Viaggi di Solidarietà

20MO VIAGGIO DI SOLIDARIETÀ: PERÙ 17-29 DICEMBRE 2016


RICONOSCERE LA PRIGIONIA PER APRIRE ALLA LIBERTA’
Inaugurazione asilo a Villa San Roman (Juliaca) e Natale nel carcere di  Challapalca per inaugurazione del Campo da calcio più alto del mondo a 5050 metri.

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SANTIAGO RICONOSCERE LA PRIGIONIA PER APRIRSI ALLA LIBERTÀ
Perù 17-29 dicembre 2016
Reportage del 20mo viaggio di Solidarietà

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RICONOSCERE LA PRIGIONIA PER APRIRSI ALLA LIBERTÀ
All’inizio del nostro libretto Emanuele Berbenni ci fornisce un riassunto cronologico del viaggio; esso è propedeutico alle due parti in cui poi il libretto si sviluppa: quella riguardante il tema della condizione dei bambini in Perù e poi la parte dedicata ai carcerati dell’Altipiano andino. Ascoltiamo Emanuele.
È mercoledì 28 dicembre e alle 17 stiamo aspettando in aeroporto il volo che ci porterà da Lima a Londra e, da qui, a Roma. Don Gigi mi dice di mettere nero su bianco le riflessioni su questo 20 viaggio di solidarietà in Perù. Siamo arrivati a Lima sabato sera 17 dicembre, dopo quasi 12 ore di volo da Madrid. Subito con padre Guillermo ci immergiamo, frastornati dal fuso orario e dalla fatica del volo, nel traffico caotico di una città di quasi 10 milioni di abitanti. Cena in un locale tipico di Lima, non lontano da Plaza de Armas, e poi a dormire nello storico convento di San Francisco.

Domenica 18 alle 7 messa a Nuestro Segnor de los milagros; questo è uno dei santuari più famosi di tutto il Peru’; la terza domenica di ottobre si svolge la processione una delle più imponente di tutto il mondo, con due milioni di fedeli. La chiesa è stracolma, incaricati che a fatica contengono le persone che si accalcano contro le balaustre dell’altare, don Gigi acclamato, cercato, strattonato; tutti vogliono essere benedetti, scambiare una parola, anche solo essere toccati. Mai vista tanta fede. Inizia così il nostro viaggio in Perù. Dopo la messa l’incontro con le suore claustrali carmelitane del Nuestro Segnor de los milagros ; poi in giro per la città accompagnati da padre Rafael: Santa Rosa de Lima, Santo Domingo e il suo convento, la Cattedrale in Plaza de Armas e il palazzo del Governo, infine San Francisco e il suo convento, dove raccogliamo notizie sul servizio gratuito di ristorazione a mezzogiorno che i frati francescani fanno per i bambini più poveri. Qui ricuperiamo padre Guillermo e andiamo a pranzo nel quartiere Miraflores sulla costa del Pacifico; dopo pranzo rientro in convento e partenza per l’aeroporto con destinazione Juliaca, sull’altipiano andino a 3800 m s/m dove ci attende Olinda con la sua famiglia e padre Joselo. Subito un po’ di mate di coca allevia i disturbi d’altura. Sistemazione nel convento francescano per me e Giacomo, don Gigi a villa San Roman da Olinda. La prima impressione è quella di una città disordinata e caotica. Ma bisogna cercar di dormire, nonostante l’insonnia, per la giornata piena di impegni che ci attende.

– Lunedì 19 subito al collegio San Roman, diretto da padre Joselo , per l’incontro con 1400 studenti di scuola primaria e secondaria e i loro insegnanti, e poi la messa. Inaugurazione della capella della Porziuncola, al centro della scuola nel cortile, con posa della statua di San Francesco portata dall’Italia. Poi di corsa all’inaugurazione dell’intervento di ristrutturazione dell’asilo a villa San Roman, alla periferia di Juliaca, primo importante appuntamento del nostro viaggio. L’incontro con i piccoli è emozionante. La festa, i balli, i loro baci e abbracci ti riempiono il cuore. Il muro che abbiamo costruito dà loro e ai genitori un senso di sicurezza e protezione maggiore; sapere che questi piccoli possono essere attaccati da cani randagi o talora essere rapiti – alcuni di loro non risultano neanche registrati all’anagrafe – da un lato ti getta nello sconforto, dall’altro ti riempie d’orgoglio per l’opera realizzata. Indimenticabili gli sguardi e il sorriso di alcuni di loro. Infine il viaggio a Puno, per l’incontro in orfanotrofio con le bambine e le ragazze in adozione a distanza. Ragazze abbandonate, spesso vittime di violenza all’interno delle mura domestiche. Ci propongono un musical. Celine, Luz, Gina e le altre, la loro felicità nei confronti di persone venute da lontano che le fanno sentire amate e le portano dei regali. Don Gigi le abbraccia e se le coccola un po’ tutte. Un saluto veloce alle suore che ospitano le ragazze e si ritorna a Juliaca, stanchi morti ma con il cuore stracolmo di felicità.


– Martedì 20 e mercoledì 21 viaggio di 6 ore in pullman per Cuzco, antica capitale Inca; sistemazione da padre Dante e visita della città. La cattedrale, le sue chiese coloniali, le piazze e le rovine Inca. Il mattino dopo si parte alle 5 per Machu Picchu, città magica incantata degli Inca. Qui abbiamo preso il volo, in tutti i sensi, non solo fisicamente, sempre più in alto ( anche se in realtà siamo passati dai 3800 m di Juliaca ai 3200 di Cuzco e poi ai 2700 di Machu Picchu). Questo sito archeologico, prevalentemente centro astronomico, unisce la terra e il cielo, rende tutt’uno il sacro e il profano, in perfetto ordine architettonico e in magica sintonia.
– Giovedì 22 rientro a Juliaca, una pasta e un caffè “italiani” da Olinda e una passeggiata nelle vie commerciali di Juliaca, la “Singapore” del Perù, una città che non si ferma mai, dove il traffico caotico e disordine la fanno da padroni. Unico inconveniente da brivido il tratto percorso in combi, pulmino-taxi, con autista ubriaco prontamente fermato dalla polizia. Ma il Perù è anche questo.
– Venerdì 23 partenza per Conima, sul lago Titicaca, vicino al confine con la Bolivia. Accoglienza da star in questo piccolo villaggio di campesinos, dove l’Associazione e la Fondazione hanno ristrutturato la chiesa del paese; corone di fiori, foto e presenza del sindaco alla messa. Quest’ultimo chiede a don Gigi un ulteriore impegno per la ristrutturazione del campanile. Visita alla casa Natale di Olinda con tutti i suoi parenti e, poi, via sul lago Titicaca a bordo di un gommone, con destinazione l’isola Suasi, un angolo di Paradiso. Un altro giorno finisce, con l’affetto di questa gente per don Gigi e l’Associazione alle stelle.
– Sabato 24 la nostra spedizione affronta il secondo e più impegnativo appuntamento di questo viaggio: la visita di 2 giorni al carcere di massima sicurezza di Challapalca a 5050 metri s/m, con l’inaugurazione del campo sintetico di calcio. Il viaggio dura circa 6 ore, attraverso paesaggi incontaminati della Sierra peruviana, piccoli villaggi di campesinos e greggi di pecore, lama, alpaca e vigogna a non finire. Lungo i corsi d’acqua alcuni gruppi di peruyana, bellissimi uccelli rosa con sfumature di rosso, simili a piccoli fenicotteri, stazionano quasi a dare un tocco di colore al paesaggio. Il viaggio sembra non finire più. A un certo punto flora e fauna svaniscono, tutto è più brullo e desertico e all’orizzonte appare la sagoma di quello che è il più temuto di tutti i carceri del Perù, Challapalca, carcere di duro castigo. Appena arrivati veniamo accolti dal direttore dell’Inpe, le guardie carcerarie e pianifichiamo il programma. Alle 18 si inizia con la messa per i carcerati. Don Gigi chiede espressamente di poterli incontrare da vicino e il direttore acconsente. Vengono selezionati e radunati una cinquantina di detenuti in uno spazio all’aperto, sorvegliati a vista dal personale dell’Inpe in tenuta da pronto intervento. Alcuni di loro si confessano pubblicamente. Uno è un efferato criminale conosciuto in tutto il Perù, il secondo un giovane di 21 anni omicida, l’ultimo Kelvin. A questo don Gigi ha portato un regalo e il prigioniero non trattiene le lacrime in un abbraccio che sembra non finire mai. Don Gigi parla di perdono divino, di misericordia, di carne di Gesù. La notte di Natale si avvicina con l’imbrunire. I prigionieri passano dallo stupore iniziale alla commozione. Anche le guardie si lasciano coinvolgere. I tre detenuti si comunicano. Alla fine don Gigi abbraccia tutti, uno per uno e regala loro un piccolo panettone. Abbiamo la sensazione di aver vissuto qualcosa di straordinario. E con questi pensieri ci prepariamo per la notte, alcuni di noi alloggiati nella struttura dove dorme il personale dell’Inpe, altri nella vicina caserma dove staziona un reggimento di militari. A mezzanotte la messa con le guardie carcerarie: Gesù nasce in una notte che più fredda non si può. Finita la celebrazione via a ripararsi da un freddo indescrivibile, in condizioni al limite del possibile. Ci chiediamo come si possa resistere a questo freddo senza riscaldamento in inverno. Per fortuna all’alba sorge il sole e torna un po’ di tepore.
– Domenica 25, alle 9 del giorno di Natale la tanto attesa inaugurazione del campo sportivo. Cerimonia impeccabile con tanto di inno nazionale del Perù ed alzabandiera. Nei nostri interventi ricordiamo quanto fatto dalla nostra Associazione in Perù e quanto forte si sia consolidato il legame con questo Paese. Alle 11 messa con l’esercito. Anche ai militari viene data la possibilità di celebrare il Natale in questo posto dimenticato da tutti. Alcuni di noi dopo la messa prendono la via del ritorno; i disturbi legati all’altura si fanno più pressanti. Io e don Gigi restiamo con l’intento di poter vedere alcuni carcerati dell’ala più dura. Il direttore ci fa incontrare attraverso le sbarre due gruppi di detenuti; don Gigi regala parole di conforto e speranza e un panettone. Ma non demorde e insiste con il direttore per poter incontrare da vicino alcuni detenuti di questa parte del carcere. Alla fine il direttore cede e in uno spazio aperto incontriamo, circondati dalle guardie, una ventina di detenuti. Don Gigi parla e abbraccia ognuno di loro e alla prima diffidenza segue una profonda commozione. Un piccolo panettone come regalo e un applauso finale dei detenuti chiude questa due giorni intensa ma veramente toccante. Un calcio di rigore sul nuovo campo di calcio, al quale non so rinunciare, e un bagno nelle acque termali a mezz’ora dal carcere, a 5100 m s/m, con un’aquila che sorvola la nostra jeep, chiudono in maniera spettacolare questa esperienza. Ora bisogna abbassarsi di quota per non prolungare i disturbi legati all’altura e così ci avviamo per raggiungere i compagni che ci hanno preceduto sulla via del ritorno. Un piatto di tortellini e un caffè italiano da Olinda, al nostro ritorno a Juliaca, sembrano una benedizione divina.
– Lunedì 26 recuperiamo un po’ di energie con una visita al sito archeologico di Sillustani, ad un’oretta di auto da Juliaca, accompagnati da padre Joselo. Il sito ai margini del lago Umayo è veramente rilassante, con le sue Chullpas, antiche torri funerarie di età preincaica e incaica. Il pomeriggio è dedicato alla visita dei reparti di pediatria e neonatologia del principale ospedale di Juliaca. I genitori e i bambini ricoverati, dapprima titubanti, vengono travolti dall’affetto di don Gigi. Preghiere, conforto e l’invito a combattere la malattia con forza si ripetono in ogni stanza dei reparti visitati. In Neonatologia don Gigi battezza 12 piccolini in pericolo di vita. Ai genitori il dono di un panettone.
– Martedì 27 visita al carcere della Capilla di Juliaca. Ci sono 980 prigionieri. All’ingresso, nei controlli di routine, trovano nel mio zaino foglie di coca che ho dimenticato e che mi sequestrano fra l’ilarità di tutti i presenti. Il carcere è bene organizzato, con possibilità di eseguire lavori manuali. Certo c’è sovraffollamento. Alla messa partecipano il direttore, le assistenti sociali, le guardie dell’Inpe e molti carcerati. Alcuni prigionieri si confessano pubblicamente e poi si comunicheranno. I canti del coro del carcere ravvivano quella che è una vera e propria festa. Benedizioni con quantità industriale di acqua santa ed io, come al solito, fra i bersagli preferiti di don Gigi. Ai carcerati l’invito a non perdere la speranza. Visita alle celle e saluti finali con il direttore. Nel tardo pomeriggio partenza per Puno per l’incontro con il vescovo Mons. Carron, non prima di aver visitato per un ultimo saluto il “nostro” asilo a Villa San Roman. L’incontro e la cena a seguire con il vescovo sono l’occasione per uno spaccato sulla chiesa peruviana in generale e su quella dell’altipiano andino in particolare, con l’evidenza di grosse difficoltà a gestire un’enorme e popolata diocesi con pochi sacerdoti. Si torna s Juliaca a preparare le valigie.
– Mercoledi 28 un aereo di primo mattino ci porta dalla Sierra dell’altipiano andino alla Costa della capitale Lima. Olinda e il marito Hernan ci accompagnano visibilmente commossi fino al gate. In capitale ci rechiamo a visitare alla clinica Tezza un amico cardiologo in questo modo tutto quello che avevamo programmato è stato portato a termine. In macchina raggiungiamo prima delle 17 l’aeroporto internazionale di Lima, provati dalla stanchezza ma pronti per il rientro in Italia.
Nel cuore la nostalgia di casa e degli affetti più cari ed il desiderio di una doccia calda e di un piatto “italiano” si mescolano ad immagini indelebili di paesaggi andini incontaminati, cattedrali e chiese coloniali, piazze storiche, campesinos con i loro animali, ma su tutto gli occhi dei bambini dell’asilo di Villa San Roman e delle ragazze dell’orfanotrofio di Puno in cerca di amore ed affetto, come quelli dei carcerati in cerca di comprensione e perdono. Abbiamo regalato loro la speranza. A Giacomo, mio compagno di viaggio e di fatica d’altura, a Olinda ed Hernan, ai figli Josmel e Jofran, ai padri Joselo, Guillermo, Rafael, Dante un grazie di cuore per avermi accompagnato in questo faticoso ma meraviglioso viaggio, che ci ha fatto davvero volare in alto.
Per il carissimo don Gigi ricordo il testo di una canzone che diceva “Vedrai miracoli se crederai” : il primo miracolo è averti ritrovato completamente trasformato da come ti ricordavo negli anni da adolescente trascorsi insieme; gli altri miracoli te li ho visti compiere in Italia, a Roma come a Bergamo, in Kenya nel mese di maggio ed ora in Perù. E questo per la tua grande fede. Grazie amico mio.

