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IRAQ ADOZIONI 2016-2019


Viene riportato il programma di adozioni a distanza in Iraq per il periodo 2016-19. Tale programma viene effettuato da Associazione Amici di Santina Zucchinelli ONLUS in rapporto con la parrocchia di Mangesh.

 

Per conoscere e meglio intendere la reale situazione dei profughi di Mosul si veda questo Rapporto dell’ONU molto eloquente

L’importo di Euro 3000 è versato in un’unica soluzione di Euro 3000 allo scadere dell’anno

ANNUALITA’ DATA IMPORTO
PRIMA RATA 10 OTTOBRE 2016 3000
SECONDA RATA 14 DICEMBRE  2017-18  3000
TERZA RATA OTTOBRE   2018-19  
TOTALE   EURO 9000

IN DATA 10 OTTOBRE 2016 IL DOTTOR LUIGI PACINI PROVVEDEVA AD EROGARE EURO 3000 PER I 9 BAMBINI PIU’ HAZAR – LA DONNA SCHIAVA DELL’ISIS  – IN ADOZIONE A DISTANZA PRIMA ANNUALITÀ’, LA COPIA DEL BONIFICO SI PUO’ VEDERE NELLA SEGUENTE IMMAGINE:

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SECONDA ANNUALITA’ 2017-2018
Nella seconda annualità 2017-18 è avvenuto un fatto importante e bello per i 5 bambini cristiani del campo profughi. Con la fine dello Stato Islamico i villaggi dai quali le famiglie provenivano sono stati liberati ed allora le cinque famiglie cristiane hanno fatto ritorno alle loro case. I soldi a loro destinati sono allora impiegati per acquistare vestiti per l’inverno a 5 bambini cristiani del villaggio di Dawdia. I soldi sono stati inviati a Padre Yoshia Sana in data 14 dicembre 2017.

LA DISTRIBUZIONE DEGLI AIUTI ALLE CINQUE FAMIGLIE YAZIDE DEL CAMPO PROFUGHI

NOTTE AL CAMPO DI DAWDIYA IDPs
Penso che il sonno profondo sia un dono che Dio concede alle anime in pace con se stesse.
Nella avventura di condivisione con i più poveri che Santina mi ispira in questi anni negli angoli più bui e sperduti del mondo, alcune volte mi chiamano turista missionario, oppure avventuriero della fede. È vero queste esperienze sono molto brevi e lo riconosco fino in fondo; ma esse costituiscono dei momenti forti in cui ricarico le batterie per tornare in Italia e riprendere il mio servizio in Vaticano, dove il Signore mi vuole. Alcune volte a pranzo o a cena arriva il professore della lateranense che vive in comunità con altri confratelli che dice: hai finito di fare turismo missionario? Io rimango sereno, anche se fosse turismo missionario le opere di luce che realizziamo come Associazione mi rendono tranquillo.

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Non trascorro le mie vacanze in montagna o al mare ma nei posti più schifosi del mondo… E allora non rispondo e continuo per la mia strada! In verità non è turismo missionario, ma non lo spiego a chi non vuole intendere. È qualcosa di diverso e di più. Oggi tutti noi diamo spazio alle vacanze, al tempo libero, ma spesse volte queste giornate trascorrono nella noia o nella ricerca di esperienze forti di piacere e gusto e così pensiamo di essere felici per la bella vita che trascorriamo dimenticando che la felicità sta nella buona vita. Queste esperienze forti come l’Iraq, di sicuro non riposano, ma rigenerano! Si torna stanchi morti, con dissenteria, scottature, talvolta sbucciature e lividi, ma le batterie interiori sono cariche di valori spirituali e di formidabili incontri, come quelli con Hazar. Tutto ciò crea unità di vita, recupero delle proprie radici e forza nel vivere la quotidianità e ridona un profondo gusto all’esistenza! Si torna profondamente cambiati e i segni di questi viaggi permangono nel tempo. Dopo la squallida capanna di Nekesa in Africa mi ci mancava la notte nel campo profughi di Dawoodiya. Chiedo a Clara, la direttrice, se posso soggiornare nel campo profughi per una notte e la direttrice benevolmente acconsente a tale strana richiesta. “Don gigi in due anni che esiste il campo tu sei la prima persona che chiede di dormire qui, tu sia il benvenuto! Samir si prenderà cura di te. Hai qualche preferenza? Clara, vorrei soggiornare in una famiglia numerosa dormire con un bel po’ di bambini attorno e con tutta la famiglia riunita. Pensi sia possibile? Io ho visitato la famiglia di Bedan che abbiamo preso in adozione a distanza. Loro sono nove bambini. Che ne dici?

