Viaggi di Solidarietà

CHALLAPALCA: LA CHIAVE SPEZZATA 16MO VIAGGIO DI SOLIDARIETÀ’ PERU’ 18 – 29 GIUGNO 2016


copertina-kelvin

Cliccando sull’immagine della copertina si potrà leggere la versione elettronica del nostro ultimo libro intitolato: Kelvin. Buona lettura! Il libretto è in vendita presso la nostra segreteria telefonando o inviando messaggio whatapp al numero +393290985258

INTRODUZIONE AL VIAGGIO: VENTI CENTESIMI DI SOLES 22 luglio 2016
E’ una serata di quelle sbagliate, in cui hai la luna storta: no di più vedi nero, profondamente nero non fuori, a quello ci sei abituato, ma dentro e questo fa male! Gira la testa, sei confuso, parenti ed amici ti riempiono di sordi ceffoni fatti di silenzio, indifferenza, giudizi buonisti falsamente equilibrati in cui ti raccomandano di riposare, persone che preferiscono il cane ai poveri. Ti chiedi dove stai sbagliando, quando atterrando in Italia ti coglie un senso di oppressione e quando voli via di libertà. Libertà in mezzo alle capanne di fango dell’Africa, agli sgorghi delle fogne di Saigon in Vietnam, tra le case bombardate di Gaza, a Guerrero in Messico dove imperversa il narcotraffico e ti ammazzo per il bancomat, sulle Ande del Perù nella povertà di un asilo, nella sporcizia di un ospedale o in un carcere disumano a 5050 metri. Corri lì e li stai bene. Non è falso lo scritto, non è lo scritto di un turista del Kilili a Malindi che all’ora del tè va ad incontrare i bambini poveri, ma alle sette ritorna a casa a bere vino da 50 euro ed aragosta. No: questo è il benessere di uno che dorme nelle capanne con ratti, che mangia il cibo di merda di un carcere peruviano dimenticato da Dio e dagli uomini e che vive in Villa San Roman dove vi è tanta povertà, ma i cuori sono caldi, come nella cucina verde dove prendi il caffè italiano la mattina o il mate di coca dopo il pranzo. Tutti li attorno a te ad ascoltarti a chiederti come stai… E poi ti riempiono il collo di fiori, oppure in africa a Garissa ti offrono una torta che dividi per 100 persone con lo stesso cucchiaio. Da quei posti di merda, maleodoranti, sporchi e degradati io raccolgo il mio tesoro e lo metto in un cofanetto di legno prezioso che Franca mi ha regalato. Quando sono giù apro il mio forziere e guardo il mio tesoro. Da lì esce di tutto: la camicetta insanguinata della mamma di Beto uccisa dal cartello della droga a La Laja; esce una piccola scatola che contiene terra imbevuta di sangue da Gaza; esce una piccola pantofolina blu appartenuta ad una bimba morta a Gaza e ritrovata tra le macerie… unico suo ricordo, escono le matite dei ragazzi uccisi a Garissa, un pezzo di linoleum imbrattato dal loro sangue, tre scellini dati da Albert che vive in capanna in Africa, oppure la corona di plastica della sua mamma….  E molta altra roba. Guardo quegli oggetti e loro mi calmano perché mi riportano a loro, ai poveri.

Ma ieri sera qualcosa di diverso è successo. Vi ricordate Kelvin, l’ergastolano che avevo confessato in quel modo inusuale a Challapalca? Lui mi aveva regalato un piccolo portafoglio in cambio del mio orologio. Un portafoglio del valore pari a zero, ma fatto a mano da Lui. Lo avevo guardato e riguardato diverse volte, ma questa volta mi ci soffermo. Vi è una piccola tasca e vi è la grande tasca. Apro come già avevo fatto la grande tasca per banconote e niente, lo giro e lo rigiro, ma poi mi accorgo che vi è qualcosa di duro nella piccola tasca. …Cosa sarà? Vi è un minuscolo pezzo di carta: querido padre esto es para su caridad. Es muy poco pero es todo lo que puedo dar en este momento aquí en challaplaca . Usarlo bien. Che significa “Caro padre questo è per la tua carità. E’ pochissimo ma è tutto quello che posso darti in questo momento qui a challaplaca. Usalo bene”. Si tratta di venti centesimi di soles, il che in un cambio con euro italiano parliamo della cifra astronomica di Euro 00,7. Neppure 10 centesimi, ma 7 centesimi!Che ci fai con 7 centesimi? Nulla. Ma… appena vedo quel soldino scoppio in un pianto liberatorio e torna la luce. Quel soldino tra le mie dita è un sole, accende la luce, fa tornare il sole, dirada le nubi della stanchezza, della delusione e della rabbia e riporta il cuore vicino a Kelvin, l’ergastolano assasssino che il giorno dei miei 30 anni di messa ha ricevuto dalle mie sporche mani il perdono di Gesù.

nuova-cover-6-12-16

Il carcerato che mi ha abbracciato, che mi ha commosso al quale ho baciato i piedi. Riprendo serenità. Delicatamente adagio quella moneta sul mio cuscino e come ogni sera guardo al mio crocifisso e gli dico: “Gesù proteggi Kelvin, fai che questa notte non senta freddo, che sotto le lamiere della sua cella non si scoraggi, Gesù fa che possa uscire dal carcere e tornare pentito dalla sua famiglia che soffre.” Gesù mi guarda… ieri sera l’ho proprio stancato, ho parlato con lui per ore… “Hai visto che non hanno caloriferi? Hai visto le sbarre rosse? Hai visto che non hanno scarpe ma ciabatte? Hai visto che schifo di fagioli che ho mangiato?” Lui, il mio crocifisso mi guarda e mi rimprovera… da lui accetto tutto! “Gigi, ti ho scelto io per essere prete, questa sera mi hai fatto perdere la pazienza, ma cosa centra quella povera gente che ti vuole bene? Sfogarti in modo così passionale, con parolacce… Dai, che figura hai fatto!” “Hai ragione Gesù, tu mi scusi?” “Ma se ti sopporto da 55 anni non vuoi che ti scusi? Devo chiedere scusa alla mia gente? “Ma gigi lo hai già fatto!” Devi fare un’altra cosa: devi chiedere scusa a Kelvin, a Lui devi chiedere scusa. Pensa a Lui, faresti cambio questa notte con lui? Faresti cambio con la sua vita? Hai visto dove abita? Allora: gli hai mancato di rispetto! Ed è qui che mi arrabbio… perchè tu li vedi i poveri sai come vivono e tu non puoi mancare loro di rispetto. Hai capito? Hai ragione Gesù? Senti mi fai un piacere? Gli puoi chiedere scusa tu da parte mia? Ma …io ora inizio a scrivergli una lettera per non lasciarlo solo, ma questa lettera prima che arrivi lì passerà due mesi. “ “Gigi scrivi quella lettera fa più bene a te che a lui, oppure scrivi di questo discorso privato tra me e te. Che ne dici? Questa volta ti permetto di parlare di noi due: di te e di me in croce. E poi… tieni stretto al cuore il soldino di Kelvin ti farà dormire profondamente. Riempii di baci il mio crocifisso come facevo con la Santina. Spensi la luce e strinsi forte al cuore la monetina. Mi addormentai profondamente e quando mi risvegliai questa mattina il mio tesoro era li ad attendermi la camicetta intrisa di sangue, la casacca del prigioniero africano, i tre soldini di Albert e la corona del rosario di Nekesa. Con un bacio ho rimesso nel forziere i miei tesori e felice ho fatto la valigia per Gerusalemme… oggi alle 15,25 si parte per casa.