VERSO L’ALTIPIANO DELLE ANDE
Partiti… In aereo per Madrid, sonno per aver dormito come sempre poche ore per preparare, fare e disfare le valigie, e capire algoritmo dei soli 23 chili da non superare. Formaggio grana, caffè, tortellini, vino, cioccolato ecco parte del peso; altra parte del peso sono cose più nobili come una statua di San Francesco e della Madonna, o i regali per i bambini di villa San Roman. E con me Giacomo ed Emanuele: due compagni di viaggio magnifici, sono due medici di Bergamo che hanno deciso di prendere parte a questo ventesimo viaggio di solidarietà. Emanuele è un vecchio amico compagno di scuola che ho ritrovato solo un paio di anni fa e Giacomo è un suo collega; in questo viaggio sulle Ande del Perù inaugureremo un asilo a Villa San Roman a Juliaca e trascorreremo Natale nel carcere di massima sicurezza di Challapalca dove inaugureremo un campo da pallone e poi incontri con le ragazze che abbiamo in adozione a distanza a Puno, oppure a Conima per vedere la chiesa restaurata con il nostro intervento… Infine un ospedale povero di Juliaca e l’ incontro con i piccoli, con i bambini vittime di sfruttamento e con le manine rovinate dall’artrite a soli sei anni per il duro lavoro…. È un pomeriggio calmo e dopo le giornate frenetiche prima della partenza oggi sabato 17 dicembre stiamo volando sopra oceano atlantico. Dal display sembra che alle ore italiane 7.17 della sera e delle 12.17 peruviane, siamo non molto distanti da Santo Domingo, ma rimangono ancora 5.11 ore di volo per attraversare l’America Latina ed entrare nel cielo del Perù.
L’aereo è stranamente con molti posti liberi e così ci attribuiscono posti ottimi vicino al finestrino e con posto libero vicino. Sono seduto al posto 24A. Mi portando due quotidiani di Madrid: El Pais e ABC. Ogni giorno in ufficio in Italia giunge puntuale El Pais e anche ABC. Sono incuriosito ed inizio a leggere. Oggi è il compleanno di Papa Francesco; compie ottanta anni e ABC titola: Papa Francesco vive con la forza di due uomini di 40! È proprio vero, vive a duemila ed è anziano. Bellissimo iniziare il viaggio in America Latina con il ricordo di Papa Francesco. Il pezzo giornalistico è scritto molto bene ed il giornalista sembra informato: si sveglia alle 4,30 lavora per nove ore e… Prega per quattro. Quando leggo questo tempo di quattro ore, pur lavorando in Vaticano, mi rendo conto di sottovalutare e trascurare questa cosa. Davvero travolgente, attento ai più poveri, con uno stile di vita semplice ed austero, buon gesuita, ottimo comunicatore, un milione di doti, ma questa della preghiera così prolungata proprio me la dimenticavo. Guardo la mia vita e mi vergogno della mia preghiera stanca, assonnata la mattina presto, frettolosa, distratta e lui 4 ore? Per essere come lui devo imitare la sua capacità di preghiera, come tanto pregava Santina! Proprio all’inizio di questo viaggio mi impongo questa raccomandazione di pregare bene, di non trascurare la preghiera. Padre lombardi parlava della capacità di Giovanni paolo II di pregare durante i suoi viaggi. E io lo voglio imitare… Pregheremo la notte di Natale con i carcerati e i secondini in quel carcere duro, pregheremo con i bambini di villa San Roman, pregheremo con le ragazze che abbiamo preso in adozione a distanza, e pregheremo domani a Lima nel santuario del Signore dei miracoli, reciteremo per Antonella un rosario nella chiesa di santa Rosa da Lima. Si è vero Gesù è presente nell’ Eucaristia, nel Vangelo e nei poveri che sono la sua carne. In questi giorni incontreremo molti poveri e loro dovranno provocare il nostro cuore, lo dovranno scuotere, ma per fare questo il cuore deve essere ammorbidito dalla preghiera. “gratuitamente avete ricevuto e gratuitamente date, andate in tutto il mondo ed annunciate il Vangelo, curate i malati: questo è il brano che stavo meditando nella mia preghiera in aereo: è il testo di Matteo 10,5-15. Veramente il Signore mi ha concesso tanto e tanto devo dare e così voglio fare in questo viaggio, un viaggio che sarà ancora più bello vivendolo in comunità con Emanuele e Giacomo. Al collo porto la chiave spezzata che mi era stata regalata a Challapalca nel mese di giugno in occasione dei miei 30 anni di messa. Chissà cosa mi regalerà il Perù questa volta, forse la possibilità di riconoscere la mia prigionia, di decifrarla per aprirmi alla libertà che il Natale ci porta e che si chiama Gesù. C’è la farò? Stringo forte il medaglione della Madonna di Guadalupe che ho comperato in Messico il mese scorso e che ci protegge in questo viaggio. L’abbiamo al collo tutti e tre, ieri alla messa lo abbiamo messo al collo: Lei saprà farci scoprire nei poveri la carne di Gesù e Lei ci aprirà alla libertà. È proprio vero… iniziamo a recitare il rosario, ieri ho chiesto agli amici in Italia di recitarlo per noi, Papa Francesco ogni giorno recita tutti i tre misteri 150 ave maria e io voglio fare lo stesso… Me ne manca uno dei tre rosari. Chiudo l’Ipad, mi rilasso e recito con calma i misteri gloriosi. Da quando avevo 5 anni recito il rosario e dopo il mio viaggio in Vietnam lo recito con una corona fatta a mano da un sacerdote che è stato in prigione per Gesù per 15 anni, alcune volte cambio corona e lo prego con una corona di plastica gialla che proviene dal campo profughi di Dawdya in Iraq. Oppure con una corona di plastica bianca che viene dal Kenya, da una povera capanna piena di ratti e scarafaggi e che apparteneva a Nekesa, una donna sieropositiva che me l’ha regalata… Sono corone del Rosario piene di valore e che abbelliscono la mia preghiera. Non sono solo, oltre ai miei due amici la Madonna di Guadalupe è con me, ed a lei mi rivolgo per chiederle di vivere bene questo Natale con i carcerati disperati di Challapalca. Il monitor indica ora la città di Caracas sotto di noi. Dobbiamo attraversare tutto il continente, mancano ancora 4 ore e 41 minuti a Lima. Mi raccolgo …è tempo di pregare come Papa Francesco sa fare e come io voglio imitare. La serata è quieta e tranquilla… Come da molto tempo non passavo. Un saluto a tutti da questo volo di Iberia verso Lima all’inizio della novena di Natale. Mater mea fiducia mea!

 LA STATUA DI SAN FRANCESCO
Il primo giorno di viaggio è molto impegnativo. Un appuntamento dietro l’altro… Iniziamo alle ore 8 la messa con 1400 studenti. Per chi li vede la prima volta questa massa di ragazzi in uniforme verde colpisce molto. Emanuele e Giacomo stanno vicino a me, il padre Joselo concelebra e io vengo sedotto dal Perù. I canti della messa cantati da 1400 persone ti spaccano i timpani, ti riempiono il cuore di allegria. La messa conclude le attività scolastiche che riprenderanno dopo le vacanze estive. Gli alunni torneranno a scuola nel mese di marzo. Una breve omelia e poi dopo la messa il saluto a tutti i ragazzi. Alzabandiera discorsi e canti… I ragazzi vanno a lezione e noi invece con padre Joselo entriamo nella piccola nuova cappellina chiamata Porziuncola. Dall’ Italia, come Associazione, abbiamo portato in dono una bella statua di San Francesco alta sessanta centimetri. Un momento semplice ma molto significativo, benediciamo la statua e poi la portiamo al piedistallo per lei predisposto. È molto bello vedere professori partecipare a questo rito! Dopo il rito una veloce visita alle classi e poi via… Verso Villa San Roman, i bambini dell’asilo ci aspettano per inaugurare il muro che abbiamo fatto costruire a loro protezione.

I BIMBI DI VILLA SAN ROMAN E INAGURAZIONE ASILO ROSA
Scrivo in viaggio tra Juliaca e Cusco. Scrivo di ieri, della prima giornata a Juliaca. Ritmi forsennati per il primo giorno… Ore 8 messa al collegio San Roman, benedizione della statua di San Francesco che abbiamo portato da Roma in regalo come associazione alla nuova cappella della Porziuncola, poi corsa a villa San Roman dove abbiamo celebrato la messa, inaugurazione della ristrutturazione dell’ asilo, discorsi ufficiali e una grigliata di pollo e poi dopo un caffè alla casa di Olinda in combi verso Puno per la festa di Natale con le dieci ragazze in adozione a distanza, poi ancora incontro con gli ufficiali dell’ istituto penitenziario nazionale INPE per gli ultimi dettagli dei permessi di ingresso al carcere di massima sicurezza; infine visita alla cattedrale di Puno dove vi è il Cristo della pallottola. Narra una leggenda che un ladrone si nascose in chiesa dietro il crocifisso per sfuggire alle guardie. Le guardie nel tentativo di colpirlo spararono, ma la pallottola si inchiodò nella spalla del Cristo è il ladrone si salvò. Bella leggenda, dai profondi contenuti… Con la quale chiudiamo la nostra infuocata giornata a Juliaca. Questo ritmo tanto stretto ed esigente affrontato poi in situazione di disagio e di durezza a motivo del fuso orario che ci impone ancora il ritmo europeo, a motivo della stagione che qui è estiva e poi… A motivo suo… Di Lei, quella che ha comandato il nostro fisico: l’Altura come qui la chiamano, l’altezza dei nostri 3800 metri! Di tutta la giornata campale penso che sia difficile identificare l’emozione più forte, tutte belle e alte dal grande valore formativo, ma personalmente e penso che i miei compagni di spedizione siano d’accordo è stata l’inaugurazione del piccolo asilo di villa San Roman della quale vi voglio parlare. Di tutte le opere di luce che abbiamo realizzato Emanuele sottolinea nel suo discorso alla inaugurazione che questa opera ha un valore molto speciale per il suo servizio ai bambini. Ha veramente ragione l’attenzione ai piccoli ed alla loro formazione è molto importante in tutto il mondo, ma soprattutto in un Paese come il Perù in cui la parola traffico minorile, sfruttamento di bambini, traffico di organi ha una grande forza per la sua presenza massiccia. Un fenomeno contro il quale l’autorità del governo cerca di lottare ma inefficacemente! Di Villa San Roman ho già parlato nel mio libro Opere di Luce e nel libro Kelvin, ma in occasione di questa inaugurazione voglio raccontare qualcosa di nuovo di questo bario che amo moltissimo a motivo della sua povertà e della sua situazione di abbandono. In questa Villa della Miseria, come ben definirebbe Papa Francesco questo bario, non esiste impianto di fogna, la gente non ha il minimo senso civico e comune, ma ognuno cerca di fregare l’altro per garantirsi la sua proprietà che proprietà non è perché la gente invade terra non sua, case non sue e vi abita come padrona. Il comune non fa nulla e spesso non può fare nulla in questa villa. La gente si è organizzata in due grandi gruppi di potere un primo gruppo della urbanizzazione vuole garantire la terra agli invasori, sono gli invasori stessi che si proteggono, non con la logica del bene comune ma solo quello personale, essi hanno un presidente e vogliono dettare legge. Poi vi è il gruppo di persone alle quali appartiene la famiglia di Olinda che vogliono invece garantire la propria proprietà e un minimo di legalità nel bario e vi è un presidente eletto dal popolo. A questi due gruppi in discrepanza tra loro si deve aggiungere un terzo gruppo di persone che rifiuta di prendere parte ad uno o all’ altro gruppo. Il risultato è squallido… Non esiste un impianto fognario, le strade non sono asfaltate, vi è poi il grave problema dell’immondizia e quindi dell’igiene. Si pensi che il nostro asilo non ha impianto di fogna… Ma quanto più mi ha fatto incazzare è che la costruzione di questo muro di cinta all’asilo ha fatto irritare molti! Invasori che avevano le fogne nel terreno destinato dal comune all’asilo e che si opponevano alla costruzione, gente del bario che tentava di rubare il cemento del muro per la propria abitazione e poi gli stessi muratori che cercavano di arrotondare lo stipendio fregando mattoni e sacchi di sabbia… Un vero e proprio casino! Ma tutti questi motivi al posto di scoraggiarmi mi facevano ancora di più arrabbiare contro questa situazione sociale e con aiuto di Hernan, Jommelli e Olinda e con l’appoggio della direttrice dell’asilo i lavori si sono faticosamente terminati. Tra le diverse inaugurazioni nel mondo: dal Vietnam al Kenya e al Messico, questa è stata forse la più sofferta e la più umile, ma loro i bambini di villa San Roman ci hanno rubato il cuore. Non eravamo in molti, perché chiaramente gli invasori non vi erano a protesta di questa assurda legalità conferita al nostro asilo dal muro che oltre proteggere i bambini protegge la proprietà dell’asilo stesso. Eravamo una cinquantina di persone, con molta disorganizzazione, ma non importa quest’ opera mi ha sedotto! Perché con la sua umiltà è però visibile al mondo intero. Il progetto infatti è passato da 50 metri lineari a 179 metri lineari: tre volte e mezzo in più. Alle 11.30 inizio la Messa all’ interno dell’asilo ci sono tutte le mamme e quasi tutti i 35 bambini. Al nostro arrivo ci accolgono con coriandoli gialli che ci riempiono totalmente la testa di un colore giallo, al punto che Marzia guardando la testa del marito in una foto whattap commenta: “Ma cosa avete fatto ad Emanuele con la testa gialla sembra un pulcino”… I pulcini c’erano ed erano loro i 35 bambini! Dopo la celebrazione della messa passiamo a scoprire la grande targa della nostra Fondazione. Emanuele ed Olinda strappano il grande velo bianco e scoppiano gli applausi… Poi con una breve preghiera dò la benedizione e piano piano benedico i bambini presenti fuori e dentro l’asilo. Bambini poveri, trascurati, che vivono in mezzo ai cani randagi, senza igiene, ma che nelle ore di asilo trovano un momento sereno alla loro triste vita. Ma quanto sono belli! Emanuele e Giacomo sono letteralmente assaliti da loro, li tirano per i pantaloni, vogliono salire in braccio e poi le mamme orgogliose le pongono nelle nostre braccia e poi felici fanno una foto al cellulare di ricordo del padre italiano e dei due esponenti di Fondazione Santina. Loro le mamme sono contente, sono veramente felici di quel muro che protegge i loro piccoli e lo fanno capire con abbracci e ringraziamenti. Mentre si susseguono i discorsi di rito di Emanuele, Olinda, il presidente della urbanizzazione i bambini si preparano per i loro balletti e le loro poesie. Le mamme tengono in braccio o sulla schiena quelli appena nati… E mentre guardo i piccolini identifico anche le mamme, come Gladys che a soli 22 anni ha già 3 figli, delle mamme bambine che hanno ancora sul volto i tratti marcati di una adolescenza troppo presto finita. Proprio Gladys sta allattando al suo seno la piccolina di tre mesi, un po’ più grande della piccola Santina in Africa. Tra le sue gambe gioca il bimbo più grande che avrà forse due anni. Incuriosito dalla mamma che dà il latte alla sorellina, Marcos si mette a piangere e reclama anche lui il seno… La ragazza abituata a tale scena di gelosia e di fame stacca dal capezzolo la piccolina e lo offre al bimbo. Qualche ciucciata e poi il piccolo richiamato dai colori dei vestiti dei bimbi più grandi libera il seno della mamma e corre a giocare con gli altri e la mamma riprende a svezzare la piccola Linda. Queste meravigliose scene di dolcezza in un luogo dimenticato da tutti e in cui il comune mette il piede di malo modo mi danno grande forza! Il comune non si fa vedere per ringraziare, gli invasori sono amareggiati e non festeggiano di sicuro… Ma quelle mamme con i loro bambini fanno festa vera, la festa della vita. Sono dimenticate da tutti, talune senza compagno o marito, ma con la loro forza di vita sono una grande luce che ci insegna la libertà. Guardo Emanuele e Giacomo visivamente commossi e guardo la buona Olinda. Ha lavorato duro, prima in Italia per la sua famiglia ed ora qui in Perù per il suo popolo. Molte donne che rientrano in Perù non gli interessa niente degli altri, pensano solo ai propri interessi. Olinda invece in Italia ha avuto una grande insegnante la nostra Santina e da lei ha imparato la generosità del servizio e questa bellissima opera la dobbiamo al suo impegno e alla sua determinazione! Villa San Roman è povera, ma quando ci arrivo imparo tante cose. E ieri è stato bello poter inaugurare tra danze colori e canti questo piccolo asilo. I bambini danzano, cantano con dei bellissimi vestititi, uno mi recita una bella poesia imparata a memoria, abbiamo portato dei piccoli babbo Natale dall’Italia che tutti si rubano ed anche un piccolo panettone a testa. I trentacinque bambini felici ricevono panettone e giocattolo… Ma il piccolo Marcos si avvicina, lui non ha ricevuto il panettone, mi tira i pantaloni lo prendo in braccio e il piccolino scoppia a piangere nuovamente volendo un panettone tutto per lui!! Ma come fai a dire di no a quei lacrimoni? Poverino anche lui vuole il panettone, guardo Olinda, Josmell se ne accorge e immediatamente mi offre uno dei pochi panettoni rimasti. Lo consegno a Marcos che corre felice da Gladys e glielo consegna. A quel punto la donna si alza e mi viene incontro mi abbraccia forte e dice: “Lo mangeremo a Natale in tuo onore Padre e grazie per quello che hai fatto per noi!” Non posso rispondere alla donna perché mi sento tirare i pantaloni è lui Marcos il piccolino di due anni dagli occhi con i lacrimoni. Mi salta in braccio e mi stampa sulla guancia un sonoro bacio e con la sua vocina mi dice “Gracias Padre!” Il bacio del piccolo mi si stampa nel cuore e scrive come un tatuaggio indelebile il bellissimo ricordo di quella inaugurazione: un luogo piccolo, sconosciuto sulle Ande del Perù un luogo però pulito e sicuro che libera i bimbi dalla prigionia della povertà umana e li apre alla libertà di nuovi orizzonti! Stiamo per arrivare a Cusco e chiudo l’Ipad.

