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Adozioni in Perù campagna 2017-2019


E’ la proposta di adozioni a distanza per tre anni (2017-2020) dieci bambini in Perù, con una offerta annua di Euro 300 per un totale di 900 Euro

LA BELLEZZA DELLA CARNE E DELLE LACRIME DI GESÙ
Dalla Introduzione all’Instant Book Juana di Valentina Alazraky
La speranza viene alla povera donna Juana, che vive nella miseria, dall’adozione di tre dei suoi cinque figli, Susana, Alicia y Maria Luz. L’altro colpo allo stomaco arriva quando leggiamo di Omar, un bambino, nato come Gesù Bambino un 25 dicembre. Oggi ha 12 anni. Omar è stato vittima di maltrattamenti e sfruttamento sessuale indicibili ma, credo, la ferita più grande che ha nel cuore, è quello di avere una mamma che ha assistito, in silenzio, forse impotente, forse no, alla malvagità inumana del suo compagno verso suo figlio, carne della sua carne.

Una mamma che come dice Omar a don Gigi, tra le lacrime, “non mi vuole”.  (…) Scorrendo il libro, incontreremo altri sei bimbi che avranno la fortuna di essere adottati a distanza. Altre sei storie il cui denominatore comune è la violenza, l’abuso sessuale commesso nell’ambito della famiglia, l’abbandono.

Sua Eccellenza Mons. Ciro, Vescovo di Juli

Ritroviamo ancora una volta donne che fanno parte di quelle terribili statistiche delle violenze perpetrate da uomini che non le considerano essere umani con una loro dignità, bensì semplici oggetti dei loro istinti più bassi. Eppure anche nelle storie drammatiche di questi bimbi, Adriana Jaquelin, Deisy Luz Daniele, le gemelline Melissa Donay e Melissa Danitza, Mariela Liz, con sindrome di Down, suo fratello Wilian Wifredo, un piccolo esserino denutrito che aiuta la mamma e la sorellina, ho trovato una luce. È il ruolo eroico che svolgono le nonne, i nonni, che in situazioni di vita di degrado fisico e psicologico, si occupano di questi bambini, depredati della loro infanzia, dei loro affetti a volte anche dalle stesse madri, sopraffatte dalla violenza e la miseria che devono subire, senza avere la forza di reagire.

I DIECI BAMBINI VIVONO A JULI  NELL’ALTIPIANO DELLE ANDE
Sono in viaggio verso Juli, seduto nel combi (il piccolo pulmino popolare che porta 16 persone) all’ultimo posto a sinistra. Scomodissimo scrivere. Un signore davanti a me sta mangiando con le mani una trota bollita con patate; a un certo punto fa una ruttata pazzesca e un tanfo altrettanto pazzesco mi ammazza. Pochi secondi e ritorna la normale puzza insopportabile, ma nulla in confronto alla ruttata. Il combi è pieno di gente, la giornata è bella, manca un’ora per arrivare a Juli.

Juli è un villaggio dimenticato dal mondo, in cui si vive in una incredibile povertà. Il vescovo non è presente da cinque anni perché malato a Lima. La Chiesa locale soffre: pochi preti e molto poveri. In questa terra desolata sulle Ande vi sono gravi situazioni di marginalità. La gente soffre: i vecchi sono abbandonati, i bambini disabili sono dimenticati e chi è che li raccoglie? Sono le suore di Madre Teresa, che per vocazione nel mondo scelgono tutti gli scarti dell’umanità. Ho scelto questo luogo per celebrare 31 anni di Messa. Lo scorso anno ero a Challapalca al carcere di massima sicurezza, quest’anno con le suore di madre Teresa. In questa giornata centrale del viaggio incontreremo dieci bambini disabili e in miseria, che accompagneremo per tre anni, assicurando alle suore tremila euro all’anno che da queste parti sono una bella somma. Sono felice di andare a Juli, di vivere con loro una giornata di servizio e di preghiera. Oggi ringrazio Dio per essere sacerdote da trentuno anni. La giornata è molto bella il sole è caldo e il freddo inverno dei 4100 metri è stemperato dal tremendo sole che brucia la pelle europea in 15 minuti. È come un ritiro spirituale questa giornata, e forse ancora meglio. Il tema di questo ritiro è Scoprire la ricchezza nella povertà. Interrogherò su questo le buone suore e i poveri che loro assistono con amore; nelle orecchie del cuore la frase di Papa Francesco che dice: i poveri sono la carne di Cristo.

E questa mi sembra una meravigliosa verità. Un uomo è sceso dal combi e riesco ad avere un po’ più di spazio per scrivere il diario; Olinda mi offre un mandarino. Lo mangio volentieri, annuso profondamente il suo profumo e lo gusto ancor più del suo sapore… Riesce a togliere la puzza del cibo che ristagna nel combi.Sono ormai al quarto giorno di permanenza in Perù. Ieri è stato molto bello l’incontro con la comunità di Conima, dove abbiamo celebrato la Messa; mentre il giorno precedente avevamo incontrato il Collegio San Roman e le dieci ragazze con le quali abbiamo terminato il programma di adozione a distanza.

Le giornate sono intense e sono programmate al minuto. Avviene così in Iraq, in Vietnam o in Kenya, in tutti i nostri viaggi. Lo sanno bene Emanuele, Giacomo, Caterina, Olinda, Marzia, Marco, Jimmy, Doreen o Lourdes e Magda che mi hanno seguito in questi viaggi. Viaggi duri, e anche pericolosi talvolta, ma che danno tanta pace al cuore. Con Santina dicevamo sempre: “Meglio stanca che depressa”. Questi amici, di cui ho scritto il nome, al termine dei viaggi erano stanchi, ma sicuramente non depressi! Questi viaggi non danno piacere, ma regalano felicità… E questo è molto diverso. Chiudo l’Ipad e finisco il mandarino dopo averlo annusato ancora una volta profondamente.

