezza… Lei sembra un’altra. Per la prima e forse unica volta applausi al posto di umiliazioni. Non so se essere più orgoglioso di aver portato lì i miei tre orfani oppure lei, la mia Dorothy, malata terminale AIDS.

Lo spettacolo finisce e Flavia, prima di andare via, con il suo inglese liceale viene, da noi e dice a Dorothy: “Sai una cosa? Quel numero che hai fatto… sei stata proprio brava. Io, con il mio peso, non ci sarei mai riuscita. Ti voglio chiedere scusa e farti i complimenti per questa bella famiglia. Dorothy, imbarazzata, si stringe a me e con un bacio mi dice: “Gigi, forse le devi delle spiegazioni”. La buona donna si avvicina a me e mi dice: “Sei un bravo padre e un ottimo marito, ma ciò non toglie che devi dare da mangiare di più a questa donna!”. “Hai ragione Flavia…”. Mentre rispondo così, passo Santina addormentata a Dorothy, estraggo la chiave dalla tasca e la do a Ramsi… Dorothy mi dice: “Porto i bambini a dormire. Tu fermati pure con la signora”. Flavia, da buona curiosa, senza dire nulla, avverte che forse ci possono essere alcune cose interessanti da ascoltare per poi avere argomenti per spezzare la noia della spiaggia. Ci sediamo. La buona donna grassa continua con alcune parole in inglese. Le prendo la mano e le dico: “Parli pure italiano signora, io sono di Bergamo!” Lei, con tono di rimprovero: “Perché non me l’hai detto prima?”. “Perché tu non me lo hai chiesto! Senti Flavia, Dorothy è molto malata!”. Lei mi guarda con due occhioni buoni da donna semplice giunta per la prima volta in Kenya con uno dei milioni di viaggi organizzati per vacanze di alto livello con prezzi contenuti. Poi continua: “Lo immaginavo. Perché non la fai mangiare? Se lei mangiasse di più, un po’ più cicciottella, tutti i problemi scompaiono. Non dico di diventare come me, ma così giovane, rispetto ai miei 67 anni di pensionata, sono sicuro che tutto si sistemerebbe”. “Non è così semplice!”. “Ho capito! È anoressica vero? Questo sì, hai ragione, è un bel problema. Che stupida! Perché non ho capito subito?”. “No Flavia, lei ha AIDS ed è avanzata nella malattia”. La buona donna fa un salto indietro e io mi incazzo! “Non fare così, non sono sieropositivo e, anche se lo fossi, non ti posso passare AIDS con un tocco e non pulirti le guance anche se ti abbiamo lasciato una minima traccia di saliva non diventerai sieropositiva. Vedi qui, in Africa, è ancora peggio. Appena scoprono che sei sieropositivo perdi il lavoro, la famiglia ti abbandona e sei additato da tutti come un appestato.

Soffre molto Dorothy e qui, questa sera, è stata la mia regina della serata!”. La donna non si è ancora ripresa dal colpo e pensa che le sorprese siano finite, ma un’altra, ancora più forte quanto impensata, giunge nel cervello della sprovveduta italiana. “Flavia, ti devo dire un’altra cosa: io sono un prete!”. La donna sviene… “Non è possibile! Questo è troppo! Tu sei un prete? Tutto potevo pensare di te tranne che fossi un prete”. I bambini non sono miei figli, sono tre orfani di Everlyne morta di AIDS lo scorso 29 ottobre. Ero stato qui con la loro mamma lo scorso anno e quest’anno sono in un orfanotrofio. Li ho voluti portare qui per un giorno. Io non abito qui, non posso permettermi una cosa così bella, ma per loro una notte e un giorno intero sì! Domani torniamo nelle nostre capanne e i bambini in orfanotrofio. E ti voglio raccontare un’ultima sorpresa dopo il fatto che Dorothy ha AIDS e che io sono un prete.

La piccola bimba si chiama Santina in onore della mia mamma che si chiamava così e con la quale, quando mia madre era in vita, ero venuto qui ospite di amici. Ora esiste Fondazione Santina e loro quattro sono nel nostro programma di aiuto e, con i miei risparmi, mi sono concesso questo lusso!”. Mentre parlo la buona italiana inizia a piangere, i suoi occhi si fanno rossi, i lacrimoni scendono. L’abbraccio forte e passo così mezz’ora a parlare con lei di Everlyne, di Santina, Ramsi, Nora e Dorothy. Preghiamo anche. Poi Dorothy ci raggiunge grondante felicità: chi mai avrebbe pensato di passare alcune ore in questa reggia? Mi abbraccia commossa e Flavia scoppia anche lei di nuovo a piangere. La stacca da me e in italiano mi chiede:“Di cosa ha bisogno Dorothy ora?”. Sfrontato e senza imbarazzo rispondo: “Te lo dico con sincerità: deve pagare la tassa per la scuola dei figli e ha in sospeso il conto degli alimenti allo spaccio per un totale di 150 dollari”. Dorothy è imbarazzata ma Flavia apre la sua borsetta e con orgoglio estrare tre pezzi da cinquanta dollari e le dice: “Io e mio marito ti offriamo tutto questo perché te lo meriti tutto”. La abbraccia forte e questa, per me, è la più bella scena della serata. Salutiamo Flavia e torniamo alla camera. Dorothy ha tra le mani questi soldi e io ringrazio Santina ed Everlyne che, dal paradiso, hanno fatto questo miracolo. Dorothy oggi ha cambiato quei dollari in scellini e ha pagato tutto il suo debito! Oltre ad aver trascorso alcune ore felice e libera dal passato… A te che stai leggendo chiedo di esserle vicino nel suo triste futuro che probabilmente sarà come quello di Everlyne… Mentre mi domando: ‘Sarà ancora viva il prossimo anno?’ ti domando: ‘Hai 750 euro da darmi per costruirle una capanna? Perché sua madre, come la madre di Everlyne, l’ha buttata fuori… e non sa dove andare… Dalle stelle… alle stalle; dal resort cinque stelle Temple Point alla strada… con due figli. E questo, giuro, non lo posso permettere.