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Penso che questa famiglia Yazida sarà felice di ospitarti! Samir, mi accompagna per il viottolo con Jamal il giovane Yazida che parla perfettamente inglese e che sarà il mio traduttore. Passiamo in mezzo alle case dei cristiani dove ci fermiamo per cena. È incredibile in questo campo profughi pieno di miseria e dove i sacchi di farina della FAO giungono alle porte dei caravan, la gente ha una enorme generosità. Nella famiglia cristiana dove ceno hanno messo sul tavolo tutto quanto hanno e lo condividono con gioia. Terminata la cena passiamo di casa in casa, chi vuole offrire un tè o un semplice bicchiere di acqua nel caldo torrido. Finché giungiamo alla casetta Yazida. Papà e mamma mi stanno aspettando e il chiasso dei bambini nel caravan è formidabile. Bedan, Faed, Rakana, Dalia, Arcan, Dial, Nafia Amin e Alia eccoli li tutti insieme. Tolgo gli scarponcini impolverati ed entro in casa, mi viene riservato per la notte un posto di onore, contro il muro e sotto la finestra. Vado in bagno perché mi rendo conto che nella notte tale operazione significherebbe svegliare o almeno disturbare tre piccoli bambini, che sono stesi uno vicino all’ altro! Ma Jamal mi dice, padre non ti preoccupare quando questi bambini dormono non si svegliano neanche con le cannonate! È vero, non ricordavo più il potente e profondo sonno dei bambini… I bambini mi guardano con curiosità e simpatia: Sono bellissimi! Dopo aver fatto i miei bisogni rientro nel caravan e alcuni di loro già dormono. La mamma ha vicino a se il più piccolino e si trova sdraiata dall’altra parte della stanzetta. MI viene in mente il soggiorno in una famiglia beduina nel deserto di Giuda nell’agosto dello scorso anno 2015. E.. si perché non immaginate che la stanza sia grande parliamo di circa 5 metri per 5 e per…. undici persone, dodici con me! Si è fatto tardi i bambini si stanno addormentando ed il capofamiglia mi dice in curdo buonanotte don gigi! Dalla finestra spalancata entra il fresco della notte, ormai è molto tardi e le voci del campo piano, piano diminuiscono, solo le voci delle guardie di sorveglianza ogni tanto si odono. A differenza dei bambini Yazidi e di quella famiglia il mio sonno purtroppo è leggero.

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Ecco la richiesta da parte del parroco Padre Yoshia Sana di aiutare 10 bambini profughi da Mosul