L’importo di Euro 3000 sarà versato in un’unica soluzione di Euro 3000 allo scadere dell’anno alla Diocesi  di Juli

ANNUALITÀ’ DATA IMPORTO
PRIMA RATA SETTEMBRE  2017-18  26 settembre 2017 3.000 E
SECONDA RATA SETTEMBRE 2018-19 18 ottobre 2018 3.000 E
TERZA RATA SETTEMBRE 2019-20 21 ottobre 2019 3.000 E
TOTALE   9.000 EURO 

LE NORME DEL PROGRAMMA. GUARDARE AL FUTURO CON LE RAGIONI DEL CUORE
Programma di Adozione a Distanza in Perù
Triennio 2017-2018-2019 Norme erogazione degli aiuti alle famiglie dei 10 bambini

  1. La quota annuale per l’adozione a distanza è di Euro 300 a persona e l’impegno è triennale per un totale di Euro 900.
  2. Raccolte le 10 quote annuali per un totale di Euro 3000, con bonifico bancario e facendoci carico delle spese bancarie in ricezione, con qualifica OUR, eroghiamo l’intera somma  alla Diocesi di Juli .
  3. La Diocesi di Juli  ci invia ricevuta di Euro 3000
  4. Mensilmente Padre Francisco  ci invierà resoconti fotografici, ricevute e note sull’impiego del denaro ed ogni semestre, od in occasione di un nostro viaggio di solidarietà provvederà a consegnarci ricevute di quanto speso.
  5. Al termine di questo anno in una approfondita revisione con il Vescovo si provvederà a rinnovare la terza annualità
  6. Per tutti questi motivi di impegno sono ad esortare tutti i genitori adottivi a non abbandonare il programma di adozione, viste anche le difficili situazioni di vita dei nostri piccoli.
  7. Le vie di informazione saranno solo 3:
    7.1. La pagina web dedicata al nostro programma, dove si troveranno i dati generali dei bambini, dei pagamenti e della situazione in cui essi vivono. Tale pagina è visibile a tutti
    7.2. La chat del gruppo di adozioni a distanza. In questa a scadenza regolare Padre Francisco provvederà ad inviare notizie più specifiche. 
    7.3 Una chat personale con Padre Francisco in spagnolo attraverso la quale avere notizie più dettagliate sui bambini.
  8. Il programma è triennale e non rinnovabile.

PRIMA ANNUALITÀ SETTEMBRE 2017-2018
In data 26 settembre 2017 il nostro tesoriere firma ordine di bonifico qui sotto riportato ed invia equivalente di euro 3000 al Vescovo di Puno. Ecco il nostro documento

Sua Eccellenza Mons.  Jorge Pedro Carrión Pavlich, Vescovo di Puno, con molta precisione ci invia mail nella quale si può vedere che i 3529,76 dollari sono stati dati alle suore di Madre Teresa a Juli. Suor Adonai dice di avere ritirato il denaro il 19 ottobre 2017. Ecco il breve messaggio dell’Ecc.mo Vescovo peruviano:
Remito constancia de entrega del dinero entregado a las Hermanas de la Caridad de Santa Teresa de Calcuta de Juli.

 

 

SECONDA  ANNUALITÀ SETTEMBRE 2018-2019
In data 18 ottobre 2018 il nostro tesoriere firma ordine di bonifico qui sotto riportato ed invia equivalente di euro 3000 al Vescovo di Puno. Ecco il nostro documento

Papa Francesco ci ha fatto dono di un meraviglioso e splendido nuovo Vescovo per la Diocesi di Juli che, su nostra richiesta, ha verificato dove fossero gli Euro 3000 da noi versati nelle casse della Prelatura lo scorso 18 ottobre 2018. Ringraziamo di cuore Sua Eccellenza per la chiarezza e la tempestività con la quale ha risposto alla nostra richiesta inviandoci una  bella lettera di ricevuta, che qui integralmente riproduciamo per testimoniare che i denari da noi raccolti giungono alla meta alla quale sono destinati, senza perdersi per strada.

JUANA E I SUOI TRE BAMBINI: SUSANNA, ALICIA E MARIA LUZ
Il volto che vogliamo descrivere in questo instant book è quello di una povera donna di quaranta anni, vittima di maltrattamenti, che si chiama Juana. In Perù essere donna non è semplice; la società è completamente maschilista, ancora di più sull’Altipiano andino. Le donne sono maltrattate e spesso trattate come animali. Prima di tutto la donna non beneficia dei dovuti servizi sanitari. A Juli, e anche a Juliaca, i servizi sanitari sono accessibili, ma non gratuiti, e spesso sono scadenti e insufficienti, talvolta divengono un miraggio. Moltissime sono ancora le donne che in Perù muoiono durante la gravidanza o di parto. Mi sono informato: secondo stime governative, per ogni centomila nascite, 185 donne sono morte per conseguenze legate al parto o alla gravidanza. Secondo invece un rapporto delle Nazioni Unite, la mortalità materna sarebbe addirittura più grave: il numero sarebbe 240 ogni centomila. L’aborto (manco a dirlo) non è legale, eppure moltissime sono le donne che ogni anno muoiono per un aborto clandestino. In ogni angolo di Juliaca si possono leggere cartelli che sponsorizzano un aguzzino piuttosto che un altro, come se si parlasse del posto più conveniente dove fare una ceretta! In questo viaggio mi ha colpito molto una passeggiata una sera a Juliaca, in una via tutta dedicata a queste luride cliniche per aborto clandestino; ho anche incontrato due ragazze che uscivano traumatizzate da questi macellai. In base ai dati dell’Instituto Nacional de Estadísticay Informática – INEI dello Stato Peruviano – più del 50% della popolazione peruviana è costituito da donne. Più della metà di questa percentuale è rappresentato da donne in età fertile (cioè tra i 15 e i 49 anni di età), tra queste più del 13% delle adolescenti sono già madri. Più del 20% delle donne comprese tra i 6 e i 16 anni, e quasi il 15% di quelle in età fertile, si trovano in condizioni di grave povertà. La difficoltà di accesso all’istruzione delle donne peruviane, soprattutto nelle zone più povere del paese, fa sì che il tasso di analfabetismo femminile sia particolarmente elevato. Sempre in base ai dati INEI, il tasso di analfabetismo nazionale è superiore al 12%. Se evidenziamo però le diverse percentuali in base al sesso, troviamo un valore di analfabetismo del 6% per gli uomini a fronte di uno maggiore del 18% per le donne. Queste percentuali aumentano nettamente nelle aree più povere del paese (le zone andine di Juli, Juliaca Huancavelica, Ayacucho e Apurímac), mentre si riducono nelle principali città costiere (Lima, Tumbes, Ica e Tacna). La netta differenza tra i dati femminili e quelli maschili dipende principalmente dal fatto che le risorse economiche delle famiglie sono destinate all’istruzione dei figli maschi, mentre le figlie sono considerate (e non solo riguardo l’istruzione) di secondaria importanza. Percentuali differenti tra uomini e donne si riscontrano anche nell’accesso al lavoro. Le possibilità di impiego sono maggiori per un uomo, mentre per le donne l’occupazione principale dovrebbe essere quella dei lavori domestici, la cura dei figli, il lavoro nei campi. Ciò non toglie che in una situazione di grave disoccupazione o sottoccupazione nella quale si trova il Perù, molte donne oltre a doversi occupare in casa di tutti i lavori che la tradizione riserva loro, siano costrette a lavorare fuori casa in impieghi occasionali, spesso giudicati inadatti alla dignità machista dell’uomo peruviano. Questo spesso comporta che, mentre l’uomo distrae con l’alcool la sua difficoltà a trovare un lavoro adatto, la donna diventa l’unica a portare un salario in famiglia, ribaltando il ruolo del capofamiglia tradizionale e generando frequentemente la violenza frustrata di un uomo messo in “secondo piano”. Una violenza accentuata dalle difficoltà economiche e sociali di larghi strati della popolazione peruviana e che trova come vittime elettive donne e bambini. L’Istituto di Medicina Legale peruviano ha riscontrato quasi 79mila casi di violenza familiare (più di 200 casi di violenza al giorno, circa 9 casi all’ora). Secondo i dati forniti dall’Encuesta Demográfica y de Salud Familiar (ENDES) il 41% delle donne è stata maltrattata, picchiata o aggredita fisicamente dal proprio marito o compagno. La maggioranza di queste episodicamente, ma un considerevole 16% abitualmente. Tra queste ultime, la maggioranza è costituita da donne in età compresa tra i 45 e i 49 anni, senza istruzione, separate, vedove o divorziate e residenti nei dipartimenti andini (Puno, Cusco e Huanuco). La violenza sessuale è una delle forme di violenza più drammatiche contro donne, bambine o bambini. Secondo i dati forniti dai Centros de Emergencia Mujer (CEM), e senza contare le migliaia di donne che non denunciano il loro stupro, si possono calcolare 54 aggressioni sessuali al giorno. Ciò significa che in Perù vengono violentate due donne ogni ora.Dopo questa panoramica possiamo ora parlare di Juana e situarla in tale contesto sociale dell’Altipiano andino.