CHALLAPALCA: LA CHIAVE SPEZZATA
Reportage del 16mo viaggio di solidarietà in Perù
Fondazione Santina ONLUS
18 – 29 giugno 2016
I MIEI TRENT’ANNI DI SACERDOZIO. 21 GIUGNO 2016 CARCERE DI MASSIMA SICUREZZA DI CHALLAPALCA IN PERU’
“Il Carcere di Yanamayo, simbolo della dittatura e pupilla dei suoi occhi, costruito, edificato per disumanizzare, per triturare coscienze e corpi. Era una macchina in cui dovevi entrare intero ed uscire a pezzi. Entravi in piedi e dovevi uscire in ginocchio o strisciando come un verme. Addio Yanamayo, hai cercato di spezzarmi e non ci sei riuscito, hai cercato di disumanizzarmi ed esco con più amore per l’umanità, per questo popolo di cui faccio parte. Addio Yanamayo, comprenderai ora che contro la dignità insorta non ci sono muri che possano durare a lungo” (Bernardo Roque Castro, il giorno del suo trasferimento dal carcere di massima sicurezza di Yanamayo ad un carcere “normale” – era rinchiuso a Yanamayo dal 1993).
Con le parole di questo prigioniero mi introduco a parlare di Challapalca. Anche se il testo citato è di 13 anni fa, la situazione riguardo alle carceri peruviane non è molto migliorata. Le carceri speciali in cui sono rinchiusi i peggiori delinquenti peruviani in condizioni disumane sono il risultato della legislazione di emergenza emanata da Alberto Fujimori nel 1992, quando con un colpo di Stato impose il proprio potere in modo autoritario. La legislazione di emergenza prevedeva l’uso di tribunali militari con giudici incappucciati e si basava su accuse spesso estorte con la tortura.  Da allora le organizzazioni per i diritti umani, Amnesty International in prima fila, si battono per il ripristino della legalità, l’abrogazione delle cosiddette leggi speciali e il ritorno alla legislazione ordinaria. Con la caduta della dittatura nel novembre del 2000 e il processo di democratizzazione in atto, il ripristino della legislazione ordinaria dovrebbe essere improrogabile, ma per certi aspetti la legislazione voluta da Fujimori resta in vigore. I peggiori prigionieri in Perù sono rinchiusi in numerose prigioni, ma tre sono i penitenziari che maggiormente violano i diritti fondamentali dell’uomo: le carceri di massima sicurezza del Callao, di Yanamayo e di Challapalca.
E’ proprio nel carcere di Challapalca che martedì 21 giugno 2016 celebrò la Santa Messa dei miei 30 anni di ordinazione sacerdotale. Sono alla vigilia della partenza per questo viaggio impegnativo e duro che mi vedrà per dodici giorni in Perù viaggiando tra l’altipiano delle Ande e la selva di Puerto Maldonado per incontrare minatori e bambini vittime di sfruttamento. Cuore del viaggio sarà il 21 giugno 2016.

Il mio venticinquesimo di sacerdozio lo avevo celebrato a Gerusalemme in compagnia di quell’angelo di Santina ed anche della cara Olinda. Questo 30mo di vita sacerdotale è stata una sorpresa voluta dal Signore. Il mio progetto era diverso, molto lontano da questo. Io pensavo di festeggiare i miei 30 anni di sacerdozio inaugurando in Perù la chiesetta di Conima. Cosa c’è di più bello che ricordare tale data importante della mia vita benedicendo una chiesetta totalmente ristrutturata con i denari stanziati da Fondazione Santina? Una bella festa con musiche, danze, canti… una festa paesana che ben conosco come avviene sulle Ande, accompagnata dai caratteristici flauti andini la cui musica entra nel cuore. Compero biglietti, predispongo il programma, ma poi… parlando con il Parroco di Conima mi dice che quel giorno è un martedì e che quindi non verrebbe nessuno in chiesa nei giorni feriali; il popolo di Conima è un gran lavoratore e durante la settimana i pescatori lavorano alla pesca della squisita trota salmonata nel lago Titicaca e i contadini hanno lama ed alpaca da custodire… A malincuore accetto la soluzione di fare l’inaugurazione Domenica 27 giugno. Ed ora cosa farò? Mi  chiedo davanti ad un foglio bianco che sto riempiendo minuziosamente di appuntamenti. Che peccato, sarebbe stato così bello inaugurare la chiesa nel giorno del mio trentesimo di ordinazione sacerdotale!
Mi prende un po’ di tristezza, tipica di quando le cose vanno storte. Vicino ai miei fogli bianchi il Samsung emette un bip. Un messaggio di whathapp è arrivato. Incuriosito di scoprire chi sia dietro a questo bip apro il cellulare e vedo che il messaggio viene da Puno, è padre Andres il sacerdote cappellano militare che ho incaricato di organizzare la mia visita a Challapalca, il carcere di castigo tra i più terribili del Paese, il carcere più alto del mondo. Leggo avidamente il messaggio: Don gigi è stata dura ottenere il permesso per andare a Challapalca per celebrare la messa. Mi sono tanto sconfortato. La prima risposta è stata negativa da parte del Direttore Regionale dell’INPE di Puno, per tre motivi: per ragioni di sicurezza, in secondo luog tutti i carcerati sono in regime speciale, ed infine i prigionieri sono tutti sotto trattamento psicologico. Non mi sono perso d’animo e mi sono rivolto alla capitale, ho scritto a Lima, ma dopo una settimana anche dalla sede del Governo la risposta è stata negativa; sono infine ritornato dal Direttore Regionale di Puno e questa volta l’ho trovato molto diverso: non solo mi ha dato il permesso, ma Lui stesso ci accompagnerà a Challapalca! Padre per te va bene martedì 21 giugno 2016? …Appena leggo quella data rimango sorpreso, un tonfo al cuore. Ma cosa? Rileggo con calma… mi metto gli occhiali e rileggo: permesso accordato per il 21 giugno 2016. La commozione mi fa tremare le gambe e due lacrime si affacciano dalle finestre dei miei occhi stanchi e rossi per la giornata trascorsa davanti al Computer. Cerco di ricomporre le idee e nel profondo del cuore ringrazio Dio per questa occasione nuova, non programmata, fuori da tutti gli schemi:  Celebrare 30 anni di Messa in uno dei più schifosi carceri del mondo?  