Penso che il sonno profondo sia un dono che Dio concede alle anime in pace con se stesse. Penso al profondo sonno di Santina che durante la malattia era capace di dormire 10 ore di fila e il suo sonno iniziava e termina va con un grande sorriso! Penso al sonno pesante e sereno di Papa Francesco, penso al sonno profondo di Olinda, oppure di Nekesa e Albert nella capanna africana e lo confronto con il mio sonno breve e leggero. È vero io purtroppo non ho più quel sonno profondo che hanno i piccoli, le persone semplici e buone. Sono qui in un campo profughi, disteso su un misero materassino di gommapiuma, attorniato da nove angioletti che sereni dormono il sonno dei giusti. Il loro respiro leggero mi culla, mi riempie di pace, mi sento protetto da loro! Qui in Iraq, in un campo profughi con quattromila disperati… Sono qui ad imparare a dormire, da nove bambini miei professori in queste mie meditazioni notturne nel campo profughi. L’ Italia mi appare lontana e piena di rumore, qui nella miseria e nella insicurezza il sonno profondo quieto e forte di nove bambini Yazidi , dei loro semplici e buoni genitori. Non vi sono ratti o insetti, solo qualche fastidiosa zanzara, il caldo soffocante del giorno stempera nella notte e mentre ascolto il respiro di tutti quei bambini che mi culla, mi viene spontaneo pregare per loro. Gesù in questa notte mi sei particolarmente vicino attraverso questa numerosa famiglia in cui trascorro la notte. Non è la comoda camera di una casa di ferie al mare o in montagna, devo stare attento a come mi giro per non dare un calcio ad un bimbo o una gomitata ad un altro, si sta stretti in questa stanza, ma… Mi sembra di essere in paradiso! I piccolini mi insegnano il sonno profondo che io ho perso, questa famiglia mi insegna la povertà ed anche l’ospitalità. Quante cose imparo questa notte Gesù e che malinconia avrò la prossima notte senza loro, senza il loro respiro, senza la loro quiete! Mentre prego mi giro, un piccolino nel sonno si sta succhiando il pollice, una bimba appoggia la sua testolina su il mio gomito e Bedan allunga il piede sulla mia gamba, mi sento da loro imprigionato, no mi sento da loro protetto! Il padre vicino a me delicatamente mi libera, mi offre un bicchiere di acqua e mi augura la buona notte. Anche lui chiude gli occhi e si addormenta sereno. Recito le preghiere della sera che Santina mi aveva insegnato e concludo con un gesto semplice. È una famiglia non cristiana ma sono sicuro che anche loro sono la carne di Gesù: alzo il braccio destro, libero dalla piccola che mi dormiva sul gomito e do la benedizione a tutta la famiglia. E poi recito la frase: Il Signore ci conceda una notte serena ed un riposo tranquillo! Appoggio la testa sul mio zaino nero, lo palpo, riconosco al suo interno la Bibbia, accomodo bene il sacro libro inseparabile da me sotto la testa e miracolosamente sprofondo in un sonno pesante, come da molto tempo non avevo. Colpa della stanchezza o merito dei piccoli angeli che avevo attorno a me? La sera dopo ad Erbil quanta nostalgia per loro, una nostalgia che porto nel cuore e che mi fa bene: quando sono triste, penso a loro a quella meravigliosa famiglia Yazida, ed il loro ricordo mi infonde una grande pace, forse ben più grande di quella dei colleghi che non fanno turismo missionario e che preferiscono riposare in comode stanze al mare o in montagna. Proprio loro invito a seguirmi in questi viaggi scomodi, pazzeschi,  pieni di incomodità e pericoli ma che regalano al cuore una profonda pace e una nuova identità, perché a differenza di loro in un campo profughi disperso nel Kurdistan iracheno posso dire di essere stato ospite da Gesù, di averlo incontrato e di aver dormito al riparo dal demonio custodito da undici meravigliosi angeli: una povera coppia di sposi ed i loro nove bambini!