 

LE RAGAZZE DEL TALLER MIRANDA A PUNO
Sono in viaggio da Cusco a Juliaca posto N. 3. È un bel pullman questa volta anche perché ad Emanuele fanno problema le galline, ma insieme a Giacomo reggono davvero bene alle difficoltà e asperità del viaggio del tipo: alle docce con acqua fredda, a non radersi ecc. Ecc. Giacomo, Emanuele Olinda viaggiano con me, il viaggio dura sei ore ed io mi siedo vicino ad un colombiano. Julian è un giudice in vacanza con la figlia ed ha la mia età. Iniziamo a parlare della Colombia dove il Presidente Santos ed Uribe stanno gestendo una situazione molto difficile nella costruzione della pace. I due si sono incontrati da Papa Francesco a Roma proprio alcuni giorni fa, ma la prospettiva di collaborare insieme sembra essere molto difficile. La nostra chiacchierata prosegue per un’ora poi mi dedico alla preghiera del breviario ed ora mettiamo per scritto il nostro incontro con le ragazze di Puno che abbiamo in adozione a distanza: sono 10 e nel libro Opere di luce potete incontrare i loro profili. Inizia con gennaio il terzo anno di adozione e con esso si conclude il ciclo educativo per ciascuna delle 10 famiglie che in Italia hanno adottato le bambine. Le ragazze di Puno sono ospitate al Taller Miranda dalla bontà di suor Flora che gestisce l’orfanotrofio. Sono ragazze che hanno subito violenza, e anche violenza sessuale. In Perù vi è il grave problema del traffico di minori e del loro sfruttamento. Juliaca sorge poi vicino alla Rinconada una località nota per le miniere di oro. In tali miniere si sfruttano i bambini. Dovete sapere che in alcune aree depresse i piccoli non vengono ancora registrati all’ anagrafe e dunque ufficialmente non esistono, non hanno documenti. Parliamo di bambini che a cinque o sei anni lavorano facendo mattoni o setacciando oro e che a dieci anni muoiono e nessuno sa che sono vissuti. Dei giganteschi aborti. Che pesano forse 12 chili… Una piaga che fa disonore al Paese, ma che gente spregiudicata usa per arricchirsi facilmente. I bimbi lavoratori poi non si lamentano, piangono e basta. È un inferno nero e cupo che nessuno descrive e che a nessuno interessa descrivere. Molti di essi invece vengono impiegati per lavori nei campi dove accudiscono le pecore e vengono trattati come cani da guardia e la notte vengono messi a dormire con le pecore stesse come avveniva per Gina di etnia aymara. Tutti questi crimini vengono molte volte nascosti. Ancora proprio sfruttando la caratteristica di non avere identità civile i bimbi vengono venduti per traffico di organi e così scompaiono tagliati a pezzi idealmente ancora prima di essere uccisi: reni, cuore, cornee, polmoni, tutti venduti da gente spregiudicata ed i piccoli di 4 o 5 anni continuano a vivere come pezzi di ricambio in uomini e donne pieni di soldi e vuoti di cuore. Queste descrizioni raccolte di prima mano a Lima a Cusco e a Juliaca riescono nel cuore a tratteggiare il contesto dello sfruttamento di minori che vorremmo conoscere in questo viaggio. Il Taller Miranda tenta di rispondere con l’impegno delle suore all’accudimento di orfani e bambine sfruttate picchiate e violentate. Proprio loro siamo andati a trovare! Ormai mi conoscono è la quinta volta che vado da loro, alcune di esse, le più grandi hanno chiesto amicizia in Face Book e con la curiosità propria dei ragazzi riescono a seguire cose scritte in altre lingue… Vogliamo con loro festeggiare il Natale vicino, Olinda ha comperato dei piccoli panettoni per festeggiare. Ci sono dei nuovi arrivi alcune ragazze arrivate da poco ci conoscono per i racconti delle altre che invece da due anni incontriamo e seguiamo. Tra di esse vi è la più piccola che si chiama Celine. Una bimba bellissima i cui genitori hanno contratto un grosso debito con la banca e non possono mantenere. Mi corre incontro e mi salta in braccio; la piccolina ha tremendo bisogno di affetto e lo mostra con innocenza. Anche Maria, che ora ha nove anni mi corre incontro. Le ragazze e le bambine sono contente di vedermi e di vedere Olinda. Rimangono invece più fredde e sospettose di Giacomo ed Emmanuele. Giacomo poi con la sua altezza dev’essere per loro un’incognita, ma basta dieci minuti per sciogliere il ghiaccio e creare grande cordialità. Mi siedo sui gradini e piano piano appaiono tutte. Mi circondano, si appoggiano sulle mie ginocchia, Celine si siede in braccio. E mi accorgo di come sono cresciute. Questo avveniva in settembre anche in Vietnam poi in Messico a novembre ed ora anche in Perù. Loro crescono e io divento vecchio. E così mentre Emanuele, Giacomo e Olinda parlano con suor flora noi chiacchieriamo. Cinque minuti, ma meravigliosi. Dico a Jesica la ragazza più grande che è oramai a 18 anni: “Quanto sei cresciuta…. Non ti riconosco più”. Lei dolcemente mi risponde: “Padre, per dirti la verità anche tu hai i capelli bianchi ora. A giugno eri completamente rasato e quindi non li potevo vedere, ma ora hai fili argentati tra i capelli”. “È vero, rispondo, ma la cosa bella non sono i miei capelli grigi, ma che insieme a quei fili di argento sono cresciuti nel mio cuore fili di oro che siete tutte voi. È bello invecchiare vedendo crescere voi che mi date tanta speranza è gioia. Il male che avete ricevuto lo sentite ancora come una brutta cicatrice, ma in questo luogo, anche grazie alla nostra associazione state crescendo”. Maria la piccolina mi mette la mano tra i capelli e ne strappa uno bianco. “Ecco padre, lo vedi anche tu che hai i capelli bianchi?” “Si lo vedo, e sono contento di vederlo perché chi mi ha strappato questo capello bianco sei tu Maria e tutte voi con la vostra vita siete capaci di togliere i capelli bianchi e di farmi ringiovanire! Come sto bene con voi, come mi sento giovane e pieno di vita, i vostri biglietti e le vostre letterine le porterò in Italia e parlerò di voi con gli amici in Italia. Non sapete quanto bene anche voi state facendo a loro. Ad esempio il signor Lombardo Pedio che abita in Svizzera ha più di ottanta anni, lui ha adottato Gina. Ogni volta che vado a trovarlo mi parla di lei, ma la cosa più bella è che tiene le foto di Gina in casa come se fosse una figlia o forse meglio una nipote”. Gina mi guarda silenziosa e rimane un po’ imbarazzata. “È vero Gina in Italia ci sono tante persone che vi vogliono bene e che vi fanno del bene, ma è più il bene che voi fate a loro con la vostra vita che quello che loro fanno per voi. Di Lombardo è proprio vero così. Anzi ti ha inviato un bel regalino per te è un vestito bianco molto carino… Poi dopo dobbiamo fare una foto così gliela inviamo e possiamo farlo contento. Va bene?” La ragazzina mi risponde di sì e felici continuiamo la nostra chiacchierata nel clima secco di una delle prime sere di estate che qui inizia il 21 dicembre. Ingrid si è fatta crescere i capelli ed è bellissima sono molto fiero di lei, potrebbe diventare un’attrice per la sua bellezza. La ragazza di sedici anni è seduta alla mia destra sui gradini del campo di basket, appoggia la sua testa alla mia spalla destra ed ad alta voce mi dice: “Padre noi vorremmo vederti più spesso, e vorremmo conoscere anche queste persone…” Le do un bacio sulla fronte e dico: “E’ una bellissima idea Ingrid, anche loro vorrebbero questo, ma come facciamo per la lingua? Loro non parlano spagnolo… Forse potremmo fare come in Africa, avere una connessione whattap con le suore, almeno per scambiarvi fotografie”. Ana Luz mi dice: “don Gigi le suore hanno dei cellulari molto vecchi e semplici non hanno whattap!” “Peccato, rispondo io, cosa potremmo fare? Quando la Santina era viva io la vedevo cinque volte al giorno con skype… E mi ricordo che una volta con suor Maria ci eravamo viste con skype. Che ne dite se chiedo a suor Flora di vederci una volta al mese?” Le ragazze e le bambine tutte insieme mi dicono di sì. “Bene, proseguo io, allora parleremo con suor Flora, sono convinto che sarà contenta ed io una volta al mese da Roma potrò vedervi e stare un po’ con voi!” Olinda ci chiama perché deve iniziare lo spettacolo di Natale. Insieme tenendoci per mano giungiamo al salone e loro, scappano insieme alle altre per indossare i costumi della festa e della recita. Mi siedo al posto preparato vicino a Olinda ed Emanuele: anche loro sono pieni di gioia; le altre ragazze delle trentadue dell’orfanotrofio li hanno stregati e vedo nei loro occhi la commozione dell’incontro con loro. Canti natalizi, scenette deliziose, balli inca, poesie riempiono la serata di festa che si conclude con il dono di piccoli babbo Natale in peluche inviati loro da mia sorella Carolina e del buon panettone che le ragazze si gustano avidamente. Recitiamo la preghiera, beviamo con le suore un mate caldo e poi con suor Flora corriamo all’ INPE per ricevere i permessi di ingresso al carcere di massima sicurezza nel giorno di Natale. Sono felice, ma gli occhi di Giacomo ed Emanuele, velati di stanchezza luccicano per la forza di un incontro con ragazze devastate dalla vita, ma che non hanno perso la speranza e che hanno la capacità di togliermi i capelli bianchi e di darmi energia atomica. Me le abbraccio e bacio tutte, ci rivedremo ancora prima di partire per Italia. Si è fatto buio e dobbiamo scappare. Emanuele e Giacomo lasciano le loro coccole a fatica e cercano di fotografare il loro affetto con gli occhi del loro cuore. Una giornata campale, ma che dona all’anima una profonda pace!