Cosa significa questo? Ed ancora.. celebrare questo anniversario e questa data in un carcere nell’anno della misericordia e così ricevere l’indulgenza plenaria passando per la porta santa di una di quelle tristi celle? O mio Dio, ma questa cosa è di una forza incredibile, ha un potere su di me seducente ed affascinate: festeggiare nell’inferno di Challapalca. Ma, vi chiedere voi cari lettori, cosa è Challapalca? Per completare in modo esaustivo la nostra riflessione vi devo raccontare cosa è Challapalca e cosa ci aspetta…Il carcere di massima sicurezza e di castigo si trova vicino alla città di Tacna, ed è a 200 chilometri da Puno all’altezza sorprendente di 5050 metri. Le condizioni di prigionia sono simili a quelle di Yanamayo e di Callao, anzi peggiori. Nel passato Fujimori ci inviava  membri di Sendero Luminoso, oggi ospita circa 122 prigionieri pericolosi ed efferati: la feccia del Perù, sono sanguinari assassini, stupratori seriali, narcotrafficanti: la latrina dell’umanità, gente che è li solo per punizione senza alcuna attenzione ad un percorso di riabilitazione. Le condizioni di prigionia “disumane e degradanti” sono state ripetutamente denunciate da Amnesty International e dal Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. Quello dunque che mi aspetta il prossimo 21 giugno è un inferno. Come dicevamo il carcere si trova ad una altezza di 5100 metri e l’aria rarefatta mina drasticamente le condizioni di salute dei 122 prigionieri. Di notte la temperatura scende a meno 25 gradi e di giorno arriva solo a 5 gradi! Freddo e gelo impediscono uso della poca acqua che ghiaccia negli scoli… fare una doccia è praticamente impossibile nelle due ore in cui vi è accesso all’acqua. Dunque tutto ciò rende precario lo stato sanitario del carcere presidiato dall’esercito e vicino ai confini della Boliva. Non vi è neppure luce elettrica, solo tre ore la sera per consumare i pasti e niente di più. Il carcere è totale e duro isolamento, per giungere lì si devono percorrere da Puno otto ore di strada… in condizione proibitive. Dunque i poveri disperati non possono neppure essere visitati dai loro parenti ed infine sono isolati tra di loro. Che posto terrificante deve essere, penso davvero che sia l’anticamera dell’inferno. Faccio fatica anche a capire chi siano i prigionieri, ma immagino dai racconti di Padre Andres che siano uomini terribili, che si sono macchiati dei più orrendi delitti, colpevoli e vittime di immani tragedie, davvero gente che ha incontrato il demonio nella vita! Papa Francesco ha indetto l’Anno Santo della Misericordia… ed ha fatto una pazzia! Ha stabilito che oltre alla Porta Santa della Basilica di San Pietro ed alle belle basiliche romane, vi sono delle porte sante speciali: sono le porte delle celle carcerarie. Incredibile vero? Incredibile ancora di più quando si fa l’esperienza di attraversare queste porte sante in loro compagnia… in compagnia di questi demoni, di questi uomini sfigurati dal male. Mancano due giorni alla partenza e nella frenesia dei preparativi del viaggio, questa sera era necessario a fermarmi a riflettere. Papa Francesco mi aiuta; Lui dice così: “Perché loro sono in prigione ed io sono libero?” Quale è la loro esistenza, quali incontri e quali situazioni hanno causato il male, il gesto criminale o la colpa orrenda di uno stupro di un piccolo bimbo? Ed altri terrificanti atrocità? Non riesco a rispondere questa sera… ho bisogno di viaggiare di arrivare fino in cima là a Challapalca, di incontrarmi con il loro volto, di pregare con loro… di attraversare quelle schifose porte delle celle carcerarie che tutto sono, tranne che assomigliare alle porte sante delle basiliche romane. Che grande scherzo Dio mi ha preparato! Celebrerò i miei 30 anni di sacerdozio là… sarà la Messa celebrata nel punto più alto, in questi 55 anni di vita e sarà forse la Messa celebrata nel punto più degradato incontrato nella mia vita. Il punto più alto ed il punto più basso si incontreranno in una squallida porta di una cella carceraria costruita per togliere la libertà ed imprigionare. Una porta odiata dai carcerati, nell’ottica delle fede che muove la chiesa e papa Francesco diventerà il punto di redenzione, della mia redenzione… scenderò in punta di piedi il degrado umano bestiale, rivestito solo della potenza di Dio racchiusa nel sacramento dell’Ordine sacro ricevuto trent’anni fa. Non vado a Challapalca per aiutare i prigionieri, ma per essere aiutato dai prigionieri a capire l’umanità. In quel luogo estremo di disperazione secondo le pagine evangeliche, non abita il demonio, ma abita Lui l’Agnello immolato per i nostri peccati, abita Gesù… non ci ha forse detto: ero carcerato e siete venuti a visitarmi? Che meraviglioso anniversario mi accingo a celebrare! Lontano dai miei progetti e vicino al cuore di Dio. Essere prete in quel giorno per qui prigionieri efferati, celebrare la messa in quello squallido carcere a 5100 metri. Abbracciare forte ciascuno di loro, inchinarmi a baciare quei piedi ghiacciati dal freddo: quella sarà la mia Cattedrale, quello sarà il mio sacerdozio… ed infine attraverserò la Porta Santa: come a Mtangani in Kenia, come a La Capilla o a Lampa in Perù, gli altri tre squallidi carceri da me visitati, acquisterò nel giorno del mio anniversario l’indulgenza plenaria. Bacerò con avidità quelli stipiti maledetti dai prigionieri, ma benedetti da Dio: non ci sarà torta o spumante, ma calde coperte da distribuire a loro, un po’ di pane, qualche scodella di latte…un pezzo di sapone o un dentifricio. Sarà sicuramente tra i giorni più belli della mia vita sacerdotale! E’ tardi qui a Roma, e nella quiete della sera mi dico che ora devo spegnere la luce e dormire, prepararmi nel riposo al lungo viaggio, ma prima di spegnere la luce del comodino… è meglio che faccio un salto in chiesa: li vi è uno che mi può aiutare a vivere bene questo viaggio; anche a Lui voglio raccontare quello che ho scritto per voi su questi foglie di carta e che tra poco pubblicherò sui social, a Lui però rivelerò anche miei segreti, le mie gioie e le miserie di questi 30 anni al Suo servizio: ve ne racconto solo uno, quello che ho messo sulla immaginetta di questo anniversario e che fa tanto bene al mio cuore. Gesù, in questi  trenta anni sono sempre stato convinto di essere un asino, ma “ Se Sansone con una mascella di asino ha sterminato tutti i filistei, cosa saprà fare un asino tutto intero come me nelle mani di Dio?” E’ simpatico questo segreto? Non è mio ma del Santo Curato di Ars al quale chiedo di accompagnarmi in questo viaggio insieme a Santina.