DAWODIYA IDPs CAMP IN DUHOK
Aspettavo da tanto tempo di avvicinarmi a loro, di conoscerli, di stringerli e di abbracciarli. Il campo di Dawodiya è il cuore del viaggio, come Challapalca lo è stato per il viaggio in Perù o l’ università di Garissa per quello del Kenya. Quattromila persone, il campo è a stragrande maggioranza Yazida ma vi è anche una discreta presenza di cristiani. Domani incontrerò la storia di tre donne incarcerate e vendute come schiave dagli uomini di Daesh, una triste, orrenda storia. Incontriamo la direttrice del campo profughi e il comandante militare dei 18 agenti, che sorvegliano il campo. Sono emozionato, finalmente le loro storie riempiranno queste righe, alla ricerca degli ultimi e delle loro storie di dolore , nate attorno alla vicenda di essere cristiani. Essere cristiani significa qui dare la vita, significa perdere tutto come è avvenuto a loro, come è avvenuto alla santa famiglia, fuggita in Egitto. Iniziamo la visita del campo contrassegnato dai teloni azzurri dell’ONU, che qui garantisce un minimo programma di alimentazione per chi qui ha perso tutto e vive in povertà estrema. Proprio all’ ufficio ONU BRHA a Duhok mi dovrò rivolgere per concludere un accordo di adozione a distanza per i nove bambini e per la donna Yazida e per poter mettere il logo della nostra Associazione. Incontrare le loro faccine, giocare con questi bambini, scherzare con loro è un modo meno doloroso per ridicolizzare me stesso e tutto il benessere di cui sono imbottito. La nostra comitiva è composta dal  cugino di Yoshia, che traduce in inglese per me, da Philip un diacono, da un rappresentante della comunità cristiana e da uno di quella Yazida. Inizia il nostro percorso tra le vicende di dolore provocate da Dahesh. Solo in quel campo ho sentito i brividi sulla pelle, per la profondità del male causato dal califfato. Entriamo in un viottolo tra questi container che avevo intravisto ad Erbil.

DILER
È il bambino che vogliamo adottare in adozione a distanza per tre anni. Ha dieci anni ed ha un fratello, Daniel, di 15 anni. La storia di questi due fratelli è triste: il padre ha perso un braccio e dunque è disabile, sta facendo un piccolo lavoro occasionale e dunque non posso incontralo, e sono orfani di madre. È lo zio a parlare per loro. La mattina del 6 agosto 2014 Daesh entrò in casa e urlando come una furia gli uomini del califfato gridarono che dovevano lasciare la loro casa in 24 ore, altrimenti sarebbero morti tutti. Mentre lo zio parla guardo Diner e mi chiedo quanto debbano aver sofferto e quanto debbano soffrire questi bambini sfortunati. Eppure nei piccoli vi è una capacità di adattamento che noi adulti non abbiamo più. Nei piccolini rimane ostinato ed attaccato al loro volto il sorriso, come nei piccoli bambini dell’asilo di San Roman in Perù o nei piccoli lavoratori in nero delle Ande peruviane. Preghiamo con loro e poi usciamo per incontrare un’altra famiglia per il progetto di adozione a distanza.