SANTIAGO
Ero venuto in Perù con idea di far luce a me stesso ed agli amici, che con amicizia vivono la vita della nostra associazione, sul dramma dei bambini sfruttati. Mio ero documentato bene prima di partire e già in Opere di Luce avevo descritto il fenomeno dei bambini lavoratori nella zona di Mazuko nella regione di Madre de Dios nella selva, sfruttati nelle miniere. Poi era stata la volta di un breve video su bambini che facevano mattoni ed impastavano con le loro manine deformi a 5 o 6 anni per artrite a motivo della forte e continua umidità con la quale erano a contatto tutto il giorno. Mai però ero riuscito a trovare una storia concreta. Sono 9 milioni i bambini lavoratori dell’America Latina. Dietro al Brasile, che detiene il triste primato, si piazza il Perù, con i suoi 1.6 milioni, secondo le stime ufficiali: uno su 4, nella fascia di età tra i 4 e i 14 anni, la metà dei quali ha meno di 13 anni. Fanno di tutto: lucidano le scarpe dei signori nelle strade polverose della capitale, vendono caramelle e schede telefoniche ai semafori, fabbricano mattoni, spaccano pietre, custodiscono il bestiame, scendono nelle viscere della terra in cerca di metalli preziosi, aspettano agli incroci maleodoranti l’occasione di pulire un parabrezza, in cambio di pochi spiccioli. Questo viaggio oltre all’ incontro con i carcerati di Challapalca aveva come suo obiettivo la descrizione più accurata del mondo dell’infanzia e dei bambini in genere, per questo motivo il viaggio era iniziato con l’ inaugurazione dell’asilo nella mia Villa San Roman. Li ho potuto vedere la povertà in cui vivono i piccoli, poi era stata la volta della dieci bambine di Puno in adozione a distanza violate dai genitori e parenti ed infine la visita all’ ospedale con il battesimo di 12 bambini – tutti in pericolo di vita – in un pomeriggio ricco di grandi contenuti e valori spirituali. Bene. In modo forsennato e maniacale cercavo una storia vera da descrivere per poter scrivere un instant Book da forti e documentati fatti. Chiedo a Magdalena la maestra di Villa San Roman se conosce storie. Mi dice che vi è un bimbo che però ora ha lasciato Villa San Roman e lavora nei campi, lontano da Juliaca. La prima porta si chiude. Busso alla porta di suor Flora al Taller Miranda di Puno, dove incontro le ragazze, la superiora mi risponde che vi è un ragazzo ma ha sedici anni: una seconda porta si chiude! Giungo a Cusco ed in una lunga chiacchierata imploro Padre Dante di trovarmi un bimbo dai 4 agli 8 anni che lavori… Niente da fare: una terza porta si chiude. Non demordo, sono peggio dei peruviani andini: ho la testa troppo dura e come un toro cerco di sfondare altre porte, ma mi vado a scornare per una quarta volta con Percy, autista del Collegio San Roman, che mi dice, dopo aver cercato, che non ha trovato nessuno. Mi scoraggio e mi faccio triste, al ritorno dal Carcere di Challapalca la stanchezza unita a questi ripetuti fallimenti mi demoralizzano profondamente. Sono deluso e apatico, questa volta non ci riesco! Mentre dico così mi viene in mente di chiedere al caro amico Padre Joselo. Parliamo con un catechista che lavora nei campi, mi dice che lui conosce e chiederà. Pongo molta fiducia in questo catechista, sono sicuro mi troverà qualcuno. Arriva la sera del 26 dicembre festa di santo Stefano. È una serata estiva meno fredda delle altre a Juliaca la città dei venti, ed il vento secco spira forte e ad intermittenza. Con Emanuele, Giacomo, Olinda, Hernan, Josmell e Jofran usciamo da Plaza Vea dopo un’ottima cena offerta da Giacomo ed Emanuele, quasi a ristoro di Challapalca e ci avviamo verso il convento dove padre Joselo ci sta attendendo. Nel cuore la segreta speranza che quell’uomo, grande amico, mi farà la sorpresa di una storia da raccontare e da capire. Olinda telefona, il Padre scende ed apre la porta, alcuni brevi minuti di chiacchiere e poi la mia domanda diretta: “Padre il catechista ha trovato la storia? Domani mattina e tutto il giorno sono disponibile ad andare con lui nei campi”. Il caro amico si fa serio ed inizia in modo diplomatico: “Don Gigi nei giorni scorsi a Lima è stato pubblicato un reportage che parla del grave fenomeno dello sfruttamento dei minori. È una piaga grave e profonda e lo stato non combina nulla per questi piccoli che all’ età di cinque anni lavorano dalla mattina alla sera… Tutti hanno paura e per primi i bambini che possono essere picchiati e talvolta uccisi se parlano. Il catechista mi ha detto che i bambini ci sarebbero ma che nessuno di loro vuole parlare. Mi dispiace ma questa volta non ti posso aiutare. Desisti dal tuo intento, ti prego”. Con cordialità il religioso ci saluta; Emanuele e Giacomo entrano nel convento e… la porta grigia si chiude e dall’interno le chiavi compongono tre mandate inesorabili, secche e senza appello. Mi pongo triste e la parola scompare dalla mia bocca. Se ne accorge Olinda e mi dice: “mi dispiace don Luigi!” Rallento il passo la quinta porta si è chiusa, dopodomani si parte e la giornata di domani è stracolma di impegni. Per la seconda volta tornerò in Italia a mani vuote. Già nel pomeriggio avevo comunicato il mio sconforto a Lucia Capuzzi di Avvenire, anche lei mi aveva detto che era difficile. Percorriamo per circa trenta metri la strada che dà su Plaza de Armas. Hernan, Josmell e Jofran sono avanti alla ricerca di un taxi per far ritorno a casa, la bella chiesa di santa Catalina mi è di fronte, le luci della sera danno alla piazza una certa magia. La piazza è semi deserta sono le dieci e mezzo della sera. Nel cervello una frase: ma possibile che non sia possibile? Eppure non lo faccio per me! Sono a metà della piazza. All’ angolo vicino alla antica cattedrale vi è un palo del semaforo di color giallo. A sinistra vi sono due vecchi che chiedono elemosina. Vicino a loro uno scatolone grande e… alla destra? Guardo bene, riguardo bene e… In tre brevi secondi mi organizzo: un piccolo banco di vendita, il profumo di wüster affumicati, la brace raccolta sotto la lastra bollente, sette patate bollite tenute in caldo e poi Lui. Il mio piccolo tesoro. Non deve avere più di cinque anni: felpa grigia e blu scuro con il cappuccio in testa, un maglioncino sotto per proteggersi dal freddo, i dentini da latte caduti davanti e la sporcizia della strada come profumo e cosmetico. Un fulmine nel mio cuore: grazie Santina, questa storia non me la lascio fuggire. Olinda è al mio fianco, i vecchi mi guardano; estraggo il cellulare e lo butto in mano a Olinda e poi mi avvicino a lui, conto gli spiedini e chiedo quanto costano uno. Il bimbo mi risponde: “Un soles Signore!” Li riconto sono dodici e sette patate… “Piccolo, e se te li compero tutti? Sei felice?” Mentre pongo queste due domande, dallo scatolone contro il muro vicino ai due vecchi esce un faccino, con meraviglia guardo: è il fratellino maggiore, che incuriosito dagli affari che sta facendo il piccolino, viene a vedere. Mi guarda con sguardo compiacente. Olinda ha scattato una ventina di foto e mentre il fratello maggiore ci raggiunge dico a lei: chiama subito Josmell; il giovane esperto nelle riprese arriva subito. Dico a lui in modo deciso ed imperioso: “Abbiamo poco tempo, filma tutto quello che diciamo. Non ti fermare Ok?” Il giovane immediatamente capisce e inizia a filmare. Chiedo ai due fratellini di sedersi con me al lato del marciapiede ed inizio con alcune domande. Parto dal piccolino. “Quanti anni hai?” mi risponde cinque. “Come ti chiami?” Mi risponde: “Santiago!” “E tuo fratello maggiore?” “Lui si chiama Jonny”. Un taurino parte facendo fracasso ed il video ha qualche disturbo. “Ma voi lavorate?” Si! Rispondono entrambi. “A che ora iniziate a lavorare?” “Alle otto della mattina.” Ho il piccolino in braccio… È tenerissimo ed al contempo severamente educato dalla strada, ma con un gran bisogno di affetto. Me lo stringo forte e faccio ripetere a lui a che ora inizia alla mattina e mi risponde che inizia alle otto. Sono le 22.30 e sono ancora li. Sono quattordici ore che i piccoli stanno per strada. Mi si stringe il cuore. Mi rivolgo a Jonny che ha otto anni. “Ed i soldi a chi li dai, ai tuoi genitori?” Jonny mi risponde di sì. È intrigante e vuole vedere se riceve qualche soldo per queste informazioni. Ma non è ancora il tempo di dare a lui denaro. Ritorno a parlare e a porre una domanda a Santiago: “Quanti soles guadagni in un giorno?” Il piccolino che ho tra le braccia risponde con voce forte: “Otto soles!” Il che significa 2 euro e quaranta al giorno. Il tempo mi sta fuggendo, mi rimane una manciata di secondi per non far del male ai piccoli trattenendoli troppo a lungo ed insospettendo i passanti. Josmell mi dice: “Monsignore dobbiamo andare un passante mi ha detto di non filmare i bambini che lavorano e sono sfruttati!” “Josmell ok, non ti fermare!” Ma nella mente ho forte anche la paura di poter far del male a loro, potrebbero essere picchiati e castigati duramente. Pongo così ultima domanda: “Bambini lavorate tutto l’ anno?” I bambini immediatamente rispondono di sì. È questo mi basta e me lo faccio bastare. Santiago, Jonny vi do trenta soles, ve li siete guadagnati… Mentre dico così Josmell ferma la registrazione e io do al piccolino un forte bacio che sembra farlo felice più dei trenta soles ricevuti. Li abbraccio forte, Jonny concluso il business torna a rifugiarsi nello scatolone, auguro buon Natale ai due vecchi che con sguardo assente hanno seguito la scena… Hernan e Jofran fermano un taxi e la macchina schizza via veloce verso il bario nel quale vivo. In tasca la testimonianza filmata dei due piccoli e nel cuore una gran confusione, tristezza e commozione, su di tutti il sentimento di ringraziamento a Dio e alla Santina per il miracolo esigente compiuto di avermi fatto incontrare questi due piccoli sfruttati. È notte fonda a Villa San Roman è passata la mezzanotte, in verità è l’una del mattino, ma prima di addormentarmi stanco, nella mia mente faccio questi conti: 2,40 euro per 7 è uguale a 16,8 euro la settimana. 2,40 per 30 è uguale a 72 euro al mese. Ed infine 2,40 per 360 è uguale a 864 euro all’anno. Quel bimbo, il mio Santiago, ha 5 anni e – scusate se continuo farneticando – la sua intera vita equivale al valore di euro 864 per 5 cioè 4320 euro. Come è possibile usare un piccolo bimbo per guadagni così irrisori e stupidi. È vero, in Perù il salario medio è di 120 dollari al mese, ma per un maestro che ha cinquanta anni… Se uno non palpa con mano, se uno non vede con i propri occhi il video che Josmell ha ripreso, questa manciata di minuti sembra una follia, un cumulo di menzogne, ed invece è pura verità ed un breve video lo dimostra, prova preziosa di iniquità. Bene posso tornare in Italia con sufficienti notizie e dati su cui riflettere e su cui scrivere, ma prima di dormire vi invio la fotografia ed il video nella speranza che questa storia commuova anche voi e la nostra vita cretina e vuota, dove 2 euro e 40 li spendiamo per bere un caffè. Bene vi faccio una proposta. La prima volta che andate al bar e bevete un caffè e lo scontrino è di 2,50 euro pensate che state bevendo 14 ore e mezzo di vita di un piccolo bimbo peruviano sfruttato iniquamente e che avrebbe diritto di giocare, riposare, crescere e studiare… Ma tristemente questa notte mi chiedo il mio Santiago riuscirà a crescere e a diventare grande, oppure queste quattordici ore e mezzo di lavoro lo uccideranno prima? Un ‘ultima operazione di aritmetica: 14 per 30 fa 420 ore lavorative al mese, contro le 240 ore di un uomo che lavora tutti i giorni del mese per trenta giorni solo otto ore… Stanno rubando la vita di Santiago e di tanti bambini qui in Perù, mentre tu bevi un caffè dal costo di euro 2,50. Cosa posso fare io? Mi domanderai. Te lo dico io… Rileggi da capo questa folle storia notturna di una notte estiva a Juliaca a Plaza de Armas, rileggila una terza volta, imparala a memoria e falla conoscere. E poi, se sei cristiano una cosa puoi farla concretamente ora in questo preciso momento! Se sei giunto fino a qui ti chiedo ora, di non lasciare lo scritto che stai leggendo senza aver recitato un Padre Nostro per Santiago e per Jonny. Fallo… E i due piccoli ti giuro staranno meglio. Vado a dormire, ma prima recito due padre nostro. E tu lo farai? Ritorniamo da Puno il 27 sera. Abbiamo vissuto una giornata meravigliosa nel carcere le La Capilla, a pranzo da Olinda e poi un lungo e cordiale colloquio con il vescovo. Sono le 23,30. Lui, Santiago, tutto solo è ancora lì all’angolo della strada. Ho pensato a lui tutto il giorno. Chiedo alla buona Olinda se ha in tasca qualche moneta. Mi consegna 10 soles. Fermo il taxi nella notte fonda, corro dall’ altra parte della strada. Lui mi riconosce e mi sorride. Meno male non hanno fatto a Lui male, il suo sorriso mi lascia pensare il ricordo dei 30 soles della sera prima e forse il bacio di affetto. “Ciao Santiago, tieni!” Lasciò cadere nelle sue manine i 10 soles, lui sorride felice e il suo sorriso accende nel mio cuore la pace: ora posso lasciare il Perù, portando come ricordo questo meraviglioso sorriso, che tanto ricorda il sorriso di luce di Santina. Salgo sul taxi felice, ed Olinda commenta: “Bene don Gigi! Andiamo a casa devi preparare le valige, domani torni in Italia, ma non dimenticarti di noi”. La mia risposta è un bacio velato di tristezza per la partenza ormai vicina, e di nostalgia per il piccolo Santiago, ma il suo sorriso mi conforta e aggiungo: “Tornerò presto Olinda e andrò di nuovo a trovare Santiago. Nel frattempo mi porto in Italia il suo sorriso di luce”.