Lo sfondo è da cartolina: le rive del Lago Titicaca e una collina che bacia il lago dall’intenso colore azzurro, sul dorso della collina è adagiata Juli ed al centro del paese la cattedrale in stile coloniale. Ci accompagnano le suore di Madre Teresa: la superiora sister Adonai e un’altra sorella africana; con noi c’è anche Padre Francesco. È la prima famiglia che visitiamo per raccogliere le storie di tre bambini piccoli che desideriamo adottare per tre anni, con il nostro programma di adozione a distanza, offrendo loro trecento euro all’anno. Il carisma di Madre Teresa di Calcutta ci porta a pensare che stiamo per visitare una delle più povere tra le case povere. E non ci sbagliamo. Olinda e padre Francesco parlano Aymara, perché la donna non parla spagnolo; avrò bisogno del loro aiuto. Il sentiero sale irto e il panorama si fa sempre più bello, i colori del lago e della bella collina incantano gli occhi. Le suore vengono spesso da queste parti e conoscono bene il sentiero che porta alla casa di Juana. Bussano alla porta, quattro assi sgangherate e vecchie tenute insieme da chiodi arrugginiti. Ma chi mai si sogna di entrare in quella che chiamiamo casa? Perché il mio primo istinto, appena entrato, è quello di uscire, di fuggire, scappare da quella desolazione. Il sorriso di sister Adonai apre la porta e siamo dentro.Il valore immobiliare di quella catapecchia? Mi diverto a domandare a padre Francesco…. Mi risponde che è di circa mille euro. Una desolazione assoluta: un pezzo di terra sporco con rifiuti, pezzi di carta, bottiglie di plastica, il residuo di una bambola… Una prima fune alla quale è legato un cane dagli occhi malati e dal pelo sporco e pieno di croste, altre due funi alle quali sono legati due maiali neri che si cibano di scarti, vicino a questi due maiali sporchi e dal pelo malato con grandi macchie rosa giallastro, un anatra magra con la zampa legata. E poi ciarpame, radici di albero, mosche in pieno inverno e a quattromila metri di altezza, per non parlare della puzza. “Ma dove sono arrivato, – mi domando – ma in che buco di inferno sono finito?”. Una bimba di quattro anni, Alicia, sporca e lurida sta coraggiosamente frustando uno dei due maiali, ci vede arrivare. E… due meravigliosi occhi neri si illuminano di luce. Ha riconosciuto la suora. Suor Adonai mi dice: “Don Gigi, qui abita Juana con i suoi cinque figli. Ti voglio proporre di adottare a distanza tre di loro e la prima è proprio la piccola Alicia”. La bimba ha smesso di frustare per gioco il maiale nero e ora si dedica appassionatamente a frustare il cane spelacchiato: è troppo piccola per fare a loro male; è una specie di gioco che gli animali sembrano sopportare benevolmente. Dalla catapecchia di destra appare Juana, la mamma di Alicia, insieme a Susana di dodici anni, un’altra delle figlie. Entro nella catapecchia e la desolazione continua e si fa aspra. Qui non è questione di povertà e miseria, ma di semplice pulizia. In quella catapecchia dormono Juana, Susana, Alicia e la piccola Maria Luz di due anni. Qui si tratta di igiene e pulizia. L’interno è un casino! Uno spazio veramente piccolo per quattro persone, e in questo lurido spazio, accatastati tra polvere, umidità, residui di cibo, recipienti di plastica luridi, vi sono panni sporchi e ammucchiati. Si può essere poveri e vivere in miseria, ma nella pulizia e nell’ordine. Avviene così dalle suore di Madre Teresa, nelle povere capanne del Kenya… Ma qui no! Quello che colpisce non è la povertà, ma la sporcizia, una sporcizia endemica, una sorta di contagiosa malattia che dalle cose passa ai luoghi e imbeve le persone… Eh, sì, perché Juana è sporca, lurida e i tre bambini sono peggio. Il risultato è un disagio profondo nel cuore. Non si deve qui dare denaro prima di tutto, qui si deve pulire, pulire tutto, lavare, disinfestare: fare rigorosamente pulizia, spogliare quella donna e quei bimbi, metterli in un bagno con candeggina per togliere loro il luridume depositato da anni. La donna offre il seno alla piccola Maria Luz, anch’esso è lurido ed è vuoto. La bimba non ci ciuccia molto! Guardo queste creature che sembrano uscire dalle fogne e mi dico. Ma Gesù che si incarna nella povertà, si può incarnare nella sporcizia? Non lo nascondo: il primo impatto è di ribrezzo per la sporcizia. Non esiste neppure la latrina. “Probabilmente – mi dice Olinda – fanno i loro bisogni nel piccolo terreno dove vi sono i due neri maiali”. Juana è triste. I suoi occhi sono lontani. Questa incredibile sporcizia è solo la cornice di una vita da brivido, da vomito, da nausea profonda. È difficile mettersi in ascolto quando la situazione che ho descritto crea una formidabile repulsione; non della povertà, ma della sporcizia. Guardo suor Adonai che mi sorride dolcemente, comprendendo il mio disagio. Juana si rivolge a Olinda e inizia a parlare una lingua per me incomprensibile. Per alcuni istanti non capisco perché, poi mi ricordo che in questa parte dell’altipiano si parla Aymara, l’antica lingua della popolazione che resistette alla conquista degli Incas (SE PLURALE INCAS???), che invece parlano Quechua. Olinda e Padre Francesco fanno da traduttori. Neanche le suore conoscono l’idioma e si rivolgono a Susana, che invece parla spagnolo.