CRISTINA E SHIRANOSH
Queste piccoline sono sorprendenti, hanno solo 5 anni e sono due gemelline, belle come il sole, con i capelli biondi. Mi ricordano le due gemelline del Kenya: Sonia ed Emma. Vengono da Bartella, come gli altri cristiani che visiteremo. Dolcissime, mi corrono incontro dal loro container. Shiranosh sta giocando con la tanica di acqua fuori del container, mentre Cristina sembra indaffarata con lo stendibiancheria. Appena mi vedono mi si avvicinano. Il papà mi invita ad entrare. Questa storia è davvero commovente. Saluan, così si chiama il padre, è un uomo abbastanza robusto e siede per terra su dei piccoli materassini in gommapiuma. Vicino a lui la moglie Fadia. Ogni container ha degli spazi angusti che sono pieni delle poche cose che la gente è riuscita a portate via dall’ ISIS. Mi guardo attorno e mi accorgo che queste case prefabbricate sono piene zeppe di povertà: vi sono due piccole stanze e un bagno, niente di più e talvolta ci sono 8-10 persone! “Padre, era una mattina di giugno verso le sei, io stavo andando a lavorare con il mio pick up. Mi sento seguito. E’ un Toyota scoperto dell’ ISIS ,che si avvicina e tenta di fermare la mia macchina. A quel punto parte una scarica di mitra. Mi sento colpito, la mia gamba sinistra vien colpita da un proiettile e così anche la mia spalla destra. Gli uomini del califfato mi gridano di lasciare la mia casa. In mezzo al sangue e con un forte dolore risposi impaurito di sì.” Mentre dice così l’ uomo alza il pantalone e mi mostra la cicatrice sulla gamba sinistra e sulla spalla sinistra. Alla mente mi viene in mente la cicatrice di Alex in Messico, il tassinaro colpito dai narcotrafficanti, oppure le vaste ed orrende ferite dei sette feriti che abbiamo incontrato a Gaza nel 2014, ma questa volta le cicatrici del giovane curdo, papà delle due bellissime bimbe, sono molto diverse: mentre a Gaza ed in Messico quelle ferite erano causate da motivi di guerra e di egoismo qui la cosa è molto diversa. Quell’ uomo è stato ferito perché cristiano, perché odiato per la sua fede e a motivo della sua fede costretto a lasciare tutto. Notate bene cari lettori, questi uomini che ho incontrato, queste famiglie cristiane, questo ottimo cristiano potevano evitare di lasciare Mosul o la Piana di Ninive, se solo avessero rinnegato la loro fede! Ed invece no! La fede non si rinnega, si lasciano le cose, si lascia la vita, ci si lascia ferire o ammazzare. Questa cosa ha il potere di commuovermi profondamente, mi rigira le budella! Quell’ uomo porta nel suo corpo il segno della appartenenza a Gesù, in certo qual modo porta nel suo corpo delle stigmate. Quanto sono potenti questi viaggi, che grande antidoto e medicina alla mia vita! Non potrò mai più dimenticare Saluan e la sua famiglia. Lui è una provocazione formidabile, voglio stamparmi una sua foto e voglio che lui sia una mia guida spirituale, un modello da imitare. Le bambine sono dolcissime, quasi quasi me le adotto tutte due io, per ricordare il padre e le ferite che porta nel cuore in nome di Gesù. È notte qui ad Araden, questa sera il tempo è bellissimo, una forte luna piena è in cielo… L’ elettricità è venuta meno e vi è una forte oscurità che dà risalto alle stelle. Mentre ricopio gli appunti che ho preso al campo, qui nella casa di don Yoshia in questa terrazza dal panorama incantato, penso a quelle povere famiglie nel campo profughi e sento grande commozione per loro! Dobbiamo fare assolutamente qualche cosa per loro, non possiamo pensare di rimanere insensibili a tale testimonianza cristiana di valore assoluto a confronto con la nostra rammollita Europa, che non è più in grado di produrre testimonianza e coerenza. Mi interrogo su che fine faremo tutti, se non saremo capaci di tornare ad essere come gli uomini del Campo di Dawodiya.

MARCELA
La bimba è tra le più piccole che abbiamo adottato, ha solo due anni, i suoi genitori si chiamano Isack e Avi. Anche per loro la stessa situazione di tutti. Daesh ha avvisato la popolazione che avrebbero sterminato tutti coloro che non avessero lasciato Bartella e così senza aspettare il loro arrivo hanno lasciato il villaggio. Isack è cieco da un occhio e quindi la sua situazione è anche essa di disabile. Vedo tanta povertà in questa famiglia, quanto assomigliano tutte alla sacra famiglia di Nazareth!

RAMA E MARIA
Le due sorelle hanno 7 ed 11 anni. Nel caravan mi accoglie la mamma Milad. Il padre non c’è, sta cercando lavoro. La casa è molto povera e i poveri stracci sono tutti ammassati in una stanza, per terra vi sono stuoie e materassini in gommapiuma, non hanno più nulla ed hanno perso tutto per il nome di Gesù e questo me lo devo ben stampare nella testa, anche se la furia demoniaca di Dahesh ha colpito in questo campo anche i poveri Yazidi. La cena è pronta don Yoshia mi chiama… Chiudo l ‘ Ipad.

MARAN
Il bambino cristiano ha sei anni, sua madre si chiama Sindis Salem ed il padre è Fraeez di quaranta anni. Anche in questa famiglia ci sono sei figli ed il più grande di 18 anni è paralizzato alle gambe e non si può muovere. Sono stati avvisati dell’ arrivo dell’ ISIS e sono fuggiti prima del loro arrivo. Il padre invece ha atteso fino ultimo momento e poi davanti all’evidenza dell’ arrivo di Daesh, è fuggito anche lui.