I BAMBINI MALATI DELL’OSPEDALE DI JULIACA
Con la visita ai piccoli ricoverati nell’ospedale di Juliaca Carlos Monje Medrano, nel quale vi ero stato in giugno, concludiamo idealmente la prima parte del nostro scritto che ha voluto focalizzare la situazione di difficoltà in cui vivono i bambini dell’Altipiano andino e in generale tutti i bambini del Perù.
– Dalla inaugurazione del muro di cinta dell’Asilo a Villa San Roman abbiamo potuto descrivere in quali situazioni i piccoli della scuola materna vivono: il muro di cinta che li protegge da branchi di cani rabbiosi non è l’unica necessità dell’istituzione educativa. L’asilo necessita di servizi igienici. I piccolini fanno i loro bisogni nel cortile, come del resto nelle loro case vanno alle latrine. Molte volte l’asilo diviene riparo sicuro dalla situazione di casa che è molto compromessa da povertà, carenza di igiene e dove lo sfruttamento dei piccoli è all’ordine del giorno!
 – Dall’asilo di Villa San Roman ci siamo spostati poi a Puno dove un pomeriggio è stato dedicato alle bambine e ragazze che abbiamo in adozione a distanza. Da quel luogo, il Taller Miranda, abbiamo ricordato come le piccole in Perù spesso sono vittime di violenza sessuale da parte dei familiari.
 – L’incontro con il piccolo Santiago ci ha fatto toccare con mano quanto lo sfruttamento dei bambini sia vero e concreto: nella piazza principale di Juliaca a Plaza de Armas, con Santiago e Jimmy, i due fratellini che alla tenera età di 5 ed 8 anni guadagnano alle 22,30 solo 2,40 euro in un giorno, sporchi, alle intemperie e troppo in fretta cresciuti.
 – Non poteva mancare a conclusione di questa triste panoramica sull’infanzia la visita nel reparto di pediatria e di neonatologia dell’ospedale cittadino per vedere la sofferenza vera dei bambini. Sofferenza causata sulle Ande da infermità tranquillamente curate in Europa. Molti dei bimbi che abbiamo incontrato soffrivano infatti di polmonite per il freddo e per l’altura. In giugno avevo incontrato bimbi ustionati da acqua o latte bollenti riversati accidentalmente da grandi pentoloni che bollono sul fuoco senza protezione. Insomma patologie ed infermità scomparse in Italia, o molto contenute. L’ospedale versa in povertà. Per trattamenti ospedalieri seri è meglio ricorrere ad Arequipa oppure direttamente a Lima: il che significa 36 ore di pullman tra strade sconnesse, oppure un’ora di costoso ed impossibile aereo.
Papa Francesco si impressiona sempre della sofferenza dei bambini e nella prima Udienza del Mercoledì del nuovo anno 2017 ai fedeli riuniti nell’Aula Nervi così si esprime: “Non bisogna dimenticare questo. Quando qualcuno si rivolge a me e mi fa domande difficili, per esempio: “Mi dica, Padre: perché soffrono i bambini?”, davvero, io non so cosa rispondere. Soltanto dico: “Guarda il Crocifisso: Dio ci ha dato il suo Figlio, Lui ha sofferto, e forse lì troverai una risposta”. Ma risposte di qua [indica la testa] non ci sono. Soltanto guardando l’amore di Dio che dà suo Figlio che offre la sua vita per noi, può indicare qualche strada di consolazione. E per questo diciamo che il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini”. (Udienza Generale del Mercoledì, 4 gennaio 2017) Oltre a visitare i piccoli, abbiamo incontrato le mamme: piccole ragazze di 18, 20 o 21 anni, perché ancora in Perù si diventa mamme in età giovanile e si trasformano in Donne mature. Una piccola madre di 18 anni esausta dorme come una bimba su un pezzo di cartone, sdraiata a terra sotto un poncio usato come coperta vicino al suo bambino febbricitante. Donne dal volto rigato di lacrime, che non sanno cosa sia la seduzione, abituate al duro lavoro. Autentiche madri, spesso abbandonate dall’uomo dal quale hanno avuto il figlio, vegliano solide e forti sui loro piccoli con la forza del leone e la dolcezza di un agnello. Piccole e belle farfalle colorate che a 20 anni hanno conosciuto dolori formidabili, il cui volto è scavato dalla fatica del lavoro nei campi. Tocco le loro mani e sento i calli, guardo le dita e le vedo screpolate dal freddo: non usano cosmetici, la pelle delle mani è dura come cartapecora. Amo quelle mani e mentre le tocco ricordo quelle di Santina piene di calli, tagliate e screpolate dal freddo, dall’acqua e dai detersivi per lavare panni sporchi alle ricche famiglie di città alta. Vere Donne. Giganti dell’umanità. Piccole di 18 anni, ma grandi di saggezza: la cui parola è il silenzio, e si esprimono solo nella fiera lingua aymara, Donne che non tradiscono figli e mariti, rocce formidabili, fortezze inattaccabili: loro, queste mamme fanno vivere l’umanità. Mi avvicino a loro e quando capiscono che sono un sacerdote pregano con me, alcune si confessano e tutte chiedono acqua benedetta per i loro bambini e per se. Ed i piccoli sono li: terribili, nella loro sofferenza, nei loro occhi vuoti e colmi di dolore. Davvero è duro vedere soffrire un bimbo, con le loro manine attaccate alle flebo. I più gravi hanno leucemia o tumore. Per tutti preghiamo e con tutti preghiamo; ad alcuni dò il Battesimo, sono in pericolo di vita. Dodici sono i loro nomi: Breyner Kenedy, Royer Cristian, Marcial Eddy, David Luid, Margarit Dayan, Kely Dianz, Kimberly, Mayumi, Sayda Nieves, Dayron, Benjamin, Joseph. Questo viaggio mi fa sentire prete. Nell’anno 2016 le persone che ho battezzato sono tutte peruviane, alcune a giugno e dodici ora. Ma mi sento prete anche nella confessione ascoltata a Lima da una donna che inspiegabilmente parlava in lingue straniere e difficili, nelle confessioni splendide del Viejo Paco a Challapalca, o al carcere de La Capilla, o del frate di Cusco o di queste mamme dell’ospedale di Juliaca… essere prete, questa è l’avventura più bella e più grande che può capitare ad un uomo e questo viaggio meraviglioso me lo ha confermato!

         La seconda parte di questo nostro libretto riguarda il tema delle carceri peruviane. Si mette sulla scia dell’opuscolo dedicato a Kelvin. Il personaggio che incontreremo è un delinquente di purtroppo grande notorietà che si chiama il Viejo Paco ed è la figura centrale di questa seconda parte.

VIGILIA DI NATALE
La stanchezza si fa sentire, anche i miei compagni di viaggio sono provati dall’altura di 3800 metri, dagli sbalzi di temperatura, dal cibo e dai ritmi estenuanti che regalano ad ogni giorno felicità, ma anche stanchezza. Lo zaino è pronto, gli ultimi preparativi sono stati fatti. Domani mattina si parte verso un inferno posto a 5050 metri. Lì non avremo né wi fi né linea telefonica. A nome anche di Emanuele, Giacomo, padre Joselo, suor flora, Hernan e Josmell che verranno con me al carcere di massima sicurezza di Challapalca ti auguro Buon Natale con l’augurio di riconoscere le tue prigionie per aprirti alla libertà. Questo viaggio da tanto voluto e preparato finalmente ha inizio, siamo felici ma anche con qualche piccola preoccupazione. Ci hanno detto che al carcere di massima sicurezza stanno arrivando 80 agenti in più da Lima per garantire la sicurezza della prigione dopo il tentativo di introdurre armi nel sospetto di una rivolta forse in occasione dell’inaugurazione del campo sportivo. Un familiare di un carcerato ha regalato una radio nella quale era nascosta smontata un’arma… Forse pensando che l’occasione di questa inaugurazione potesse essere occasione per una rivolta. A Challapalca troveremo così circa 180 prigionieri ed un’ottantina di guardie dell’INPE. Sarà bello condividere, seppure nella durezza e nella asperità, il giorno di Natale con quei disperati. Ti ricorderò nella preghiera. Ora prima di sprofondare nel sonno che prepara la partenza ti auguro con affetto Buon Natale! In quel giorno saremo isolati dal mondo, ma in profonda comunione con te. Chissà che un giorno anche tu non possa partecipare ad una di queste nostre esperienze estreme che tanto fanno bene al cuore ed alla nostra fede! Buon Natale da don Gigi, padre Joselo, suor Flora, Emanuele, Giacomo, Hernan e Josmell componenti della spedizione a Challapalca.

IN VIAGGIO
Sto finendo lo squisito piatto di mango, dopo aver bevuto al mio risveglio una tazza bollente di semi di chia. Il profumo del mango ed il suo gusto delizioso ben si sposano con i colori forti del cielo e dei campi vicino a Villa San Roman. Bussano alla porta… “Sono arrivati!” Dice Olinda. Padre Joselo Emanuele Giacomo e suor Flora entrano nella cucina dalle pareti verdi. La donna ha preparato un buon caffè italiano che tutti attendono con gusto… Emanuele in modo particolare. Giacomo dice di stare un po’ meglio, anche se i problemi di altura si fanno sentire. Enry il nostro autista fissa sopra il pulmino gli scatoloni con panettoni e dolci per i carcerati. Con la preghiera inizia la parte centrale della nostra missione: il Natale con i carcerati di Challapalca. Salutiamo Olinda, scattiamo qualche fotografia e saliamo nel pulmino del taller Miranda. La prima sosta sarà a Puno. Facciamo benzina e suor Flora mi presenta al padrone della stazione di servizio. Primo miracolo, o meglio prima opera di luce, il padrone ci regala il pieno di benzina. Mi commuove questo fatto che penso in Italia impossibile… Siamo sulla strada giusta per celebrare Natale! Questa nostra missione l’abbiamo voluta con tutte le nostre forze e il campo di pallone è solo un segno di condivisione con il carcere e con la disperazione. La giornata estiva è calda ed il sole piacevolmente riscalda il nostro viaggio. Il lago Titicaca con i suoi colori crea magia e il nostro viaggio diventa avventura. Quali sono le prigionie dalle quali mi devo liberare? Siamo nel paese da ormai una settimana e la condivisione di povertà e miseria hanno arricchito il nostro cuore. Il caffè del mattino in Villa San Roman mi rimane come lungo ricordo al mio ritorno in Italia, i gesti semplici di bontà e condivisione allargano il cuore e danno molta forza alla vita. Scrivo mentre sono in pulmino, alle ore 9,30 del 24 dicembre. Con i miei compagni di spedizione parliamo del programma, della liturgia eucaristica, della preghiera…vi lascio un minuto cari lettori devo bere acqua e devo parlare con loro… Vi riprendo più tardi e vi racconto tutto! Arriviamo a Ilave, il Paese sorge vicino al lago Titicaca e questa cittadina è conosciuta per aver ucciso nell’anno 2004 il sindaco a bastonate sulle scale del municipio. Il motivo? Mi sembra di essere tornato nello stato di Guerrero in Messico. Il narcotraffico. I narcotrafficanti trasportavano droga nell’ano delle vacche. Il sindaco scoprì questo traffico e vietò il trasporto di tali animali. Quando il traffico di droga si sentì minacciato, il sindaco venne preso legato e finito a bastonate. Tutto ripreso da telecamere e trasmesso. I colpevoli? Naturalmente i veri responsabili liberi e in prigione due poveri disgraziati. Vicino a Ilave sorge infatti Chacipucara dove viene raffinata la coca. Nessuno estraneo può entrare, al suo arrivo viene esposta una bandiera verde e gente armata in motocicletta esce a ispezionare. Ci sono campi di aviazione dai quali decollano piccoli aerei verso Bolivia che trasportano droga. Qui i bambini chiamati mucilleros trasportano droga e per far questo mancano da scuola mesi… Le maestre vedono rispuntare i bambini con quaderni nei quali si dice che devono esser promossi e in omaggio pongono cento dollari. Alternativa? La morte dell’insegnante. Questa è la terra peruviana che nel nostro viaggio verso Challapalca incontriamo e che vogliamo farvi conoscere. Suor Flora è molto conosciuta e soprattutto conosce molte cose ed è un gran aiuto nel nostro viaggio. Dopo due ore salendo verso Mazocruz incontriamo la Città Incantata. La leggenda dice che degli uomini rapirono donne e per punizione furono trasformati in pietra e da allora a mezzanotte si ascoltano le voci della cerimonia di un matrimonio. Scendo a fare foto. Le pietre sembrano davvero case e da qui il nome Ciuidad incantata.