La donna ci invita a entrare in un’altra catapecchia dove dormono altri due figli di Juana: Nestor di 18 anni e Monica di 17 anni, avuti da un primo marito. A questo punto, prima di parlare di Juana, facciamo il riassunto. Juana vive con cinque figli: Nestor e Monica , Susana, Alicia e Maria Luz avuti da un secondo uomo che è morto. La donna è sola, non ha un marito ora.Ci sediamo, tra mosche e spazzatura. Chiedo a Juana se tutti i figli sono lì. E la donna risponde di no. Olinda inizia a tradurre: “Padre, dopo aver partorito Susana io sono rimasta nuovamente incinta di una bambina che mi è morta”. Domando come, e Juana inizia un racconto che mi fa ghiacciare il sangue: “È notte e mio marito non c’è. Ho le doglie e inizio a partorire da sola, proprio qui, nel punto in cui sei seduto don Gigi. Nasce una bambina, la partorisco per terra, cerco di alzarmi con la forza delle mani, ma sono debole, il parto mi ha provata; e così cado addosso alla piccolina. Quando rinvengo ho attorno a me mio marito e la piccola Susana. La bimba appena nata è morta, la seppelliamo nel cortile e poi mi portano per le cure mediche all’ospedale. La polizia porta via mio marito per chiedere spiegazioni…”.Io sbianco e con me le suore, Olinda e Padre Francesco. Intervengo con voce forte: “Ma la bambina ora dove è sepolta?”. “Fuori, padre”. Mi alzo in piedi: “Fammi vedere dove!”. Usciamo. La donna e la piccola Susana indicano approssimativamente un luogo. Dove è quel luogo? Dove ora tra i rifiuti pascolano i due porci! Butto via penna e carta. Mi butto in ginocchio su quella specie di tomba; le suore, Olinda e il padre con me recitano un Pater, Ave, Gloria. E poi io bacio il terreno, lo bacio appassionatamente e con affetto, prendo tra le mie mani quella terra sporca di detriti e mi chiedo dove sia finito in questo inferno il rispetto per la vita umana. Almeno in Africa una piccola croce di legno indica il luogo dove una mamma è morta di AIDS e diviene un luogo di culto e preghiera. Ma qui no. Essere sepolti in un porcile è veramente una assurdità. Prego per l’anima della piccola, morta senza un nome e senza dignità. Guardo Juana e mi chiedo chi abbia davanti. Nel prossimo paragrafo capirete chi. Juana è uno dei tanti casi di maltrattamento, che, sia in Perù come in tutta l’America Latina, è presente in modo formidabile. La donna è giovane per avere cinque figli, ha infatti quaranta anni, anche se ne dimostra sessanta. Si sposa molto giovane e a 22 anni ha Nestor dal primo marito che si chiama Carlos. Carlos è un uomo violento e inizia a picchiarla a sangue. Una volta la colpisce sulla testa con un tubo di ferro; il segno della ferita si può vedere ancora oggi sotto i folti capelli. Mentre la donna mi racconta, fotografo la sua ferita. Dopo Nestor nasce Monica che oggi ha 17 anni. Carlos, dopo litigate furenti, lascia Juana e porta con sé Nestor… E qui inizia il dramma del piccolino, che viene selvaggiamente picchiato tutti i giorni. Da adolescente impara a bere e diventa alcolizzato attorno ai 15 anni. Nestor beve birra, o, in modo più economico, semplicemente e, più schifosamente, alcool. Il ragazzo non ce la fa più, scappa da Carlos e torna a vivere da Juana, che lo accoglie. Ma Nestor riempie la casa di un nuovo problema: svolge lavori saltuari, ma il poco denaro che riceve lo usa per bere. La donna parla la antica lingua Aymara, il suo volto è triste e sporco… Si ferma nel suo racconto, interviene Monica, la bella figlia di 17 anni, appena giunta da scuola: “Padre, ora mio fratello Nestor lavora in miniera; da un po’ di tempo non lo vediamo. Forse spende il suo salario in birra, e poi, come sai, il lavoro alla Rinconada non concede molti anni di vita!”. Juana sembra essere assente, la guardo in mezzo alla sporcizia: “Cara Juana, quante botte ti ha dato tuo marito, meno male che se ne è andato!”. Olinda traduce e la donna si fa triste. E mi risponde in Aymara: “Padre Luis, il peggio doveva ancora venire. Dopo Carlos mi sono messa con Pedro, l’uomo che recentemente è morto; e con Pedro è stato un inferno! Mi picchiava molto più forte di Carlos, mi violentava spesso in preda all’alcool. E poi, ferita e sporca di sangue, mi sbatteva fuori casa con il cane e i porci! Era una furia, porto ancora molte cicatrici delle sue violenze”. Olinda traduce diventando triste; anche Padre Francesco, che parla Aymara, diviene serio… Io penso al cadavere della piccola bambina sepolto nell’immondizia e inizio a capire che quando ti sbattono a dormire con i porci, piena di lividi, ferita e sanguinante, non è poi così difficile immaginare di seppellire tua figlia nel medesimo posto. La donna dagli occhi infinitamente tristi continua il drammatico racconto: “Padre Gigi, Pedro era un demonio, non solo mi faceva male e sentivo dolore, ma mi incuteva terrore con parolacce, minacce e urla. I bambini piangevano e minacciava di ammazzare me e i piccoli. Allora, avvolti in una coperta, li portavo a dormire nel porcile: lo sporco non faceva paura come le botte!”. Scrivo sulla carta con avidità ogni dettaglio di questa storia e inizio a capire che lo sporco è un altro guasto della violenza. Troppo comodo esser puliti quando non si ricevono botte e per sfuggirle non si è costretti a rifugiarsi nella spazzatura! Allora lo sporco, la spazzatura non solo diventa tua casa, ma tuo rifugio. Ami il porcile, perché lì non ricevi botte, perché ti mette al sicuro dalle ferite, dal sangue, dalle parolacce. Ti degrada lo sporco, ma paradossalmente ti protegge e lo sporco entra nella tua mente che si è ammalata per la sofferenza e inizia a far parte della tua vita. Sicuramente non si può accettare la situazione di sporcizia di Juana, ma la si può capire, a patto di vivere nella sporcizia e condividere, anche solo per un momento, questa vita senza dignità. Mentre Juana parla, le due dolci suore di Madre Teresa sono uscite dalla baracca, Alicia è tornata a frustare con la sua manina il cane sporco e purulento. Lui abbaia furioso, ma non la morde. Suor Adonai prende in braccio la piccola e lei inizia a urlare, poi si quieta. Nel frattempo Maria Luz, la piccola di 2 anni, entra nella catapecchia, con le manine cerca il seno della madre, lo trova tutto grinzoso e sporco… Prova a ciucciare non ci trova nulla e allora lo abbandona e si attacca all’altro, sporco e lucido, dal quale succhia un po’ di latte. Mi rendo conto che Juana avrebbe bisogno di una buona e lunga doccia e di vestiti nuovi perché quelli che indossa sono luridi e vecchi. Padre Francesco ci lascia perché deve andare a celebrare la Messa in un villaggio vicino. Le mosche continuano a infastidire; Olinda scambia alcune parole e poi torniamo a chiacchierare. Olinda inizia a tradurre in Aymara le mie domande: “Dunque, Susana, Alicia e Maria Luz sono i figli di Pedro; ci puoi dire qualche cosa su di loro, perché possiamo aiutarti con tre adozioni a distanza per tre anni?”. Sister Adonai interviene dicendo: “Il padre vuole darti un aiuto economico che invierà a noi da distribuire secondo i tuoi bisogni…”. La donna alla traduzione di Olinda accenna un sorriso di meraviglia che mi tocca il cuore.