BEDAN
È un bambino meraviglioso biondo, con occhi verdi chiari. La sua famiglia è Yazida ed è il penultimo di nove fratellini che si chiamano Faed, Rakana, Dalia, Arcan, Diala, Nafia, Amin ed Alia; la mamma si chiama Leila. La loro triste storia inizia il 6 agosto 2104, a Sinjan. Alle sette del mattino Daesh arrivava da lontano e, prima che i terroristi potessero fare loro del male, sono scappati. Per undici lunghi giorni il loro rifugio sono state le montagne, dove hanno mangiato quello che hanno potuto, finché, stremati, sono stati raccolti e portati al campo profughi. La famiglia è numerosa e in casa mi accolgono con una grande sorriso. I piccolini mi straziano il cuore, il nostro Bedan ha un occhio nero, probabilmente è caduto, perché vi sono diverse escoriazioni. I bambini del campo fanno chiasso e sono festosi e le loro vocine portano serenità in un ambiente di grande sofferenza.

ROGIN
È la bimba più piccola ed ha solo nove mesi, la mamma si chiama Alifa ed il papà Barakat, anche questa bimba è Yazida. Il fatto della loro fuga è tristemente legato alla data purtroppo celebre del 6 agosto 2014. Avvisati che in quella data Daesh avrebbe invaso la loro casa, sono fuggiti prima e non hanno visto in faccia gli uomini neri dell’ISIS. La famiglia è in uno stato di profonda miseria e la comunità Yazida ci ha suggerito la sua adozione.

NUR
La bambina Yazida ha sei anni ed è cieca, povera piccola! È l’ultima di sei bambini di cui un altro è handicappato e non può camminare. La sua mamma è ancora in mano all’ISIS. La trovo seduta in una vecchia ruota di macchina e si diverte girando su se stessa all’interno. La ruota con qualche ingegnoso e povero meccanismo, escogitato qui nel campo profughi, come tanti ve ne sono, si trasforma in una piccola giostra adatta per Nur. La bambina sorride alle voci che riconosce e mi mette una tristezza profonda. Il papà si chiama Nagip, ed ha quarantaquattro anni. I fatti che riguardano Nur si svolgono a Sinjab, da dove vengono tutti i bambini che abbiamo adottato di religione Yazida, mentre i cristiani vengono tutti da Bartella. Il 3 agosto 2014 il padre si accorge che Daesh sta arrivando, sveglia i suoi piccoli alle sei del mattino, dice alla moglie di prendere alcune cose e lui mette in salvo i bambini. Scappa Nagip verso le montagne. Non è facile con sei figli di cui la più piccola cieca ed un altro sulla sedia a rotelle. Poi inizia l’attesa, estenuante, infinita della moglie che più non arriva e che rimane in mano all’ ISIS. Mi chiedo, la povera donna sarà schiava di Daesh, come lo è stata la nostra Hazar?

ROLA
La bambina Yazida ha sette anni ed è ultima di tre fratelli; il primo ha 23 anni, il secondo 12 anni e poi vi è lei. Il dramma di questa famiglia di Sinjar è che entrambi i genitori sono ancora in mano a Daesh e non si capisce se siano morti oppure se siano schiavi. I tre figli sono mantenuti dallo zio, anche se il più grande compie lavori fittizi. La famiglia si accorge dell’ arrivo dell’ ISIS il 3 agosto 2014 ed allora decidono di fuggire. Ma prima del chech point la macchina dei genitori viene fermata e vengono trascinati via. Per un certo tempo i figli rimangono con la zia, sorella della madre, ed infine lo zio si è preso cura di loro.

07 MAPPA COMPLESSIVA ASZ

Dalla cartina ben si vede dove vivono i nostri bambini

 

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