 

L’INCONTRO
Siamo arrivati all’inferno per celebrare Natale. Ore 21.55 mi hanno alloggiato con Emanuele e Giacomo nella caserma dell’esercito per dare un minimo di conforto, mentre padre Joselo, Hernan, Josmell e suor Flora sono stati assegnati alla sede dell’INPE. Regime militare ferreo sia in carcere che nella caserma nella parte dedicata allo stato maggiore. Posto squallido pieno di freddo, sporco, trascurato, neppure in Iraq avevo visto questo squallore. Il programma delle giornate è intenso. Il nuovo direttore è molto sensibile e le concessioni sono straordinarie. Nel freddo della notte, in attesa di celebrare la Messa di Mezzanotte, scrivo della celebrazione con i prigionieri. Un Natale straordinario, forse il più bel Natale delle mia vita. Domani poi avremo cerimonia di inaugurazione del campo sportivo, la Messa per l’esercito, il pranzo, e rientro a Juliaca.
Iniziamo da oggi perché l’esperienza da raccontare è formidabile e mozzafiato. A giugno avevo celebrato la Messa ma per dodici persone al di là delle sbarre perché il regime carcerario ferreo e duro non lo concedeva. Questa volta il mio sogno si realizza e posso celebrare Messa con loro in un padiglione del carcere. Ma la cosa singolare da raccontare è la modalità della Celebrazione eucaristica. Trattandosi di criminali altamente pericolosi le misure sono imponenti. Se il gruppo di prigionieri è di 40 circa, il gruppo delle guardie schierate è il doppio. Soldati schierati in assetto di sommossa, soldati con manganelli e scudi ci proteggono dai prigionieri. Dal torrione in alto due guardie con i fucili puntati ci guardano… Una mossa falsa e sei fottuto! La situazione incute timore. Loro sono lì, inermi seduti per terra. Preparo per la Messa, il cordone di militari si apre e me li trovo tutti davanti! Preferisco che i miei amici non corrano rischi e così chiedo al direttore di chiudere il cerchio di protezione armata dietro di me. Emanuele, Giacomo, Hernan, Josmell e suor Flora rimangono così in una situazione di sicurezza. Inizia la Messa di Natale più bella della mia vita. Sono venuto da lontano, siamo in condizioni terrificanti, ma è Natale. È una esperienza che vale oro. Loro mi guardano, vedo Kelvin che avevo incontrato a giugno e lo abbraccio forte, forte, lui si commuove. Parlo a loro con il cuore in mano, dico le cose con sincerità e forza nel disperato tentativo di far loro capire che voglio a loro un gran bene. Il fatto inconfutabile – che sono partito da Roma per venire qui – depone a mio favore. …e la scena di misericordia e pace si ripete! Chiamo tre di loro: il più piccolo, il più vecchio e Kelvin e loro confessano i loro peccati davanti a tutti senza paure o scrupoli. Li assolvo e poi bacio a loro i piedi, mi impasto con loro li abbraccio, asciugo le loro lacrime, guardo i loro tatuaggi e ascolto le loro voci. Nessuno si è ricordato di loro in questo Natale… Soli, disperati, in condizioni estreme reclusi nel carcere più alto del mondo in totale isolamento, abbraccio fasci di disperazione e storie cupe ed inumane, un ragazzo di 21 anni che al Callao ha ucciso una persona, un uomo narcotrafficante, un altro assassino: in questa sera si fondono le loro disperazioni nella notte del Natale davanti alla celebrazione della Messa. Mostro a loro la chiave spezzata che porto al collo per far vedere che mi ricordo di loro. Mi commuovo: non riesco a controllare le mie lacrime, ma mi sento in paradiso con loro, mi sento bene tra quegli abbracci! È una esperienza troppo forte troppo radicale, venire fino a qui, riuscire ad entrare in contatto con loro, in un angolo sperduto del mondo sulle Ande del Perù. Guardo i miei amici visibilmente partecipi e commossi e ringrazio Dio per questo grande dono. Non avrei mai pensato di vivere un Natale così singolare. Arriva il momento della comunione anche gli agenti in assetto di sommossa sembrano aver rallentato la loro tensione sempre pronta a cogliere il minimo accento di rivolta. Me li abbraccio tutti i prigionieri, uno per uno, li bacio, prendo tra le mie mani i loro capelli e rinasco interiormente. Dio è grande, Dio sia benedetto! Li saluto tutti e con nostalgia esco dal patio, passo a un padiglione dove offro un dolce ad una ventina di persone. Poi viene l’infermeria: Emanuele ascolta il respiro di un asmatico in attacco acuto, fa una iniezione di cortisone, Giacomo visita un malato con una pazzesca colostomia. È un uomo che ha ammazzato, ma che è stato ferito da una pallottola esplosa contro di lui. Occorrono medicinali, i primi strumenti di infermeria… Dopo la visita ai malati è tempo di andare alle cucine dove incontro Mario, Lito e alcuni degli altri prigionieri che come prigionieri lavorano lì. Mangiamo insieme con il direttore il loro cibo di festa pollo e riso: è il nostro povero cenone di Natale, seduti al loro tavolo con l’idea di condividere insieme il paradiso in futuro.

EL VIEJO PACO
Mercoledì 28 dicembre 2016. Sono seduto in aereo, il mio posto è il 34h il volo delle 19,25 con undici ore e cinquanta minuti mi porterà a Londra, per poi proseguire con Emanuele e Giacomo verso Roma dove arriveremo domani sera. Nel cuore la nostalgia dell’Altipiano andino. Questa sera mi fa compagnia la figura de El Viejo Paco, Román Ángel León Arévalo ovvero Pascacio Angeles Bonilla, uno dei criminali più terribili ed efferati del carcere di Challapalca. Questo uomo, forse unito al piccolo Santiago, è tra i due incontri più significativi e forti di questo viaggio! Di lui mi accorgo solo dopo di chi realmente sia… a Juliaca, ponendo il suo nome in youtube e vedendo sorprese terrificanti! Egli utilizzava almeno quattro identità diverse commettendo decine e decine di omicidi, legato ad appalti edili ed a compagnie di trasporto, commise crimini efferati anche nella vicina Bolivia, dove in un furto ad un camion da trasporto rimasero uccisi due agenti di polizia. El Viejo Paco contava su una rete di corruzione formidabile nella quale erano assoldati alti militari dell’esercito, della polizia, uomini di governo ed imprenditori. I testimoni chiave che condussero all’arresto del Viejo Paco e alla distruzione de La Gran Familia, ancora oggi si sentono in pericolo di vita. Quest’ uomo e la sua banda è stato arrestato e condotto a Challapalca nell’ anno 2012. Un video di alcuni minuti parla di una efferata banda criminale dal nome La Gran Familia che imperversava soprattutto nel nord del Perù: nelle città di Chiclayo e Chimbote estorcendo, sequestrando, uccidendo e rubando; essa si componeva di ben venti persone, ognuna delle quali aveva un soprannome la Zia, il Fratello, ecc.. A capo di questa spregiudicata organizzazione vi era lui El Viejo Paco. Uomo senza scrupoli, freddo e calcolatore che con intelligenza luciferina aveva la supremazia assoluta nella sua banda. Omicidi, violenze e molto altro. Il suo nome in Perù incute ancora timore e orrore soprattutto nelle famiglie vittime della sua violenza. Furono tutti catturati in una retata della polizia l’8 dicembre 2012 in una operazione di polizia chiamata Ciclón 2012 in cui un agente ha perso la vista. Tale criminale fu portato a Challapalca insieme con il figlio, al carcere di massima sicurezza. Carcere considerato di castigo e carcere molto amato da molti peruviani come estrema punizione per criminali orribili e senza scrupoli. Tutto il Perù conosce El Viejo Paco ed il suo nome fa venire i brividi alla pelle ancora oggi a distanza di quattro anni. Proprio questo criminale conosciuto da me solo giorni dopo, costituisce uno degli incontri più importanti del viaggio. La corte di Lima ha chiesto per lui 35 anni di carcere più pene aggiuntive. Per mostrare uno dei tanti crimini a lui attribuiti possiamo parlare di questo fatto avvenuto nel distretto di Zana, nella provincia di Chiclayo, nella regione di Lambayeque a motivo di un traffico di terre. Un contadino, Salvador Pepe di 36 anni, stava rientrando nella notte in motocicletta insieme alla moglie Jhovana e alla piccola figlia di sette anni. Quattro uomini incappucciati si presentarono e da lontano iniziarono a sparare colpendolo alla spalla. La moglie e la figlia si ripararono per avere salva la loro vita. I sicari si avvicinarono e lo finirono sparando diversi colpi. I sicari erano inviati dal Viejo Paco che pretendeva appropriarsi di 25 ettari di terra posseduti dal contadino. El Viejo Paco è originario di Trujio e si calcola che si possono attribuire a lui circa 300 omicidi, alcuni lì ordinò, altri li compì direttamente lui stesso. La sua lista nera includeva  bambini, anziani, familiari di impresari oggetto di estorsione. E’ fuggito alle carceri di Bolivia, Cile e Perù ed ha persino rubato il nome che aveva sulla sua carta d’identità. Il suo nome era presagio di morte a Chicalyo, Piura e Tumbes. “Hola! Buongiorno per me, ma molto brutto per te. Parla El Viejo Paco e ti chiamo per dirti che oggi tu stai per morire” lo dice a Roman Leon Arevalo che aveva osato non rispondere ripetutamente alle sue richieste. Dopo poche ore fu ucciso dal braccio armato della Gran familia. La firma dei suoi omicidi normalmente era quattro pallottole nel petto e due nella testa. Questo era il criminale che stavo per incontrare a Challapalca.
Nella messa del 24 dicembre, che abbiamo descritto prima, tra misure enormi di sicurezza vi era anche lui ad assistere alla celebrazione di Natale. Al momento della omelia chiamo tre persone vicino a me. Idealmente voglio coprire tutte le età dei carcerati. Chiedo allora chi sia il più piccolo dei quaranta partecipanti alla messa, ed un ragazzo di 21 anni del Callao a Lima si alza e viene da me, davanti a tutti, poi chiedo chi sia il più Viejo. Senza sapere scateno così l’ilarità dei carcerati che a tale richiesta ridono e guardano tutti verso di lui. Lui si alza, la sua corporatura è ancora robusta nonostante le dure privazioni del carcere, segno di una tempra di acciaio ancora presente. Deve avere circa 70 anni. Si trova nel l’angolo in fondo a sinistra, ben sorvegliato tra un agente in tenuta antisommossa con casco e scudo ed un altro agente che ha tra le mani un fucile a ripetizione. Si alza e con un leggero saltellare viene verso di me davanti all’ altare. Un video ben chiaramente ritrae la scena. Indossa un maglione grosso di colore marrone scuro dalle maglie molto larghe, i capelli sono scompigliati, i suoi occhi sono penetranti e ben custoditi nel loro sguardo da una intelligenza superiore e forte. Chiamo poi Kelvin, il carcerato che avevo conosciuto il 21 di giugno scorso. I tre sono davanti a tutti e lui si trova alla mia sinistra. La sera scende nel patio del carcere di massima sicurezza e prepara la notte di Natale. Il nostro cenone sarà con loro, nelle luride cucine di quell’ immondezzaio del latinoamerica. Le luci di custodia forti illuminano il patio e una guardia dall’ alto con il fucile puntato segue tutte le mie mosse. L’agente deve avere ricevuto misure precise sulla mia incolumità e così ogni metro che percorro vedo il secondino dalla torretta muoversi insieme a me. Più che essere protetto mi sento infastidito ed anche provocato da quel gesto che più che proteggermi mi fa sentire preda prima dello sparo. I miei amici sono dietro il cerchio di protezione degli agenti penitenziari al sicuro. Ma la dinamica dell’incontro con ciascuno dei prigionieri mi fa dimenticare il loro pericolo. Il loro cuore è più importante della loro nota pericolosità. È Natale, la festa magica nel mondo, ci troviamo a 5050 metri per celebrare un Natale fuori da ogni schema, in un luogo fuori dal mondo, dove il tempo sembra essere ghiacciato dall’ escursione termica e dove il calore del cuore sembra scomparire dietro l’inesorabile castigo che non rieduca, ma solo punisce. Voluto da Fujimori per i terroristi di Sendero Luminoso, il carcere oggi ospita solo criminali efferati. Lo guardo calmo, seppure con giacca a vento e cappello sento freddo, lo interrogo. “Paco è Natale. Vuoi passare un Natale speciale riconoscendo i tuoi peccati? Sono venuto da lontano, da Roma per incontrarti, dodici ore di volo da Madrid a Lima e poi da Juliaca a qui ben 7 ore di fuoristrada in mezzo a lama, alpaca e vigogna, in mezzo al nulla. Sono un semplice sacerdote, ma posso darti l’assoluzione ed il perdono dei tuoi peccati se tu confesserai i tuoi crimini”. L’ uomo mi guarda calmo, i suoi folti capelli e la barba non rasata danno a lui un aspetto ribelle e selvaggio, ma il tono della sua voce no: rivelano un uomo diverso. Ecco le parole trascritte dal video: “Padre, da molto piccolo io sono stato delinquente… per tutta la mia vita, ma non conoscevo la Parola del Signore. Però ora ho ricevuto Cristo Gesù nel mio spirito. Ho fatto tante perversità ed iniquità nella mia vita: ho assaltato banche, ho sequestrato, ho assasinato e altro ancora. Ma ora tutto questo non importa perché tengo Gesù nel mio cuore e sto cercando di cambiare la mia vita ogni giorno. Grazie Padre e Benedetto sia il Signore Gesù! Grazie di essere qui! Io mi sento un uomo diverso oggi. Non sono più quello di anni fa”.
Mentre lui parla raccolgo negli altri carcerati una formidabile attenzione alle sue parole, anche le severe guardie carcerarie lasciano trasparire attenzione ed interesse alle parole del criminale. Prosegue El Viejo: “Oggi io mi sento profondamente diverso e sento nel mio cuore che Dio mi ha perdonato e questo è più importante di tutto! Chiedo perdono di tutto questo a Dio ed imploro il suo perdono”. Io non so ancora chi sia quel criminale che ho davanti, lo scoprirò in modo raccapricciante solo giorni dopo rientrato a Juliaca dalla bocca di Josmell ed Hernan e forse proprio per questo il mio gesto è libero e pieno di misterioso significato. Rispondo io alle sue parole: “Sono un sacerdote e come tale davanti a questo pentimento pubblico, in virtù del sacramento dell’ordine sacro che ho ricevuto trent’anni fa posso regalarti in questa vigilia di Natale il perdono di Dio. Dimmi solo che lo desideri, dimmi solo che lo vuoi, dimmi solo che credi che possa perdonarti e insieme celebreremo la confessione perché è solo Gesù che è capace di ricostruire la tua vita e di formare l’uomo nuovo in questo Natale”. El Viejo Paco mi guarda dritto negli occhi e con voce calma, decisa e convinta a voce bassa mi dice: “Don gigi io lo voglio con tutto il mio cuore e so che tu lo puoi fare in nome di Dio”. E così quella sera, preludio della notte natalizia a 5050 metri in uno squallido carcere di massima sicurezza, in quell’ uomo sciagurato stava per nascere Gesù. Se sapevo che avevo da Dio il potere di perdonare i peccati nonostante il Vecchio mi parlasse di efferatezze, non avevo idea di chi si stesse confessando e quante famiglie in questo Natale stavano ancora piangendo la morte dei propri cari ed avessero la vita distrutta dalla devastazione da lui portata con forza diabolica. Non conoscevo il povero contadino ucciso dai suoi sicari davanti a moglie e figlia per 25 ettari di terreno, non conoscevo tutte le altre vittime che avrebbero trascorso un nuovo Natale in pianto. Se lo avessi conosciuto, forse non lo avrei dato quel perdono in nome di Gesù… Forse Dio stesso non voleva che io sapessi prima, forse voleva far vedere a tutti i presenti che un prete estraneo alle logiche del carcere e del Perù, un prete venuto da lontano poteva fare del bene a quell’ animo curandolo da dentro con il perdono di Dio. Mentre il freddo, compagno della buia notte scendeva sul carcere sulle Ande, nel cuore di quel l’anziano efferato aguzzino e criminale stava per scendere il caldo perdono di Dio. Lo guardo negli occhi, guardo le sue mani giunte, guardo il pesante maglione marrone e poi ritorno ai suoi occhi e dico a lui: “Non so chi tu sia e non so cosa tu abbia fatto, ma neppure a me oltre a te interessa questo. Quello che mi interessa ora è quello di dirti che dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia. Perciò io – con l’autorità a me conferita dal sacramento dell’Ordine – ti dico: “Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo Amen!” La frase sacra era scandita, le parole antiche e formidabili che perdonano la colpa in nome di Dio erano state lanciate nel suo cuore per trasformarlo! Davanti non al miracolo, ma al mistero di questo enorme perdono non mi restava che raccogliermi in atteggiamento di devozione e preghiera. Io per primo dovevo credere fermamente ed indiscutibilmente a quelle parole…
Lentamente e silenziosamente mi inginocchiai davanti a Lui, l’agente penitenziario con il suo fucile carico spostò ancora verso di me l’arma pronto a difendermi da una eventuale aggressione del Vecchio. Mentre mi inginocchiavo guardavo il carcerato ed in alto sulla torretta l’agente di sicurezza pronto a sparare a quell’uomo reso santo dal perdono di Dio. Dovevo credere, dovevo dire a me stesso e a tutti che El Vejo Paco in quella notte era cambiato dal perdono di Dio. Ero così in ginocchio davanti a Lui. Il mio gesto colse di sorpresa lui, i carcerati, i secondini ed anche gli amici della nostra spedizione che con il viso cercavano di guardare cosa stavo facendo al di là degli uomini di sicurezza. Lo guardai dal basso all’ alto e… gli baciai i piedi. Il suono delle labbra contro la scarpa risuonò nel patio creando confusione e forse riprovazione. Ma nei suoi occhi, nel suo respiro, nel suo corpo corse un fremito. Rivendendo lentamente il video notai la commozione profonda che cambia il cuore e la vita… Quando seppi nei giorni seguenti chi era, pensai alle sue tante vittime ed a che cosa avrebbero pensato di tale gesto. Il Vecchio aveva gli occhi pieni di lacrime e quella lacrime lavavano la sua vista e la rendevano pura. Mi aiutò con la sua grande mano ad alzarmi da terra. Lo fece con una punta di devozione e poi forte mi abbracciò. Forte, forte forte mi stringeva quell’uomo tra i suoi singhiozzi ed io stringevo lui ancora più forte! Se ne accorse e mollando la sua affettuosa e devota presa si aprì ad un grande sorriso. Gli diedi una carezza lenta e guardandolo dissi: “ti aspetto dopo per ricevere la Comunione” mi fece cenno di sì con il capo e tornò al suo posto nell’ angolo in fondo. Al termine della Messa fece devotamente la comunione ed inesorabilmente un cellulare riprese il momento grande e terribile in cui Dio si incontrava con l’assassino. Chissà cosa direbbero le numerose vittime della sua cieca violenza passata nel vedere quell’ uomo anziano e stanco ricevere la Comunione? Si scandalizzerebbero? Probabilmente sì! Ma è colpa mia se Dio va in cerca della pecora perduta e fa festa quando la ritrova? Quella sera a Challapalca ero davvero felice, un Natale singolare stava accadendo ed ero felice di essere lì! Con questa stessa pace e gioia trascorse il nostro cenone di Natale in una squallida e sporca cucina del carcere avendo come commensali i prigionieri e tra di essi il figlio del Viejo Paco, uno dei venti uomini messi in prigione nella retata che distrusse la banda della Grande Famiglia. Era freddo la notte di Natale a Challapalca, ma nel mio cuore un gran calore era sceso quello provocato da fatto di aver sperimentato quanto è misericordioso Dio ed ero felice che Dio in quella occasione avesse scelto me per mostrare la sua misericordia. La messa era ormai finita, gli agenti dell’INPE ci scortarono fuori dal patio verso la cucina del carcere: era la notte di Natale 2016!