Un sorriso che arriva da un angolo recondito del cuore in cui lo sporco non è riuscito a entrare e che mi dà una grande speranza: anche per la povera Juana lo sporco non ha avuto ultima parola… mentre pongo questa domanda, alla piccola porta sgangherata appare una ragazzina bella, con occhi vivaci e un sorriso splendido che mostra denti bianchissimi; ha dodici anni, si chiama Susana, ed è dolcissima. Saluta cortesemente e mi accorgo che parla spagnolo.Susana è la prima delle nostre tre adozioni a distanza in questa famiglia. Il fatto che parli spagnolo rende le cose più semplici… Posso parlare a lei direttamente. Alla prima domanda, nella quale chiedo la data di nascita, mi dice di non saperla. A undici anni non sapere quando si è nati la dice lunga sul tipo di educazione ricevuta. Sister Adonai chiede i documenti e Juana li va a prendere. La ragazzina è nata il 12 giugno 2006, ha appena compiuto dunque gli undici anni. È una bella ragazzina, coetanea di Nasren che abbiamo adottato in Iraq. Anche la sua storia è molto triste: va a scuola, ma quando finisce deve lavorare per aiutare la madre, soprattutto il sabato e la domenica.“Padre, il sabato mattina e la domenica vado a lavorare; inizio alle sette del mattino e termino alle quattro. Sono circa nove ore. Sono lavori saltuari, alcune volte devo lavare pavimenti, altre volte la biancheria, oppure vendere al mercato. Lo stipendio che ricevo per queste nove ore è di 5 soles (equivalente di un euro e mezzo)”. “Ma, Susana, ti danno da mangiare?”. “Sì, mi danno da mangiare, ma non è lo stesso cibo dei padroni, sono due patate o un po’ di riso e un bicchiere di acqua. Nulla di più. Durante la settimana invece, quando io sono in casa, devo accudire le mie due sorelline Maria Luz e Alicia, mentre la mamma è al lavoro. E non è sempre semplice”. Guardo le suore che sono incuriosite e domando in modo diretto: “Susana, perché è difficile?”. “Vedi, padre Luis, da alcuni mesi viene in casa all’improvviso un uomo adulto, il suo nome è Emilio. Una volta mi ha chiesto di seguirlo a casa sua per venti soles; ho capito che voleva abusare di me e della mia sorellina Alicia; e così ho chiuso la porta con paura. La sera ne ho parlato con mio fratello Nestor e lui, furioso, è andato a casa di Emilio chiedendo ragione della sua richiesta. Quello si è scusato dicendo che lui si considerava semplicemente come un padre, ma poi è tornato i giorni seguenti, ha cercato di baciarmi e di toccarmi!”. Suor Adonai interviene con molta forza: “Se ti capita un’altra volta me lo devi dire subito Susana, hai capito? Devo andare alla polizia se questa persona continua con queste molestie… Non aspettiamo che sia troppo tardi!”. Susana sorride dolcemente alla madre e risponde: “Grazie di cuore Sister Adonai per quello che fai per me e per le mie sorelle, lo terrò presente sicuramente!”. Sister Adonai ha una grande dolcezza, ma unita a un carattere molto forte e vigoroso, che non tollera le ingiustizie!”.  Questo ulteriore dettaglio del già catastrofico quadro familiare mi impensierisce molto per la totale remissività di Juana. In verità, chi si dovrebbe muovere è lei, non suor Adonai! Sento dentro di me l’amaro di una situazione di grande disperazione, dove è difficile trovare la forza per reagire. La madre Adonai mi guarda e a bassa voce mi dice: “Don Gigi, penso che questa famiglia abbia davvero bisogno del vostro aiuto e quindi ti suggerisco di destinare tre delle dieci adozioni a Susana, Alicia e Maria Luz”. Questa frase mi legge e mi conferma nel pensiero: sono molto d’accordo con la suora di Madre Teresa. Dopo un pomeriggio passato in questo inferno, anche io sono giunto a questa risoluzione; e che Madre Adonai abbia pensato la stessa cosa mi porta nel cuore una grande pace. Rispondo a lei con un sorriso: “Suor Adonai, mi trovi totalmente d’accordo! Prendiamo i dati delle altre due piccoline e adottiamo tutte e tre per tre anni”. Suor Adonai ha nelle mani le carte d’identità e legge: “Alicia è nata il 24 aprile 2012 e ha quindi cinque anni; mentre Maria Luz è nata il 30 gennaio 2015 e ha quindi due anni e mezzo”. Ricopio i dati accuratamente e poi mi alzo.Usciamo nel lurido cortile e con la preghiera e la benedizione con acqua santa ci congediamo dall’inferno… Non senza prima aver abbracciato le piccole e aver dato loro un bel bacio. Si chiude la porta di quella casa che gronda sofferenza e, mentre scendiamo nel viottolo, tutti restiamo silenziosi. Non abbiamo la forza di commentare questa esperienza, essa abbisogna di molto silenzio e molta preghiera per essere interiorizzata nella sua forza di significato.Scrivo questo reportage mentre viaggio da Copacabana a La Paz, in Bolivia. Questa mattina con Olinda ed Ernan abbiamo attraversato il confine a Yuguyo. Sono stanco, si cambia ancora il fuso orario di un’ora. Il combi è stretto ed è pieno; è difficile scrivere bene. Oggi abbiamo celebrato la Messa nel noto santuario mariano, abbiamo recitato il rosario e adesso, nelle ore della sera, viaggiamo verso La Paz. Lontano le montagne innevate; e più alta svetta la cima dell’Intilimani. Il paesaggio è quello della steppa dell’altipiano andino: siamo a 4100 metri, per le otto ci aspettano a cena nella parrocchia tenuta dai bergamaschi Mons. Eugenio Scarpellini, vescovo di El Alto e don Giovanni Algeri; sarà un bellissimo momento di fraternità. Chiudo l’Ipad e recito un rosario per Susana, Alicia e Maria Luz, senza dimenticare la devastazione che Juana ha nel cuore