04 cartina Juliaca challapalca

CHALLAPALCA
Ore 3.45 meno sei gradi, luna piena: carichiamo la jeep, sono duecento coperte duecento cappellini di lana, duecento pezzi di sapone, dentifricio e duecento spazzolini da denti. Direzione Challapalca. Dopo averla pensata programmata e meditata la giornata del 21 giugno è arrivata! Padre Joselo padre andres Olinda, Cesar, nostro autista, e Wilder Sandera ufficiale de INPE (Instituto Nacional Penitenciario) è il gruppo di cinque persone che con me viaggerà verso il carcere di massima sicurezza…Sto scrivendo mentre saliamo la strada sterrata verso l’inferno. Il sole sorge all’orizzonte. Io sono così emozionato e felice perché il sogno si sta realizzando. Wilder ci racconta la vita nel penale di Challapalca E.P.R.C.E. (Establecimiento Penitenciario de Regimen Cerrado Especial). Io sono stordito dalla grande occasione di conversione che Dio mi offre in questo giorno in cui acquisterò indulgenza plenaria passando la porta del carcere. Quanti pensieri nella testa mentre il freddo ai piedi e alle mani si fa sentire. Sapevo perfettamente queste difficoltà, ma esse mi danno forza e coraggio. La strada è sterrata come quella del Kenya. Per visitare questi disperati sono sei ore di viaggio, un isolamento formidabile dal mondo un regime di castigo duro. Mentre Wilder parla io cerco di scrivere. A Challapalca troveremo tre diversi regimi di vita. Regime A B e C, il regime di carcere duro prevede due ore solo di aria al giorno e reclusione in isolamento. Alle 8 mattina colazione, tre ore di rieducazione, alle dodici quello che potremmo chiamare pranzo, poi lavoro e alle cinque reclusione totale Ognuno in una cella. Nessuno può uscire, non si può scappare… Dove fuggire con il freddo che brucia i piedi e i polmoni a 5050 metri? Fuggire equivale a morire. Gli ultimi prigionieri fuggiti sono morti per freddo e per disorientamento. Condizione di vita durissime ed inumane condizionano l’esistenza del carcere più terribile di tutto il Perù. Wilder mi dice che i video che abbiamo visto sono tutti veri. Sono delinquenti efferati che sono in punizioni terribili. Ora al carcere ci sono 140 prigionieri. Sono criminali distanti trenta ore da Lima . Tra di essi. ad esempio. vi è Gerald Oropeza, detto‘Tony Montana‘, che sembrerebbe vincolato al clan Zazo per il traffico di cocaina dal Perù versol’Europa e gli Stati Uniti. Il Paese infatti si trova quindi in mezzo a una lotta interna ed esterna contro le organizzazioni mafiose straniere e nazionali che lucrano su questo commercio illegale. Il luogo si fa sempre più deserto. La jeep sale, sale, tutto è brullo e deserto l’altezza è molto determinante… Che gran commozione scrivere mentre sto viaggiando. Dovrò ricordare questi momenti tutta la vita. La jeep è molto piccola per sei persone, io tengo in grembo un Gesù buon pastore regalo di Papa Francesco. Come i pacchi che abbiamo per i prigionieri. Che meraviglia essere preti. Che meraviglia incontrare Gesù in questo inferno del mondo. Queste esperienze hanno nel loro cuore una bomba atomica di energia… Solo chi le vive riesce a capire come Emanuele, Caterina e Marzia che mi hanno accompagnato in Africa; come Doreen e Jimmy a Garissa e qui Olinda, padre Joselo padre Andres e Wilder … Queste esperienze cambiano il DNA della vita e la impostano su Dio. Sono esperienze grandi e forti che rasentano la contemplazione, che fanno capire il senso profondo della vita. Difficile è scrivere, amici voi siate comprensivi e perdonerete l’italiano scorretto perché scritto su iPad tra uno scossone e l’altro in mezzo alla polvere ghiacciata di questa strada sterrata. Il cuore dell’uomo lo incontri solo e sempre percorrendo sentieri duri e polverosi, ma che regalano spazi di riflessione sulla vita e sul mondo. Grazie Gesù; chiudo l’iPad: è tempo di pregare recitando le lodi del mattino….
Siamo a 5050 metri: il carcere è davanti a noi; la polizia penitenziaria ci sta aspettando, abbiamo da scaricare la jeep di tutti in regali per i prigionieri. Entriamo, una ragazza ci chiede i documenti e perquisisce gli oggetti che abbiamo con noi come il bel Gesù buon pastore, regalo per il carcere. Sono emozionato, è il carcere più duro e più difficile del Paese ed oggi è il giorno del compleanno del mio sacerdozio. Ci perquisiscono e poi…siamo dentro nel l’inferno fatto di sbarre, lucchetti, filo spinato; con sorveglianza dell’esercito, della polizia statale e degli uomini della polizia penitenziaria. Ci è concesso di celebrare la messa, ma solo per dodici prigionieri scelti e – la cosa più dura – al di là di grosse sbarre. Li guardo negli occhi questi mostri del crimine, relitti dell’umanità… Ma non riesco a vedere nei loro occhi cattiveria, ma una infinita sofferenza… Solo tre di loro su dodici hanno ricevuto una visita di parenti, gli altri nove nessuno. La prima cosa che si capisce a Challapalca è cosa sia isolamento. Per arrivare lì abbiamo fatto circa sei ore in mezzo al vuoto… Solo lama, vigogna, alpaca, pochi pastori e sterminate meravigliose estensioni di terra completamente vuote. Mentre giungi a Challapalca il vuoto e la solitudine ti entrano nel cuore… Guardo gli occhi ed oltre sofferenza leggo tanta paura, paura per il futuro, paura per incertezza… paura per Challapalca. Inizia la triste litania dei nomi e di cosa hanno fatto, nomi e crimini, ognuno racconta la propria vita e mentre raccontano la loro vita, guardando i loro occhi e la loro paura, mi viene in mente la frase di Gesù . Ero carcerato e siete venuti a visitarmi. Li guardo e ne conto dodici, come gli apostoli… Nel cuore il forte presentimento di essere sulla strada giusta nell’averli voluti incontrare. Non ho fotografie di quei momenti perché è fortemente vietato dal regolamento, ma il loro volto lo fotografa il mio cuore! Leggo lentamente a loro il messaggio di Mons. Fisichella a nome di Papa Francesco, dove si racconta come il papa sia a loro vicino. Poi la lettera del cardinale Comastri e così, dopo questi bei messaggi, inizia la messa. Una messa semplice concelebrata da padre Joselo e padre Andres, non candelieri, non solenni altari, niente di niente se non dodici disperati con i loro occhi fissi su di noi al di là delle grosse e rosse sbarre. Al momento della preghiera dei fedeli esprimono le loro intenzioni pregano per i figli, per la madre, per la libertà . Chiedo a ciascuno di loro di scrivermi i nomi dei figli per pregare per loro, commossi alcuni, con le lacrime agli occhi, acconsentono volentieri. La felicità mi nasce nel cuore, consacriamo il pane e il vino… Faccio baciare la statua di Gesù buon pastore arrivata da Roma… Mi commuovo e piango. tengo nel cuore tanta pace. Ci fermiamo… Sono in jeep mentre scrivo tutto è buio. Una meraviglia, fuori al freddo ghiacciato una stellata tremenda che mi riporta in Africa, a Bura Tana. Le stelle ci piovono addosso, vedo una stella cadente. L’ incanto del Perù mi prende gli occhi e mi regala respiri di infinito nelle stelle che ricamano il nero della notte. Ritorniamo in jeep e io ritorno a scrivere; i miei compagni chiacchierano felici della giornata mentre io ritorno alla messa della mattina. Stiamo per arrivare al momento della comunione… Io sono catturato dai loro sguardi. Fermo la messa e dico: “Ma a voi interessa il perdono di Gesù? Avete raccontato i vostri crimini: avete rubato, ucciso commerciato droga, vi piacerebbe essere perdonati da Gesù e ricevere il suo perdono ora?” Scorgo nei loro occhi qualcosa di nuovo, mi dicono di si… E allora, uno per uno, chiedendo perdono dei propri peccati ricevono l’assoluzione. Mentre do l’assoluzione mi viene in mente Papa Francesco. Non dobbiamo avere paura di perdonare i peccati come sacerdoti! Ha ragione, questi dodici uomini hanno confessato i loro crimini e dunque perché non possono ricevere il perdono di Gesù. Cosa sono venuto a fare a Challapalca oggi? Ma per assolvere i peccati! Riceviamo tutti la comunione e poi… Lentamente attraversano la porta santa della loro cella dando un bacio…è l’anno della Misericordia! Ci salutiamo dalle sbarre in modo particolare: mi inginocchio e chiedo da loro la benedizione: alcuni mi fanno il segno della croce, altri mi toccano la fronte e uno poverino mi da un bacio alla fronte. Sinceramente non riesco a vedere in loro il demonio, ma invece vedo residui di uomini sbranati dalla disperazione in un carcere assurdo in cui al posto di rieducare si castiga! Uomini bruciati dal freddo del carcere, uomini che non hanno più relazioni e che non hanno più speranza. E loro hanno nella loro pelle l’impronta di Dio… Loro sono la carne di Gesù, e questo è il momento più bello di tutta la giornata. Il Direttore ci fa segno di seguirlo nelle cucine dove potremo invece abbracciare i prigionieri che sono addetti ai fornelli e distribuire a loro i regali di Papa francesconi…. Entriamo nella grande cucina dove stanno preparando quello che potremmo chiamare il pranzo.