INIEZIONE A 5050 METRI
Di Berbenni Emanuele
Entrare per la prima volta in un carcere di massima sicurezza per i dottori Emanuele Berbenni e Giacomo Passera si poteva prima o poi immaginare, ma non certo di visitare alcuni carcerati pluriomicidi. E’ quanto è successo invece alla vigilia di Natale 2016 ai due medici che accompagnavano la spedizione della Fondazione e Associazione Amici di Santina, in occasione dell’inaugurazione di un campo di calcio sintetico a Challapalca, a 5050 metri sul livello del mare, carcere di duro castigo al sud del Perù. Nella visita al carcere infatti, dopo la Messa di Natale con alcuni dei detenuti, ci si è imbattuti nell’infermeria. Nell’angusto ambiente riservato alle visite mediche, un carcerato era seduto sul lettino in evidente crisi di respiro. E così al dr. Emanuele Berbenni è toccato visitare questo carcerato in crisi asmatica, con sintomatologia ostruttiva respiratoria, notevole spasmo dei bronchi e difficoltà nel respiro; il giovane di 24 anni era già in aerosolterapia con farmaci broncodilatatori e fluidificanti e, ricorrendo a quanto disponeva la farmacia del carcere, si è praticata una iniezione intramuscolare di corticosteroide con parziale beneficio; inoltre si è instaurata una profilassi con antibiotico per via orale. Considerata la patologia, le durissime condizioni del carcere e le condizioni climatiche del luogo non permettono certo di sperare in una prognosi favorevole. Al dr. Giacomo Passera è capitato invece un carcerato di 30 anni, che ha insistito per essere visitato, il quale era stato sottoposto a delicato intervento chirurgico, dopo una sparatoria risalente a 3 anni prima, e portava ancora confezionata una colostomia per perforazione intestinale da proiettile; non si spiega come il detenuto potesse avere ancora la stomìa a distanza di 3 anni dall’intervento. Il rischio di infezione è altissimo, anche se al momento della visita l’addome era trattabile. I dolori addominali accusati, alla base dell’emitorace sx, erano da riferire più verosimilmente a un pregresso traumatismo. Sicuramente il carcerato voleva porre l’attenzione su una stomìa, che non aveva più ragione d’essere dopo così tanto tempo. Un’esperienza un’unica davvero, probabilmente irripetibile, in condizioni di vita al limite del possibile. Nello sguardo di questi 2 disperati la richiesta comunque di aiuto e umana comprensione.

CALCIO DI RIGORE NEL CAMPO DA PALLONE PIU’ ALTO DEL MONDO
Di Berbenni Emanuele
Un campo di calcio sintetico al carcere di Challapalca, a 5050 metri sul livello del mare, carcere di massima sicurezza dove vengono imprigionati i peggiori delinquenti del Perù, è quanto abbiamo realizzato come “Fondazione Santina” e inaugurato il giorno di Natale 2016. Questa opera è la terza realizzata in Perù, dopo la ristrutturazione della chiesa di San Michele Arcangelo a Conima, sulle sponde del lago Titicaca, e la ristrutturazione dell’asilo a Villa San Roman alla periferia di Juliaca. Il campo è stato realizzato a regola d’arte: il tappeto è resistente all’usura e durata nel tempo, antiabrasivo, resistente ai raggi U.V. e soprattutto al gelo, vista l’altura di oltre 5000 metri e le forti escursioni termiche, auto drenante e spalmato sul dorso con mescole in gomma, come si conviene a questo tipo di impianto sportivo. E’ stato subito testato con riscontri particolarmente soddisfacenti. L’inaugurazione è avvenuta la mattina del 25 Dicembre alle ore 9 con cerimonia ufficiale: presenti tutto il personale dell’INPE, dal direttore all’ultima guardia carceraria, rappresentanti dell’esercito di stanza nella limitrofa caserma, il presidente della Fondazione Mons. Luigi Ginami, il dr. Emanuele Berbenni del direttivo, il dr. Giacomo Passera membro dell’Associazione unitamente ad altri soci, come il sig. Hernan e Josmel, marito e figlio della Sig.ra Olinda. Personale dell’INPE schierato in uniforme di rappresentanza, dapprima vi è stato l’alzabandiera con il vessillo del Perù, quindi gli inni nazionale peruviano e poi quello dell’INPE, infine i discorsi di Mons. Ginami, del dr. Berbenni, di Josmel e, per ultimo, del direttore del carcere. I rappresentanti della Fondazione hanno sottolineato come il legame fra la Fondazione e l’Associazione Amici di Santina con questo Paese del Sud America si sia consolidato nel tempo. Questa opera, anche se da alcuni criticata espressamente o tramite i social, è stata fortemente voluta dal direttivo e dal suo presidente per raggiungere quella periferia dell’umanità quali sono i carcerati, in questo posto sperduto del sud del Perù. Il direttore del carcere dal canto suo ha ringraziato pubblicamente, a nome di tutti coloro che operano in questo carcere di massima sicurezza, l’Associazione e la Fondazione per questo prezioso regalo tanto gradito quanto insperato, giunto in questo luogo dimenticato da tutti nel giorno di Natale. L’epilogo finale è stato un calcio di rigore realizzato dal dr. Berbenni all’imbrunire, quasi ad incorniciare una giornata indimenticabile.