OMAR
Dopo tre giorni intensi e belli passati a Munaypata nella parrocchia Santiago apostol tenuta dai sacerdoti bergamaschi, sto scrivendo in combi da La Paz a Villa San Roman. Da La Paz a Desaguadero sono due ore, poi si attraversa il confine e dalla Bolivia si entra in Perù, poi ci sono altre tre ore da Desaguadero a Puno e poi un’ora da Puno a Juliaca. Il viaggio non è comodissimo, soprattutto per narrare di Omar, ma il panorama è bellissimo. Il gelo forte dell’inverno, unito al sole intenso, brucia la terra che appare riarsa; alcuni contadini zappano una terra dura e ingrata, alcune vigogne stanno pascolando vicino a dei lama. Siamo vicino alle sponde azzurre del grande lago Titicaca, il lago più alto del mondo. Per prendere un po’ di forza in Perù non si beve caffè, magari con grappa, ma si mastica coca. Tolgo le foglie dal mio sacchetto colorato e lo richiudo meticolosamente; taglio dalle foglie il gambo secco, ne riunisco otto belle e ampie e me le pongo in bocca. La saliva inizia ad ammorbidire le foglie secche di coca. Quando sono più morbide inizio a masticare, con la lingua faccio una piccola pallottola e me la pongo dietro i denti vicino alla guancia per circa un’ora. Il suo effetto è molteplice, toglie la fame e l’acidità di stomaco, regala un certo stato di vigilanza e di forza, né più né meno che un paio di caffè ristretti italiani. Mentre il paesaggio scorre bellissimo, arriviamo alla frontiera. Tolgo lo zaino. Olinda ed Ernan hanno comperato un po’ di frutta, che qui costa di meno che in Perù. Io sbrigo le pratiche di immigrazione. All’uscita la donna ha comperato del pane caldo e delle olive. Troviamo il combi che da Desaguadero va verso Puno. Il combi si riempie… Salgono campesinos, pastori di vigogna e lama e il pulmino parte. Sono seduto vicino alla finestra; ho appena sputato la coca e Olinda mi offre pane e olive, con un bicchiere di acqua fresca… Addento il pane caldo: è squisito, ed è ora di pranzo. Lo mastico lentamente e il sapore mi pervade, lo accompagno con una oliva appena colta a Ica Nasca: è buonissimo, lo mastico e lentamente, boccone dopo boccone, finisco il pane. Molte volte in Italia andiamo alla ricerca di cibi raffinati e costosi, mentre nella povertà scopri la ricchezza di alimenti semplici e buoni come pane, olive e acqua fresca! È una giornata piena di sole ed è bello gustare il panorama della natura. Chiacchieriamo amabilmente con Ernan e Olinda; il tempo passa lieto, riempiendosi di ricordi vicini e lontani, e regalando il gusto di rapporti veri e semplici. Il ventitreesimo viaggio di solidarietà si sta concludendo con un bilancio più che positivo e con regali che mi danno gioia. Iginio, fratello di Olinda, che ho incontrato a La Paz, ha fatto tessere per me un meraviglioso poncho. Pesa quasi quattro chili, ampio, colorato e ben pesante, adatto a questo inverno andino per il quale viaggiamo a meno tre gradi. Mentre la lunga strada scorre tra buche e sassi, torno con la memoria a un’altra persona incontrata; si tratta di Omar, un ragazzo nato il 25 dicembre 2005. Ricordo che quel giorno di Natale lo passai vicino al letto di mia madre, appena colpita da arresto cardiaco. Le suore di Madre Teresa a Juli, dopo aver incontrato Juana e le sue tre figlie ci accompagnano ad incontrare Omar. La porta di ferro arrugginito di colore verde si apre ed entriamo in un cortiletto interno. Ancora una volta la sporcizia la fa da padrona; per una irta e sconnessa scaletta in mattoni, senza ringhiera, saliamo a una stanza al piano superiore. Suor Adonai bussa e la porta viene aperta. L’interno è un po’ più grande di quello della casa di Juana, ma in uno spazio di tre metri per cinque vivono sei persone: Omar, la zia di Omar, la sua nonna e tre cugini. L’arrivo delle due suore, di Olinda e mio riempie all’inverosimile la stanzetta. Mi siedo sul letto, dietro a me ci sono accoccolati tre bambini, mentre siede vicino a me, lui, Omar. È forse uno dei casi più disgraziati che abbia conosciuto di maltrattamento e sfruttamento sessuale di minori, ma andiamo con ordine. Il ragazzino di undici anni parla benissimo in spagnolo. Inizio con una domanda al ragazzino dal volto triste: “Omar, ti voglio chiedere subito, in modo diretto: – Perché non vivi con la tua mamma?”. Il bambino non si spaventa e con il volto basso, lo sguardo diretto verso il pavimento, inizia a parlare: “Don Gigi, io vivo con mia zia Iolanda perché mia madre Lidia, non mi vuole!”. Volevo essere diretto, magari ferendo il bambino, ma il piccolo è molto più diretto di me e mi stordisce con la sua risposta, più diretta della mia domanda. Incalzo il piccolo ascoltando la sua risposta semplice: “Omar quella che mi dici è una risposta piena di dolore! Mi vuoi dire come sia possibile che la tua mamma non ti vuole?”