LE CUCINE DI CHALLAPALCA
Gracias monsenor Luigi por darnos el privilegio de conoserte y de que celebres tus 30 anos al lado de nuestro senor Cristo Jesus. Interno Sisto Jesus Rodriguez Espinoza  (Challapalca 21 de junio 2016).  Tra i biglietti più semplici e più belli che i carcerati di Challapalca, gli Interni come qui li chiamano, mi hanno dato vi è questo biglietto di Sixto Jesus, che accuratamente attacco nelle pagine della mia bibbia come una reliquia preziosa di questo giorno. Mentre rileggo ora il biglietto qui nel bario di Villa San Roman, al caldo del sole dei 3800 metri e dopo una notte freddissima, mentre mastico foglie di coca per fronteggiare i disagi dell’altura, mi commuovo ancora interiormente. La giornata del 21 giugno 2016 è scritta profondamente nel mio cuore in ogni secondo. Entriamo nella grande cucina del carcere, qui viene preparato il cibo per i 140 Interni e per i 18 agenti di polizia dell’INPE. Dal direttore ci viene concesso di salutare i carcerati addetti alle cucine sono Lito, Mario, Angelo, Groso, Blas e Kelvin. I sei carcerati si dispongo attorno a noi e ci salutano con ossequio, sorvegliati strettamente dalle guardie carcerarie dell’INPE. Distribuiamo a ciascuno di loro personalmente i regali di Papa Francesco: una coperta per ripararsi dal terribile freddo, un cappellino di lana di alpaca, un pezzo di sapone e un dentifricio e spazzolino, può sembrare poco, ma per 140 carcerati che vivono in condizioni estreme è una cosa bellissima che qualcuno si ricordi di loro, e se questo qualcuno è Papa Francesco la gioia è ancora più grande. Faccio baciare a loro la bella statua del Buon Pastore che viene d Roma… Mentre scrivo mi fermo, oggi è la festa di San Giovanni e i campesinos vicino alla casa di Olinda hanno finito di pitturare di rosso le pecore, quale segno di identificazione del loro bestiame e fanno esplodere un grosso petardo che mi spaventa. Ritorno a scrivere… E poi inizio a parlare loro con parole semplici, che questo è l’anno delle misericordia e che Papa Francesco ci dice che ogni porta del carcere è una porta di misericordia, che Dio perdona… E poi la domanda: “Ragazzi da quanto tempo non vi confessate?” Ed ecco la sorprendente risposta di Kelvin: “Padre mi puoi confessare? ma tu cosa hai commesso: ho ucciso un uomo e sono condannato alla catena perpetua, all’ergastolo, mai uscirò di qui!” Il giovane si mette a piangere davanti ai suoi cinque compagni di prigionia. Mi avvicino a lui e chiedo: “Kelvin quanti anni hai? Ho 36 anni e sono in prigione da quando ne avevo 20: sono tanti anni, mai ho avuto possibilità di confessarmi! Loro guardo negli occhi, gli do una lenta carezza e con il pollice detergo il suo occhio carico di lacrime. “Non piangere, io non ti posso dare la libertà, ma il perdono di Gesù te lo posso dare e te lo regalo immediatamente, non tra un’ora, ma subito istantaneo… Sono diventato prete trenta anni fa solo ed esclusivamente per questo! Non dirmi niente di più, basta questo e attendo solo una tua risposta, dimmi: sei pentito per l’orribile ed efferato crimine che hai commesso? “Si padre! Si padre! Si padre!” In modo quasi isterico, con le parole impastate di lacrime e singhiozzi Kelvin mi grida in faccia il suo sì di pentimento! Tutti lo sentono. i miei compagni di viaggio, come i secondini… L’atmosfera si carica di fede e i singhiozzi del giovane sembrano infuocate litanie di richiesta di perdono. Lo guardo fisso negli occhi, in modo fermo e deciso gridando forte forte le parole pronuncio la terribile frase dal potere sovrumano che Dio ha posto nella mia vita di prete peccatore…. Una frase piena di mistero che da trenta anni mi spaventa ogni volta che la pronuncio, una frase dal potere ontologico di cambiare la persona sulla quale viene pronunciata. Come il pane ed il vino divengono il corpo e il sangue di Gesù, Kelvin stava per divenire un uomo nuovo, immacolato senza peccato. Raccolgo la voce e grido in faccia a Lui: “Kelvin io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo!” Quella frase gridata così forte, mai nella mia vita avevo gridato a squarciagola la frase della assoluzione, scatena una formidabile reazione nel giovane che mi abbraccia con tutta la forza dei suoi muscoli e che bagna la mia spalla con le sue lacrime ora innocenti. Mentre mi abbraccia così forte anche in me si scatena una reazione inaspettata, quell’ abbraccio dell’uomo nuovo, dell’uomo che ha incontrato Gesù nel sacramento della Misericordia, mi appare con sicurezza e convinzione come l’abbraccio di Gesù… A mia volta io scoppio a piangere e bagno la spalla del carcerato con le mie lacrime. Mi sento prete fino all’ ultima cellula del mio corpo, mi sento prete in ogni respiro, in ogni battito del cuore… Mi sento anche io prete nuovo, trasformato dal mio penitente. Mi inginocchio, i jeans si bagnano a contatto con lo scolo dei luridi lavandini, bacio a lui gli stivali bianchi sporchi, le labbra si sporcano di quello scolo, che mi sembra ora lo scolo del peccato di Kelvin che lo ha lasciato. Imbarazzato e pieno di affetto il giovane si abbassa e mi pulisce con il suo grembiule le labbra, non commenta, rimane in silenzio, ma gli occhi…. I suoi occhi mi fanno impazzire! Gli occhi, gli occhi, gli occhi: Dio gli occhi di quel giovane quanto erano belli, occhi neri in cui si vedeva il cielo, la pace e la serenità… la gioia! “Padre io rimarrò in questo carcere tutta la vita, ma da oggi io sono cambiato. Il tuo urlo pazzo di perdono, mi ha schiantato e mi ha azzerato. Sono convinto che Dio mi ha perdonato! Il tuo urlo folle ha spaccato i miei timpani, ma mi ha ridato paradossalmente l’udito… Provo vergogna per quello che ho compiuto, sono stato uno schifo di uomo, ma da oggi, ma da oggi… 21 giugno 2016 le cose cambiano. Il tuo urlo mi ha sorpreso, paralizzato, choccato, ma al tempo stesso mi ha fatto rinascere…. Il mio tempo qui dentro sarà passato tutto a compiere il bene…. Il tempo, lo interrompo, il tempo non è nelle nostre mani, Kelvin; io oggi vorrei che per tutto il tempo della tua vita tu sia legato in catena perpetua a Gesù. Che tu sia un suo recluso, ergastolano, che una catena leghi i tuoi polsi e i tuoi piedi solo a lui. Oggi tu devi diventare un suo prigioniero, mi capisci? Io sono venuto fino qui da Roma, da Lima e da Juliaca per dirti questo. Ho fatto 16 ore di aereo e 6 ore di jeep per venire da te oggi… Guardo il mio orologio, vale 15 euro… Senza pensare troppo me lo levo e lo metto al suo polso. Tienilo questo orologio ha due orari, quello di Roma è quello di Challapalca. Ogni volta che lo guarderai, pensa che un sacerdote lontano da qui è vicino a te, prega per me: diventa un monaco di clausura ed aiutami ad essere un santo sacerdote. Io ho bisogno di un monaco come te che preghi per me, io ho bisogno di una persona che custodisca il mio sacerdozio dal male e quella persona sei tu che io, per mezzo del sacramento della confessione, ho liberato dal male. Io ti ho liberato dal male con la mia assoluzione potente, ma tu liberami dal male con la tua meravigliosa preghiera qui a 5050 metri. Ricorda ora tu sei più vicino a Dio di me… Il giovane si mette l’orologio nero al polso… “Mi rendo conto di essere in un carcere di massima sicurezza non avrei voluto fare un passo falso, prima guardo gli altri prigionieri e vedo un orologio bianco al polso di un altro e mi tranquillizzo, poi guardo il direttore…. un ragazzo alto due metri dal fisico enorme… “Posso lasciare a lui questo regalo? Mi guarda con uno sguardo buono e carico di emozione, anche lui è rimasto spaventato dal mio urlo di liberazione… E mi dice, come potrei dire di no?” “Ho una richiesta alla quale non può dire di no… Me la conceda questa grazia… Sono venuto da lontano, cosa può fare di male un prete? Le chiedo signor Direttore di poter mangiare con Lui oggi e di condividere il suo cibo, il cibo schifoso che mangiano… E se possibile vorrei avere tutti i sei prigionieri attorno a me, oggi… Mi conceda questa grazia, glielo chiedo anche perché oggi sono trent’anni di sacerdozio!” Il Direttore, mi guarda negli occhi. “Perché mi sfida monsignore? Quello che Lei chiede è davvero una cosa fuori di testa, neppure i parenti mangiano con loro! Accetto la sua sfida e sa cosa le dico? Non solo concedo a Lei di mangiare con loro, ma anche io mangerò con voi! Lei deve essere matto, ma mai avevo visto un prete gridare così forte e con così grande passione… Ma penso che questo regalo se lo meriti”. Guardo felice Kelvin… Che mi fa strada, vicino alla cucina vi è il luogo dove mangiano i sei cuochi. Entro chiedo a Kelvin di mangiare al mio fianco e chiamo Mario, un uomo analfabeta che sta scontando condanna per furto aggravato, di mettersi vicino a me. I carcerati portano il cibo… Padre Joselo, Padre Andres, Olinda e Wilder prendono posto. Ci portano riso, patate e una salsa di senape piccante e mate di coca. Sto per iniziare a mangiare quel cibo, quando vedo che Mario prende una squallida porzione di fagioli… Perché tu mangi fagioli e noi questo? Non risponde… Kelvin prende la parola mentre sta mangiando il riso… “Padre questo non è il nostro cibo questo è quello dei secondini. Muove il capo verso Mario: quello è il nostro cibo, forse le potrebbe fare male! Guardo Kelvin e rispondo a lui per far capire al direttore… Kelvin in Africa lo scorso anno ho voluto dormire in un lurido giaciglio in una fetida capanna di fango, tra insetti e ratti è un terribile fumo di candela. Non ti nascondo che prima di quella notte un po’ di paura lo avevo… Il padre missionario Nikolas, mi disse: “Hai preso una ottima decisione! Hai paura di zanzare e di topi? Pensa che quello sia il giaciglio di Gesù e…. dormirai benone! E ti dico che ho dormito benissimo. Cosa ti devo dire dei fagioli che Mario sta mangiando? Quello è il pranzo di Gesù! Non mi farà male, anzi sarà una medicina per il mio stomaco! Mi volto verso Mario e scambio i piatti… Lui mi abbraccia felice e il Direttore mi guarda divertito dicendo: “Lei è proprio matto, non solo ha conquistato il loro cuore ma anche il nostro! Buon appetito monsignore… e così mangiai felice quello schifoso pasto di fagioli e acqua. Aggiungendo a tutti: trent’anni fa avevo alla mia destra mia madre Santina ed alla mia sinistra mia sorella Carolina. Oggi sono fiero ed orgoglioso di consumare questo buonissimo pasto di festa con Kelvin alla mia destra e Mario alla mia sinistra e sono convinto che sia Santina che Carolina non saranno gelose, ma anzi fiere, molto fiere di voi… Soprattutto Santina, dal paradiso sarà felice di vedere il suo posto occupato da un assassino che sta scontando l’ ergastolo e a cui Dio oggi ha cambiato il DNA della vita.” Il nostro pranzo di festa non si conclude con torta o spumante, ma con una grande gioia nel cuore… Ed oggi a Juliaca quell’ orologio nero che è rimasto al polso di Kelvin è stato sostituto da un orologio rosso fiammante resistente all’acqua ed agli urti, adatto per spedizioni come quelle che presto farò in Iraq o in Vietnam, e quel regalo viene da Olinda e dalla sua famiglia che per 7 anni ha accudito Santina. Mia madre non smette mai di pensare al suo figlio Luigi rimasto senza orologio…