 TATUAGGI AL CARCERE LA CAPILLA
Ci introduciamo a questo paragrafo conclusivo la seconda parte del nostro Instant Book, con una nota simpatica, direi di gossip. Arriviamo al carcere La Capilla, il carcere della città di Juliaca, con una popolazione carceraria di ben 980 prigionieri. I controlli per gli ingressi sono scrupolosissimi: perquisizione degli effetti personali personali, divieto assoluto di introdurre cellulari se non con espressa autorizzazione delle autorità carcerarie… insomma una serie di divieti molti precisi e tutti scrupolosamente verificati, l’amicizia con Wilder, il direttore del carcere, non ci esclude da queste perquisizioni anche personali sui propri indumenti in stanzini appositi. Emanuele è tranquillo, sa perfettamente di essere in una prigione… e poi viene dalla scuola del carcere di massima sicurezza di Challapalca, al confronto del quale il carcere di Juliaca è un hotel a 5 stelle. Emanuele attende con pazienza il suo turno. Per primo sono controllato io: ho con me i paramenti liturgici e gli arredi sacri per la Messa, calice, vino particole, messalino. Tutto viene con scrupolo ispezionato, le pagine del libro della Messa fatte passare una per una, Ipad acceso, cellulare consentito verificato con molta attenzione, poi perquisizione personale: gli agenti mi palpano le spalle, il torso, le gambe e finalmente mi dichiarano pulito.  Ora è il turno di Giacomo, tutto ok; dopo scrupolosa verifica anche lui dichiarato pulito. Infine è il turno del nostro Emanuele. Si spoglia la giacca a vento con il logo dell’Associazione; poi prende lo zaino grigio e, sicuro di non aver nulla di particolarmente insidioso, apre la tasca principale: maglione, cappello, ecc.. Tutto ok. Questa prima conferma tranquillizzano definitivamente Emanuele che apre la seconda tasca laterale e tutto bene, infine la terza. L’agente guarda, sta per chiudere… quando nota un piccolo sacchetto di plastica che era sfuggito al tatto. Riapre la tasca e… estrae una piccola busta di plastica trasparente. La guarda ed immediatamente riconosce le foglie di coca. Era una piccola busta che avevamo comperato a Lima e che masticavamo ogni tanto, se l’era dimenticata! La guardia ridendo dice: “Dottore credo proprio che queste foglie di coca non possano entrare qui dentro, le ritirerà dopo…” Tutti scoppiamo a ridere! In Perù è normale masticare coca e spesso io la mastico a casa di Olinda, oppure si beve il mate di coca. Nello stato di foglia, la coca con ha la capacità e la virtù della cocaina: per arrivare a quella sostanza si deve raffinare una grande quantità di foglie e il processo non è semplice, lo sanno bene i trafficanti e produttori di droga. La coca in Perù e sull’altipiano andino viene masticata soprattutto da chi fa lavori pesanti, nei campi. Oppure per avere un po’ di forza. Ha grandi proprietà terapeutiche contro il mal di altura, toglie la fame e dà forza… Ma il fatto simpatico è che un dottore sia stato fermato perché in possesso di foglie di coca. Non vi dico come abbiamo preso in giro il nostro amico: “Dottore, portane un po’ in Italia per i tuoi pazienti!” “Emanuele, non sapevamo che consumavi coca di nascosto!” E Giacomo… “Lo potrei dire a tua moglie Marzia!” Una giornata in cui il povero Emanuele è stato simpatico bersaglio di nostre frasi scherzose. Terminato il simpatico siparietto ecco il nostro incontro con i carcerari di La Capilla. Era l’ultimo giorno di permanenza a Juliaca, il 27 dicembre 2017 L’ultimo incontro che abbiamo avuto a Juliaca è stato nel carcere de La Capilla che si trova a Juliaca e che ospita 980 prigionieri. Anni fa il carcere era usato per far ambientare i carcerati che venivano da tutto il Paese all’altura dei 3800 metri e poi spedirli nell’inferno di Challapalca a 5050 metri. Oggi invece molte volte è il luogo dove i prigionieri tornano dopo aver scontato il carcere più duro di Challapalca. Anche in questo luogo con grande emozione celebro la Santa Messa, confesso alcuni delinquenti e poi inizia il giro con l’acqua benedetta tra i carcerati che chiedono di benedire rosari che portano al collo, immaginette, catenine e… i loro tatuaggi religiosi. Questa cosa mi sorprende, ma poi penso a Papa Francesco ed il suo singolare rapporto con i tatuaggi e soprattutto con i tatuaggi dei prigionieri. A Bergoglio è stato chiesto da alcuni carcerati di firmare una breve introduzione ad un libro che raccoglieva le fotografie di chi in prigionia aveva impresso sulla pelle e nel cuore la domanda di Dio. E qui arriva la telefonata del Papa a cui era stata chiesta un’introduzione. “Pronto, sono Francesco. Ho pensato che possiamo fare più in fretta se la mia prefazione ve la detto al telefono… Ha carta e penna per scrivere?”. Usando un termine abusato, si potrebbe dire che Dio è anche Signore della semplificazione. Ed ecco la letterina di Papa Francesco che mi dà forza lontano da Roma nel visitare i carcerati: “Cari amici, san Pietro e san Paolo, i fondatori della Chiesa di Roma, della quale sono Vescovo, hanno conosciuto la prigionia. Sono stati carcerati. Ogni volta che varco la porta di un carcere, guardando i volti delle persone che incontro, penso sempre: perché loro e non io? Siamo tutti peccatori, bisognosi della misericordia di Dio che ci solleva, ci perdona e ci dà speranza. Grazie per il dono di questo libro, Vi abbraccio, vi sono vicino, vi porto tutti nel cuore, vi benedico, prego per voi e per le vostre famiglie. Chiedo a voi di pregare per me. Franciscus” Nel carcere di Juliaca mi sono messo così ad osservare i loro tatuaggi religiosi: essi raccontano, con il linguaggio delle immagini, la faticosa ricerca di redenzione di uomini che hanno commesso errori e che hanno visto nella fede l’ancora a cui aggrapparsi. Crocifissi, volti di Cristo, effigi di Maria, è ricco il campionario di preghiere incise sulla pelle, indelebili richieste di aiuto, che narrano in un intensissimo racconto comune la difficoltà di essere uomini e quindi fragili. Certo i motivi per i quali la gente in prigione si è fatta tatuare non sempre sono motivi nobili. La più gettonata è la Madonna di Guadalupe, molti prigionieri se la sono tatuata sul braccio o sul petto: bei colori o semplicemente il tratto nero. Splendidi disegni, oppure di fattura grossolana. Un carcerato mi dice: “Padre, io mi sono fatto tatuare la Madonna di Guadalupe sul petto come ringraziamento per la rapina che era ben riuscita e non mi avevano preso!” Rispondo io: “Ma tu sei contento ora di quello che hai fatto, di aver rapinato?” “No, Padre e chiedo sempre perdono alla Madonna di Guadalupe per quello che ho fatto…” “Ottimo: vedi la Madonna si è lasciata tatuare sulla tua pelle perché per sempre tu ti possa ricordare il male compiuto e pentito, tu possa operare il bene. Per me però hai fatto un errore, io avrei fatto il tatuaggio sul braccio per poterla vedere bene e per poter baciare la sacra immagine!” Il ragazzo mi abbraccia felice e io do la benedizione al tatuaggio.  E’ il turno di una persona più anziana, sul petto, sempre dalla parte del cuore come la Madonna di Guadalupe del precedente carcerato, vi è invece il tatuaggio di Gesù, si tratta del Sacro Cuore e attorno vi è la scritta Jesus mi salvador. Benedico questo tatuaggio chiedendo a quell’uomo, ormai attempato, di ripetere questa frase cento volte al giorno e che diventi vita per lui. Mi ringrazia con affetto e mi dice: “E’ la prima volta che un sacerdote chiede di vedere il mio tatuaggio e lo benedice, grazie don gigi!” Sul polso sinistro noto anche una croce, ed a quella invece do un bacio dicendo in latino: “Adoramus te Christe et benedicimus tibi.” Loro rimangono un po’ disorientati e ridendo dico: “E’ latino, una bella giaculatoria che recita così: Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo perché con la tua santa croce hai redento il mondo” Ripetetela anche voi, fa bene al cuore”. E’ poi la volta di un altro uomo che porta sul cuore la Vergine di Guadalupe, sulla spalla destra il tatuaggio della propria bambina ed ancora una croce sul polso sinistro interno. Poi si fa avanti un vecchio amico Guillermo, il carcerato che lo scorso anno mi aveva condotto nel braccio della sua cella per benedire una statua della Madonna che custodiva con particolare devozione. Lui mi mostra sulla sua schiena un grande crocifisso, ben fatto. “Guillermo, in questo modo non lo puoi mai vedere, però sei sicuro che qualcuno sempre ti guarda le spalle, non è vero?” I compagni di cella ridono e io benedico quel bel crocifisso. E’ la volta di un giovane. Il suo petto ha delle cicatrici di arma da taglio e quindi il volto di Gesù coronato di spine non è sul cuore ma sul lato destro del petto ed è accompagnato da una dedica: Victoria mi madre. Il giovane è silenzioso, mostro anche io il mio taglio di 20 punti sul braccio sinistro. Sembra gradire la mia condivisione di ferite da arma da taglio. Lo abbraccio e benedico il Cristo coronato di spine. Infine è la volta di un cicciottino che si avvicina con la faccia candida di una ragazzo da Prima Comunione ha tatuato la Madonna di Guadalupe sul petto, benedico anche questo tatuaggio e lo abbraccio forte…il tempo scorre velocemente e devo così lasciare i miei amici. Hanno un ricordo simpatico della mia visita: la benedizione di alcuni dei loro tatuaggi religiosi. Wilder, il direttore del carcere, mi chiama… gli impegni della giornata sono moltissimi e i secondi sono contati, ma nel cuore la frase di papa Francesco che mi consola: Cari amici, san Pietro e san Paolo, i fondatori della Chiesa di Roma, della quale sono Vescovo, hanno conosciuto la prigionia. Sono stati carcerati. Ogni volta che varco la porta di un carcere, guardando i volti delle persone che incontro, penso sempre: perché loro e non io?  E’ vero, l’ho detto anche a Challapalca: perché loro e non io? Mentre sto uscendo dal patio affollato dai carcerati per la Messa, mi sento strattonare la spalla destra. Una forte e grande mano si è posata e sento forte la presa che potrebbe sbriciolare la clavicola come un grissino. Il gesto imprevisto e forte mi mette un brivido. Mi giro: è lui, Guillermo con gli occhi pieni di lacrime. Mi tira a se come un fuscello e lentamente mi sussurra all’orecchio: “Padre, continua così, continua a stare vicino agli ultimi, agli esclusi ed agli emarginati. Te lo dico in nome di tua madre Santina, te lo dico in nome di tutti i poveri che incontri, te lo dico in nome di tutti i miei compagni che scontano la pena in questo schifoso carcere…” Lo guardai con calma ed in silenzio, con le dita gli asciugai gli occhi; lo abbracciai forte e senza dire una parola uscii dal carcere. Quanta delicatezza ci viene chiesta davanti al dolore altrui. Per parlare di speranza a chi è disperato, bisogna condividere la sua disperazione; per asciugare una lacrima dal volto di chi soffre, bisogna unire al suo il nostro pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di dare un po’ di speranza. E se non posso dire parole così, con il pianto, con il dolore, meglio il silenzio; la carezza, il gesto e niente parole. (Papa Francesco Udienza Generale del Mercoledì, 4 gennaio 2017)

 

 

APPENDICE
PROGRAMMA 20MO VIAGGIO DI SOLIDARIETA’ IN PERU’
16-30 DICEMBRE 2016 
RICONOSCERE LA PRIGIONIA PER APRIRE ALLA LIBERTA’

GIORNO MATTINA POMERIGGIO SERA
Venerdì

16 Dicembre 2016

 

  Ore 17,00 Santa Messa inizio 19mo viaggio

Ore 18,00 La chiave spezzata: riflessione e preghiera su realtà del Perù

Ore 19.30 Vespro

Ore 20,30 Cena di Natale con amici di Roma e auguri

Sabato

17 Dicembre 2016

Volo Transoceanico

Italia

Spagna

Perù

 

Ore 5,00 S. Messa

Ore 7,45 IB 3239

Roma – Madrid ore 10,25

Ore 13,00 IB 6651

Madrid – Lima Ore 19,00

Incontro con Padre Guillermo e Olinda transfer al convento francescano nel centro della Città

Domenica

18 Dicembre 2016

 

Ore 6,00 Sveglia e colazione

Ore 7,00 S. Messa al Senor de los Milagros

Ore 8 inizio visita della città: Palazzo del Governo, Cattedrale, chiesa di S. Martino de Porres, S. Rosa da Lima

Pranzo

 

Continua la visita della Città fino alle ore 17,00

Ore 17,00 Transfer all’aeroporto

Ore 19,15 LA 2093

Lima – Juliaca 20.55

Transfert Collegio San Roman e sistemazione. Don gigi prosegue per Villa S. Roman

Lunedì

19 Dicembre 2016

 

Ore 8,00 Santa Messa al Collegio san Roman e musical di Natale, incontro con le classi del liceo e insegnanti

Ore 11,30 Asilo Villa san Roman santa messa per inaugurazione del muro dell’Asilo realizzato da Fondazione Santina incontro con autorità

Ore 13,30 Grigliata di festa con i genitori

– Ore 16,00 Puno, transfert in combi. Taller Miranda incontro con le 10 ragazze in adozione a distanza, festa insieme e colloqui. Visita Cattedrale, uffici INPE per permessi ingressi a Challapalca

– Ore 19,30 rientro a Juliaca

Martedì

19 Dicembre 2016

 

Ore 7,00 partenza in per Cuzco, pranzo al sacco (sei ore) Ore 14,00 arrivo a Cuzco, visita cattedrale e centro storico ospiti al convento francescano Padre Dante

-ore 19,00 cena di festa sulla piazza di Cuzsco

Mercoledì

20 Dicembre 2016

 

Ore 5,30 partenza per Aqua caliente con pulmino privato.

Ore 9,00 Trenino per Machu piccu

Ore 10,00 visita al sito archeologico degli Incas

Ore 14,00 pranzo e rientro in trenino da Aqua caliente e da Aqua caliente a Cuszo

Ore 21 Cena

Giovedì

21 Dicembre 2016

 

Ore 7,00 partenza in pullman per Juliaca (sei ore) Ore 13,00 Arrivo a Juliaca pranzo da Olinda visita città e cena con Padre Joselo
Venerdì

23 Dicembre 2016

 

Ore 7,00 Partenza per Conima per la strada della culebra battuta dai contrabbandieri Juliaca – Huancane- Moho- Conima

Ore 10,00 Incontro con le autorità, sindaco e tenientes e tenienetinas

Ore 11,00 Santa Messa nella chiesa rinnovata con i soldi di Fondazione Santina

Ore 12,00 Isola Suasi pranzo e visita Isola

– Ore 16.00 Rientro a Juliaca

– Ore 20,00 Acquisto dei panettoni per prigionieri di Challapalca

Sabato

24 Dicembre 2016

 

Ore 8,00 Partenza in jeep da Villa san Roman per Challapalca 5050 metri

Ore 12,00 Pranzo a Mazocrus

– Ore 16,00 arrivo al Carcere di Massima Sicurezza

– Ore 17,00 Santa Messa di Natale con carcerati

– Ore 19,00 Cenone (si fa per dire) con guardie dell’INPE

Ore 24,00

S. Messa di Natale con guardie dell’INPE pernottamento caserma esercito

Domenica

25 Dicembre 2016

NATALE

 

– Ore 9,00 Benedizione campo sportivo realizzato da Fondazione Santina

– Ore 10,30 Santa Messa di Natale con militari

– Ore 12,00 pranzo di Natale con autorità del Carcere e dell’esercito

 

Ore 14,00 Bagno termale  e Partenza per Juliaca

Ore 21,00 Arrivo a Juliaca e cena di festa con famiglia di Olinda

Lunedì

26 Dicembre 2016

– Ore 9,00 Emanuele e Giacomo visitano Sillustani e don gigi scrive relazione. Preghiera e Santa Messa.

– Ore 12,00 Pranzo

– Ore 16 Visita ospedale Hospital Carlos Monde Medrano e incontro con malati

– Cena con Padre Joselo

 

Martedì

27 Dicembre 2016

– Ore 8,00 Partenza per carcere  di La Capilla Messa e rientro a Juliaca

– Ore 14,00 Tacchino ripieno a Casa di Olinda

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– Ore 16,00 Incontro acquisti a Plaza Bolognesi

– ore 18,00 Partenza per Puno e cena con Vescovo Carrion e Direttore La Capilla Wilder. Saluti

Mercoledì

28 Dicembre 2016

Ore 5,30 S. Messa a Villa san Roman

Ore 6,30 Transfer dal Collegio San Roman all’aeroporto

Ore 8,21 AV 0800

Juliaca – Lima Ore 9,55

Incontro con Dottore all’Ospedale Tezza.

Ore 16,00 Rientro in aeroporto

Ore 19,25 BA 2238

Lima – Londra LGW ore 12,40

 

Giovedì

29 Dicembre 2016

Volo Transoceanico

Perù

Gran Bretagna

Italia

Lima – Londra LGW ore 12,40 Messa a bordo

Transfert di aeroporto

 

Londra LHR – Roma ore 21.50

Cena e Trasferimento in Hotel e pernottamento

Venerdì

30 Dicembre 2016

Ore 9,00 Santa Messa di Ringraziamento e termine de Rientro a Bergamo

CENA AL PIANONE E TERMINE  20MO VIAGGIO DI SOLIDARIETÀ

 

 

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