Il bambino non si fa intimorire, ma il piccolo ha un cuore e quel cuore sanguina lacrime che escono dagli occhi, non impedendo a lui di raccontare una storia da brividi, resa ancora più triste dalle sue lacrime: “Mia madre, don Gigi, si chiama Lilia e mio papà si chiamava Victor. Mio papà e mia mamma si sono lasciati quando io avevo circa 4 anni. Mia madre si mette con Fausto, il mio patrigno. Padre, tu sai cosa significa essere violentati sessualmente a cinque anni? Io sì!”. Mi guarda dritto negli occhi, e io con il pollice asciugo le sue lacrime. “Mio padre Fausto inizia a violentarmi sessualmente e dopo di lui lo fanno i suoi fratelli, una specie di giocattolo erotico nelle mani di mostri, mentre mia madre guarda tutti questi abusi”. La sua voce è forte, le lacrime la rafforzano, mi entra il ghiaccio nei polmoni, li sento bloccati, questa pazzesca rivelazione mi ha tolto il respiro. Lo abbraccio teneramente, ma lui continua a parlare in modo diretto e forte. Dopo aver abusato sessualmente di me a cinque, sei e sette anni, mi ridicolizzavano con disegni erotici sulla schiena e sul petto, la vernice che usavano rimaneva molti giorni e con essa rimanevano la vergogna, il dolore e l’angoscia profonda, quella che spacca il cervello”. Omar attende una nuova domanda che invece non arriva perché sono rimasto ammutolito. Interviene la zia Iolanda con gli occhi lucidi: “Omar, racconta delle botte, del sangue, dei lividi e delle ferite…”. Guardo Iolanda, ma Omar riprende subito la scena. Non si scompone il piccolo, sembra non provare emozioni; le lacrime scendono, lui le asciuga e freddo continua il suo racconto di disperazione. “Padre, Il mio patrigno e i suoi fratelli non solo abusavano sessualmente di me, ma mi bastonavano, forte, forte… Ricordo ancora le urla e le implorazioni che rivolgevo a loro per farli smettere, ma questo invece li eccitava ancora di più, e alcune volte dopo le bastonate rimanevo per terra alcuni giorni!”. La nonna interviene: “Padre, Lilia, mia figlia guardava tutto senza reagire, fino a che un giorno quel demonio di Fausto ha fatto una cosa terrificante con il piccolo. Lo hanno messo in un…” … “Pozzo!”. Il ragazzino alza la voce e interviene sulla nonna. “Padre, in un pozzo! Mi hanno messo in un pozzo! Era inverno e dopo l’ennesima violenza sessuale e qualche bastonata decisero una sorta di castigo, che minimamente meritavo. La parola castigo non aveva nessun significato, unica colpa era quella di essere vivo. Era inverno, sotto lo zero. Tutto nudo mi legarono per i polsi e lentamente mi calarono in un pozzo fondo, buio e freddo. Padre: il buio, il nero mi entrava nel cuore mentre mi calavano e un inchiostro denso mi scriveva nel cuore il terrore, il contatto con acqua gelata, l’asfissia esplosero in un urlo sordo dopo il quale sono svenuto!”

Questa volta è il piccolo Omar che si getta a capofitto tra le mie braccia e mi stringe forte, con una morsa terrificante. Io non riesco ad abbracciarlo subito. Sono intontito, mi ha scaraventato in un’altra dimensione, e un lampo di odio mi attraversa il cuore. Odio forte. Sordo. Muto. Come è possibile tale malvagità? Come è possibile tale bestialità? Il desiderio di distruggere tali uomini si affaccia nel mio cuore. Lo scaccio come un torbido pensiero demoniaco di rendere male per male, e abbraccio con una forza incredibile il piccolo bambino. Lui se ne accorge e mi dice semplicemente: “Gracias, padre!”. Lo fisso negli occhi e gli dico: “Omar, forza! Dio asciugherà ogni tua lacrima! Se lui ti ha lasciato passare una prova così forte, lui ti darà la forza di reagire”. Sulle mani sento il bagnato delle lacrime e penso: ‘Davvero queste lacrime sono reliquie, le reliquie della carne di Gesù, sono le lacrime di Gesù stesso! Mai avevo pensato a Gesù in pianto nelle lacrime di questo piccolo!’. “Ti prometto solennemente, Omar, che ti staremo vicini dall’Italia per tre anni. E tornerò presto a trovarti!”. Omar rimane muto. È la nonna a concludere il nostro incontro. “Quella sciagurata di Lilia, mia figlia, regalò come un giocattolo il bimbo a una sua depravata amica. È stata Iolanda ad andare a prenderlo e a portalo qui con noi: Padre, dove mangiano cinque bocche ne mangiano anche sei!”. Non rispondo a questa dolorosa affermazione della donna; il ragazzino è ancora tra le mie braccia, allungo il braccio destro e do una lenta carezza a Iolanda, asciugando dalla sua guancia un grande lacrimone!Mi alzo; salutiamo. Scendo le scale; le mani sono umide delle loro lacrime. Cerco di avvertire fino in fondo quelle mani bagnate di lacrime. E il mio pensiero va lontano, vola al giorno più importante della mia vita, il 21 giugno 1986. Oggi è il 21 giugno 2017. Sono passati 31 anni da quando l’olio santo ha consacrato le mie mani rendendomi sacerdote; dopo trentuno anni le mie mani tornano a bagnarsi di un altro crisma ben più prezioso. Si bagnano questa volta delle lacrime di Cristo e quanto mi sento indegno di aver mani non più bagnate da un olio reso santo da una preghiera di consacrazione, ma bagnate da lacrime rese sante dalla sofferenza terrificante di un piccolo bambino peruviano. Mi metto segretamente a piangere, seduto in un angolo oscuro del viottolo di Juli, ringrazio Dio di questa nuova unzione con la sofferenza e sento forte l’abbraccio del piccolo, l’abbraccio di Gesù, le sue lacrime, la sua carne presente nella sofferenza di Omar. Ecco il regalo più bello di questo giorno anniversario, al freddo tramonto delle Ande peruviane.