CHIAVE SPEZZATA
Durante il pranzo con gli squisiti fagioli in una salsa che non voglio descrivere e di cui prima ho parlato, il Direttore si scioglie in amicizia con noi e chiede perché siamo giunti a Challapalca a 5050 metri, quali sono i motivi più profondi della nostra visita. La chiacchierata amabilmente continua durante il pranzo povero e scandente. Parliamo della nostra Associazione e della nostra Fondazione Santina, che come intento ha al suo cuore l’aiuto degli ultimi e dei disperati, parliamo dell’Anno della Misericordia e parliamo di un lucchetto che le carcerate di Lampa avevano inviato a Papa Francesco. René, così si chiama il direttore, si fa curioso e dice: cosa hanno regalato dal carcere, un lucchetto di una cella? Che idea bella ed originale! Ed il papa cosa ha detto? Mons. Fisichella mi ha detto che è rimasto molto colpito di quello strano regalo, molto contento e felice… A Papa Francesco piacciono questi regali! ma che bella idea! Continuiamo a parlare con Mario e Kelvin, mentre noi chiacchieriamo, il direttore chiama un agente dell’INPE e con lui parlotta sottovoce. Dopo alcuni minuti il secondino ritorna con in mano un lucchetto e una chiave spezzata. Lo guardo con curiosità. René pone il pesante lucchetto in centro al tavolo e vicino ci pone la chiave spezzata. Tutti lo guardiamo con curiosità e smettiamo di parlare tra di noi.” Padre questo lucchetto è di una cella di Challapalca puoi vedere ad un lato che è il numero 313 e all’ altro vi è scritto INPE. Oggi è per te una grande festa e noi vogliamo farti un regalo. Le prigioniere di Lampa mi hanno dato un’idea che modifico e alla quale aggiungo un significato… Questo lucchetto è differente dagli altri. Quando i miei agenti di sorveglianza mi hanno detto che doveva essere sostituito perché la chiave si era spezzata ho detto subito di si, ma quando lo ho avuto nelle mani mi ha affascinato. La chiave è spezzata e dunque inutile e così a tutti appare, perché una chiave spezzata significa che non può più aprire il lucchetto! Non è vero? Tutti rispondiamo di si… E René in modo quasi didattico chiede a tutti il proprio parere e il parere è unanime, una chiave spezzata non serve a nulla: semplice e vero. Chiave spezzata significa sogno infranto, significa chiusura, significa mancanza di orizzonti e di prospettive, continua Renè. padre qui a 5050 metri dopo il servizio sei solo, non vi sono diversivi e così finisci per riflettere di più sulla vita. Challapalca è una chiave spezzata soprattutto per gente come Kelvin che deve scontare ergastolo, Challapalca è sinonimo di paura e di castigo in tutti le carceri del Perù, dove per i prigionieri indisciplinati e violenti il solo pensiero di finire qui smettono di usare violenza. Challapalca è esclusione di tutto e da tutti, i prigionieri qui vivono in totale isolamento in condizioni pessime e lo hai assaggiato nei fagioli che ti sei ostinato a mangiare! Challapalca è una chiave spezzata… Si padre tutti pensiamo così, ma tu oggi invece, in queste schifose cucine ci hai insegnato una cosa molto diversa. René si alza e con gesto solenne e misurato, quasi da attore, prende in mano il catenaccio e lo alza, poi prende la chiave spezzata, la introduce nella serratura, lentamente la gira e….il grosso lucchetto fa clic e si APRE. Tutti guardiamo stupiti ed Olinda si lascia sfuggire un sonoro oooh di stupore! Una delle più belle caratteristiche di Olinda è la sua capacità di stupore, ma vi devo confessare che ciascuno di noi interiormente si stupisce di questo fatto. Non contento René da bravo maestro ripete il solenne gesto una seconda volta ed una terza volta, quasi una liturgia. Poi nel silenzio, ripone il lucchetto aperto sul tavolo con vicino la chiave spezzata. Mi guarda calmo negli occhi. Don Gigi per me oggi tu mi hai insegnato che Kelvin e tutti i 144 interni sono questa chiave spezzata. Ti confesso la mia confusione e poi commozione al tuo urlo, davanti alla tua bocca sporca dello scolo dei lavandini e del pianto di Kelvin! Challapalca in tutto il Peru è conosciuto come un inferno, oggi tu hai portato un giorno di paradiso. A Challapalca arrivano tutti uomini dalla vita con una chiave spezzata. Le loro vite sono per noi tutti una chiave spezzata, vite depravate, violente, assatanate, degne solo di castigo… Vite inutili, un peso per la società, uno scarto schifoso. Così pensa comunemente la gente, e la gente qui in Perù ha paura di incontrare questi demoni, queste persone, anche i parenti giungono qui rare volte e con difficoltà. Oggi tu hai aperto uno squarcio di luce, Kelvin è quella chiave rotta. La sua vita e la vita dei carcerati in questo inferno non è inutile o addirittura pericolosa, ma è una chiave rotta che può aprire ancora il lucchetto della propria vita e le lacrime e gli occhi di Kelvin oggi me lo hanno dimostrato! Grazie Padre gigi, anche io compio oggi più volentieri il mio lavoro! Voglio farti un regalo in occasione del tuo trentesimo di sacerdozio: prendi questo lucchetto e soprattutto questa chiave e ricordati che molte volte la vita delle persone che incontri sembra una chiave spezzata, ma in verità anche una chiave spezzata apre una serratura. Torna nella lontana Europa, scendi da questa altezza che fa girare la testa e porta con te questo lucchetto e questa chiave spezzata, essa ti guidi nel tuo ministero e non scoraggiarti mai perché la vita è una meravigliosa avventura in cui una chiave spezzata apre la porta di un carcere di massima sicurezza e di castigo come quello nel quale oggi hai festeggiato i tuoi trenta anni di messa! Il gigante si alza e con molta devozione prima mi consegna il lucchetto e poi con commozione la chiave spezzata. Sono sorpreso, tutti sono sorpresi! Se oggi Papa Francesco mi avesse fatto una predica, di quelle belle come quelle che sa fare Lui, e mi avesse fatto un qualsiasi regalo, sono sicuro che non avrebbe avuto parole così belle e un regalo così prezioso come il lucchetto numero 313 e una chiave spezzata, come quella regalatami da René il gigante buono direttore del carcere! Tenendo tra le mani il lucchetto e la chiave spezzata inizio un breve discorso a conclusione del frugale pasto. René cosa possiamo fare noi per questo carcere di massima sicurezza? Noi vorremmo che tu, i tuoi uomini e i carcerati non vi dimenticaste di noi, non di Papa Francesco che è impossibile dimenticare, ma di noi Fondazione Santina, la fondazione dedicata alla memoria della santa vita di mia madre… Il giovane direttore mi risponde pensoso. Avremmo una richiesta… Abbiamo un piccolo campo di calcio, ma il pavimento è pieno di buche e non si può giocare in modo normale… Perché non ci rifate il campetto del pallone? Incuriosito dalla proposta pongo una obiezione semplice. Ma un campo da pallone a 5050 metri come è possibile? Non è questione di rifare il campo… Ma di polmoni! È vero che da pochi giorni sono in Perù, ma salendo qui faccio una gran fatica a respirare per non parlare della testa che è stonata come una campana rotta! Se giocassi al pallone muoio sul colpo!! E poi il freddoooo. Padre noi siamo peruviani, siamo nel torneo di coppa America e il pallone ci piace moltissimo. I miei uomini di sorveglianza giungono qui per quattro mesi e poi ripartono perché l’altezza – unita ad altri gravi disagi – non permette di rimanere di più. Offrici questa possibilità! Pensoso rispondo: E invece per loro? Guardo ai miei sei invitati di onore… Kelvin, Mario e gli altri…. Per loro monsignore non possiamo fare niente, il loro regime impedisce questo, ma se gli agenti dell’ INPE stanno meglio, anche loro sono trattati molto meglio! Di quanto si tratta? Circa di 30.000 soles. Sono più o meno 9000 euro.  Guardo padre Joselo, Olinda, Padre Andres e tutti acconsentono… René ! Possiamo farlo, ma lo facciamo a patto che vicino al logo dell’ INPE in questo carcere ci sia grande grande il logo di Fondazione Santina, in modo che tale logo ricordi a tutti voi di trattare i prigionieri come chiavi spezzate che possono ancora aprire il lucchetto pesante della loro vita, va bene? Ma monsignore questo sarà per noi un onore grande. Bene, io parto il 28 giugno per Italia, prepara una lettera di richiesta, un progetto e la richiesta di denaro, fammela avere a Juliaca in originale e la porterò con me a Roma, e sia chiaro questa volta il campetto del football non ve lo regala il buon Papa Francesco che vi ha inviato oggi coperte, cappelli, sapone e dentifrici, ma una povera signora che è vissuta in povertà, modestia e preghiera tutta la sua vita, si chiama Santina è sepolta a Gerusalemme, ma la sua straordinaria vita compie ancora oggi il miracolo di costruire un piccolo campetto a 5050 metri in un penitenziario durissimo e ci dice che anche Challapalca non è un lucchetto con la chiave rotta che non serve a nulla, ma che esso si può aprire anche con una chiave spezzata e può regalare a tutti orizzonti nuovi con cui vivere la vita alla luce della fede. Mente scrivo qui a Juliaca al collo sento il peso nuovo della chiave spezzata sulla quale ho fatto incidere le seguenti parole, da un lato : Challapalca  21-6-2016 L.G. e dall’ altra: 30mo aniversario de missa. Esso è così vicino al sangue di Santina che porto al collo, custodito in una croce reliquiario, ed è anche vicino al mio cuore per ricordarmi che tutte le persone che incontro possono sembrarmi chiavi spezzate, ma in verità sono chiavi che possono ancora aprire la loro pesante vita alla grazia di Dio e alla sua misericordia, come è avvenuto a Challapalca e Kelvin me lo insegna! Sulle mie gambe tengo ora anche il pesante lucchetto numero 313 dell’infernale carcere di castigo voluto dal dittatore Fujimori. Su di esso ho fatto scrivere, da un lato: Penal de Maxima Seguridad, Challapalca Perù. Anno de la misericordia. 21 junio 2016 e dall’altro lato Trigesimo Aniversario Sacerdocio. Mons. Luigi Ginami. È aperto e mi ricorda prima di tutto che la mia vita piena di miserie e di peccati è come quel lucchetto che può essere sempre aperto dalla chiave rotta della mia vita, e che Gesù rende capace con la sua grande misericordia di aprire tutta l’esistenza a spazi nuovi ed orizzonti nuovi di fede e di speranza in un Dio pazzo di amore mi regala torrenti di misericordia; e che essere preti significa gridare forte al mondo la sua misericordia, pur con le labbra bagnate dallo scolo maleodorante di una cucina. E questo non è un sogno, è avvenuto a Challapalca il luogo dove ho celebrato i miei trent’anni di messa, ho incontrato Gesù in Kelvin e mi è stata regalata la chiave della vita… È spezzata, è piena di mistero e da oggi protegge con forza il mio cuore! Vicino a lei il lucchetto aperto della mia pesante vita dalla misericordia di Gesù.

challapalca

MANO NELLA MANO
La giovane donna ascolta, assorta e meravigliata. E’ una delle 200 prigioniere al carcere femminile di Lampa, sull’Altipiano delle Ande. Grassoccia, come più o meno tutte le carcerate, è stata chiamata senza un motivo della guardia carceraria… un breve e affrettato esame di coscienza, nulla di irregolare, …e allora perché mi dicono di andare nell’Ufficio della Direttrice del carcere? Mi sposteranno? Ci sono nuovi sviluppi sul mio caso giudiziario? Eppure il mio avvocato mi ha detto che non vi è nessuna novità. Luz Mary non sa spiegarsi quella richiesta di andare dalla Direttrice Gladis e per giunta a quell’ora tarda del pomeriggio. L’hanno colta in fragrante con la cocaina nella ampia borsa: tre chili: 22 anni! Se li deve fare tutti… Il pesante cancello blu si apre, il lucchetto di mezzo chilo si scioglie e Luz Mary viene scortata dall’agente carcerario Irma, esce nell’atrio e sale le scale di una torretta in pietra sulla cui cima vi è l’ufficio principale della Direttrice. Un’altra vigilante la scorta, si apre la porta, e Luz Mary si trova di fronte il volto conosciuto della Direttrice e poi due preti che vagamente ricorda, uno sono io e l’altro è padre Joselo. Tutte le sue congetture e le sue elucubrazioni, che il mondo carcerario enfatizza e assolutizza, si sciolgono come neve al sole. Il motivo per il quale è stata chiamata in Direzione è di tutt’altra natura. Ora Luz Mary è confusa. Cosa vorrà questo padre venuto dall’Italia? E poi, perché ha fatto chiamare proprio me? Io guardo Luz Mary entrare, la donna avrà non più di 33 anni, Lei guarda me e poi il padre francescano, ma non riesce proprio a capire perché si trova lì! Gladys, la Direttrice la fa sedere… non ti preoccupare, aggiunge, il motivo per il quale sei qui è bello e sarai felice. La Direttrice, che occupa il suo posto al di là della imponente scrivania mi guarda e fa segno di parlare. “Buon pomeriggio Luz Mary, ti ricordi di me?” La ragazza con un gesto del capo dice di si e con gli occhi, ora padroni del suo volto, mi lancia uno sguardo forte e diretto che proteggendosi di dolcezza, in realtà sottintende: sì che mi ricordo di te, ma tu cosa vuoi da me?” La capacità comunicativa di quegli occhi è formidabile ed è ben più potente di quella della parola. Dopo un lungo soggiorno in carcere si impara a stare zitti, gli unici a rimanere vivi ed a parlare sono gli occhi dei prigionieri, come era avvenuto a Challapalca. Il suo sguardo esige subito una risposta ed invita a non tardare. Lo avverto e così subito aggiungo: “Tu hai scritto una lettera a Papa Francesco! Me l’hai data ed io l’ho portata a Roma”. Gli occhi della donna ora cambiano sguardo e da sguardo di sfida, seppur velata di dolcezza, ora divengono umili e si tingono di una vergogna mista a sorpresa. Luz Mary, abbassa i suoi occhi verdi verso il pavimento. Non si ricordava più di quella letterina che aveva scritto con il cuore e nella quale parlava della figlia e dalla madre anziana e malata, ma per la quale non si aspettava la minima risposta. “Luz Mary, Papa Francesco attraverso Mons. Rino Fisichella il Vescovo incaricato del Giubileo della Misericordia, ti ha inviato una lettera. E’ per te! E vi è anche un piccolo regalo. Te la posso leggere? Mentre dico così guardo la Direttrice e cerco sul suo tavolo pieno di pratiche una delle lettere che avevo appoggiato prima dell’arrivo della carcerata… Non mi accorgo così degli occhi di Luz Mary; una forte luce li ha accesi di gioia, una gioia semplice, ingenua, di bambina semplice e pura. E le parole tornano  a fiorire sulle sue labbra chiuse: “Si è ricordato di me? Papa Francesco si è proprio ricordato di me? Non hai sbagliato don gigi, vero?” “No, Luz Mary, non mi son sbagliato questa lettera è proprio per te!” Dovete sapere cari lettori, che per un carcerato una lettera assume un valore inestimabile, incalcolabile, perché il significato di una lettera è che qualcuno ti pensa, in una struttura carceraria in cui nessuno pensa a te, in cui sei ridotto ad un numero, in cui sei depersonalizzato. Nella routine grigia, se non nera e disperata del carcere, la lettera che la guardia carceraria ti passa – sempre rigorosamente aperta e con una forte violazione della tua intimità – le prime volte ti indispettisce perché non è più tua, perché qualcun altro l’ha letta, ma poi quella lettera la attendi e giochi con essa: di chi sarà questa lettera? Non la vuoi guardare perché conosci immediatamente le diverse scritture dei tuoi cari. La ricevi con occhi chiusi e la pieghi nella mano, esprimi il nome: mia figlia Deisy, oppure mia madre Jacqueline… e poi apri la mano e ti diverti da morire nel vedere che hai indovinato o rimani piacevolmente sorpresa perché invece è dell’altra persona. Poi il rito lento e studiato della lettura della posta entra in una seconda fase. Perché mia figlia mi scrive? E allora guardi il volto della guardia carceraria alla ricerca di qualche emozione che ti possa predire se contiene notizie buone e cattive, qualche malanno o la morte di qualcuno e poi? Ti tuffi a capofitto nella lettura, tua figlia piccolina ti dice che la sua pagella è piena di bei voti, che nei campi sono spuntati i primi fiori, che la lama ha partorito due piccoli. Ti inebri di quella lettura e la rileggi 10 volte, 20 volte, la impari a memoria, te la metti sul cuore, la leggi prima di dormire e appena alzata, ti da gioia quella lettera, ti fa uscire dal carcere e tornare alla tua selva, alla tua vita da contadina. In questo contesto particolarissimo Luz Mary una lettera del genere mai e poi mai se la sarebbe immaginata! Altro che giocare, questa volta avrebbe perso e riperso. La ragazza è assorta e felice. “Luz Mary, ascolta il Papa attraverso questo Vescovo vuole parlare direttamente a te, capisci? Posso leggere?” Inizio così una studiata e calma lettura, ponendo passione nella dizione. Soffermandomi lungamente ai paragrafi e centellinando le parole. La lettera è dolcissima parla di Luz Mary, parla della figlia Deisy della Mamma Jacqueline. Non è una lettera qualunque. Mentre leggo la lunga lettera la ragazza sembra ricordare a sua volta che aveva proprio ricordato la salute di sua