GLI ALTRI SEI BAMBINI
Omar, Susana, Alicia e Maria Luz sono quattro delle dieci storie che abbiamo voluto raccogliere in un contesto di povertà estrema, dipingendo a forti tinte la loro miseria e il loro dolore. Suor Maria Adonai, la Superiora delle Missionarie della Carità di Juliaca, ha presentato altre sei storie che vogliamo riproporvi in modo più velato e meno forte dei primi quattro bambini. Tutti i sei piccoli vivono a Juli e saranno seguiti da vicino dalla Comunità delle Suore di Madre Teresa di Calcutta: le Missionarie della Carità.

Adriana Jaquelin
La bambina ha otto anni ed è nata il 28 agosto 2009 a Juli. Il papà si chiama Felix e la mamma Marisol. La nonna si chiama Yolanda e fu violata dal patrigno per molti anni e costretta alla segregazione in casa. La figlia Marisol, mamma di Adriana, è venuta al mondo per strada e suo padre morì in un incidente stradale. Marisol purtroppo soffre di un severo ritardo mentale e fu violentata dallo zio e da altri due uomini quando aveva 17 anni.Per questo suo forte ritardo mentale, la mamma di Adriana Jaquelin non può lavorare perché soffre molto a motivo del cambio di personalità repentino e di aggressività; così la piccola Adriana Jaquelin è curata dalla sua nonna Yolanda che si prende cura di altri due nipoti. Il papà della bambina ha abbandonato Adriana. Vivono tutti insieme nel villaggio di Juli, nella proprietà della nonna, ma la bambina che proponiamo per l’adozione a distanza soffre il trauma di non aver vicino la sicurezza di una madre normale. Marisol, in preda alle sue crisi di disagio mentale, spesso maltratta fisicamente e verbalmente la piccola Adriana Jaquelin.

DeisyLuz Daniela
La piccolina è nata il 30 agosto 2014 ed ha quindi tre anni, il papà si chiama Efrain e la mamma Dominga. Dominga si era sposata con Wilber e ha avuto da lui due figli. Unione felice, ma lo sposo morì per emorragia celebrale e lasciò così orfani due piccoli di 1 e 3 anni. Dopo la morte del marito, Dominga iniziò a lavorare per poter dar da mangiare ai suoi due figli. La suocera la voleva dare in moglie al suo figlio minore, il quale la maltrattava verbalmente e minacciava di portarle via i figli. Una notte alle 11 entrò in casa dalla finestra dove viveva Dominga e la violentò. Dominga si recò dalla polizia e lo denunciò, ma la polizia non fece nulla a riguardo. Non contento, il cognato tornò una seconda volta: la violentò e la maltrattò fisicamente e psicologicamente davanti ai suoi due bambini.Frutto di questa violenza sessuale è DeisyLuz. La piccolina spesso è maltrattata dal padre e dai familiari. Egli infatti non l’ha riconosciuta come figlia e non l’aiuta economicamente. La mamma si fa carico dei tre bambini e lavora dalle suore Missionarie della Carità.

Melissa Danay e Melissa Danitza
Sono due gemelline nate il 14 marzo 2007. Oggi hanno 10 anni. La loro mamma si chiama Elisa Benita e il padre si chiama Franklin. Le due gemelle vivono dai nonni, Sabino e Jacoba. Fino ai due anni le bambine sono vissute con i genitori, ma poi Elisa se ne è andata con un altro uomo abbandonando le sorelline al padre, il quale non si sentiva capace di crescere le gemelle e dunque le ha affidate ai nonni. La madre ha formato una nuova famiglia con l’amante, lasciando Melissa Danay e Melissa Danitza alle cure dei nonni. Essi non possono mantenere le gemelline perché sono anziani, hanno 70 e 68 anni. La mamma Elisa che ha 34 anni si rifiuta di dare aiuto e il papà che invece ha 30 anni le aiuta solo sporadicamente e come può. Le bambine soffrono grande solitudine e rifiuto. Tali bambine sono state sostituite lo scorso anno da BlancaFlor e da Josè, che subentrano nel programma per due anni.

MarielaLiz
Mariela è nata il 2 giugno 2007 e soffre di sindrome di Down severa; la mamma ha 35 anni ed è ragazza madre con tre figli. Il padre di Mariela è in carcere per una condanna di 21 anni dovuta allo stupro di un minore nella città di Tacna. La madre, durante i due anni di convivenza con il padre, ha sofferto molto per maltrattamenti fisici, verbali e psicologici. Mariela ha oggi 10 anni ed è nella terza classe della scuola primaria, ma il suo carattere risente dei traumi ricevuti e spesso scappa per andare all’immondezzaio e camminare sola per le strade. La bambina, come abbiamo detto, è Down e di conseguenza i professori non la considerano, anzi, spesse volte la maltrattano e umiliano. A motivo di tale sindrome, non apprende nulla a scuola e per questa ragione anche i compagni la deridono e la picchiano. Sua madre svolge lavori occasionali per una media mensile di 70 soles, che corrispondono a circa 21 euro. Dunque vivono nella miseria. Tutti vivono nella casa della nonna: in una stanza sono cinque persone e per preparare da mangiare devono cucinare all’aperto, nel cortile. È un’autentica condizione di miseria.

Wilian Wilfredo
È il fratello di Mariela ed è nato il 22 agosto 2008. È più giovane di lei di un anno. È in classe con la sorellina e si prende cura di lei durante le lezioni. La loro maestra li maltratta psicologicamente, con grida, disprezzo e umiliazioni a causa di Mariela. Tornato a casa Wilian aiuta nelle pulizie la sua mamma. È un bambino denutrito, perché la mamma non ha denaro per comperare alimenti per i suoi figli; mangia quello che trova in casa.Il ragazzo non conosce il suo papà e quando va al carcere a trovarlo lo vede come un uomo estraneo, non ha affetto per il padre perché il disgraziato padre stupratore è in carcere da otto anni.