madre e la situazione delicata della figlia. Ma tu guarda, cosa mi accade oggi! Ma non ci credo Papa Francesco così lontano si ricorda di me, di mia figlia e di mia madre? La meraviglia colora di rosso il viso di Luz Mary e dagli occhi, caldi lacrimoni iniziano a scendere. Partito da Roma con quelle sei lettere non averi mai pensato di innescare una miccia nel cuore di Luz Mary e di altre compagne di cella alle quali Papa Francesco rispondeva ad una lettera del 17 dicembre 2015. La donna ormai è incantata dalla lettera e si estranea da tutto, nei suoi occhi come un film scorre il suo pensiero per la anziana e malata madre e per la figlia violentata dal proprio marito…. Sono arrivato in fondo alla lettera: lei mi guarda con infinita triste dolcezza e io mi sento trafiggere dallo sguardo di quella disperata. “Luz Mary, Papa Francesco ti invia anche questa somma sono 150 soles, sono una somma discreta, con la quale ti vuole dire che non si dimentica di te, ma che ti ricorda nella preghiera e nella sua considerazione per gli ultimi e i disperati”. Luz Mary riceve la busta in un silenzio profondo e poi.. forte ed improvviso scatta un abbraccio formidabile nel quale esplode il pianto. “Don gigi questo è il giorno più bello non solo della mia vita in carcere, ma di tutta la mia vita! Quali lettere io mai ho ricevuto nella mia vita… solo qui in carcere ricevo da mia figlia e dai miei cari. Io sono una campesina, una povera contadina, nessuno si ricordava di me quando ero libera e tanto meno ora qualcuno si ricorda di me mentre sto scontando una lunga pena per una sbaglio stupido che ho commesso. Oggi Papa Francesco, attraverso questo Vescovo, che ha firmato la lettera, si ricorda di me? Ma non è magnifico tutto ciò?” Padre Joselo, Gladys la direttrice, condividono con noi la gioia e abbracciano la prigioniera. La guardo fissa negli occhi… “oggi hai tutte le ragioni per essere contenta, non solo perché Papa Francesco e Mons. Fisichella si sono ricordati di te, ma soprattutto perché tra poco celebreremo la Messa e qui in carcere sarà presente Gesù stesso, che è molto più di papa Francesco. La porta della tua cella è una porta di misericordia in questo anno, ti ricordi cosa ti dissi a dicembre?” Ora la giovane ricorda tutto e mi ripete con estrema precisione tutto quanto avevo detto a lei al termine dello scorso anno. “Don gigi, posso chiederti una cosa?” Certo: dimmi! Le rispondo. “Vorrei passare con te la porta della mia cella, mano nella mano… me lo concedi?” Con grande piacere Luz Mary, ma dimmi perché? “Perché tu a Natale hai trasformato la mia terribile cella in una speranza quando hai parlato di Gesù e della sua misericordia: io ho creduto molto in te ed ora ti ripresenti dopo sei mesi con questa lettera bellissima, ho bisogno di festeggiare, non lo posso fare con mia figlia o la mia anziana madre, e allora lo chiedo a te: passiamo insieme la porta della mia cella perché questo giorno e questa lettera diventino per me un riferimento!” “Sono felice di quello che tu mi dici Luz Mary, ma anche io ti voglio chiedere una cosa: la prima volta che telefoni a tua figlia ed a tua madre leggi a loro lentamente questa lettera, farà bene anche a loro e mentre la leggi ricordati di me e poi ogni giorno prega per me” Lentamente Luz Mary mi disse di si con il capo e così – dopo aver celebrato la Messa ed aver distribuito a tutte le prigioniere coperte calde, cappellini, pezzi di sapone, dentifrici e spazzolini, quella sera a Lampa attraversai la Porta Santa della triste cella di Luz Mary. Sulla soglia della porta mi prese la mano e la strinse forte e mi disse: “Vieni entriamo insieme, ti faccio strada!” E con passo deciso la ragazza davanti a me mi fece passare mano nella mano quella Porta della Misericordia. Lei non si rendeva conto, ma come a Challapalca, Kelvin, così a Lampa Luz Mary in quel momento per me rappresentava Gesù.  Ero in carcere e siete venuti a visitarmi. Mai avrei pensato di attraversare una porta santa avendo come guida e maestro spirituale una carcerata! Quella sera a Lampa avvenne, e fu la sera più bella del mio soggiorno sull’Altipiano delle Ande. Tornai a Juliaca purificato, come se avessi passato la Porta Santa di san Pietro, stanco morto mi buttai nel letto e coperto da due pesanti coperte di alpaca mi addormentai in una pace profonda; prima di spegnere la luce guardai la mia mano destra che la donna aveva stretto forte e mi dissi: “Oggi davvero Gesù mi ha preso per mano e mi ha fatto provare la sua misericordia, quanto è vero il salmo che dice: “gustate e vedete come è buono il Signore!” Spensi la luce e dalle finestre il bellissimo cielo stellato dell’emisfero sud mi stava coccolando, ed… anche in questo un nuovo segno: la costellazione la cruz del sur, la croce del sud, mi guardava e vegliava su di me, indicandomi ancora misericordia, la misericordia di Gesù crocifisso!

immaginetta 30mo in spagnolo

 ACQUA E PREGHIERA
La gente preme da tutte le parti, una folla di campesinos, gente semplice che chiede la benedizione. Una folla che lentamente sale l’altare, si avvicina, preme, mi schiaccia; il braccio è stanco di intingere un ramo verde in secchi di acqua benedetta e di benedire centinaia di persone. Ma il Perù è così: la gente chiede al suo prete preghiera e benedizione. Il braccio non solo è stanco ma anche letteralmente inzuppato di acqua santa. Siamo al termine della messa, sulle spalle al momento della pace mi sono caricato Margherita una bimbetta di pochi mesi che scalcia felice tra la folla che ci schiaccia. Tutti contenti quando al momento della pace mi sono caricato sulle spalle questa bella bambina. Sono arrivato da una manciata di ore sull’altipiano delle Ande a Juliaca ed il programma intenso non concede un secondo libero. In testa un fuso orario sbagliato che confonde la notte con il giorno per le 7 ore di cambio; nei polmoni una altezza pazzesca per noi italiani di 3800 metri, dove fare i quattro gradini dell’altare di fanno il fiato corto ed hai bisogno di fermarti qualche secondo e la testa ti gira e il freddo dei meno dieci gradi ti mette brividi…. Ma se il cervello ed i polmoni sono scombussolati, chi non capisce più nulla è il mio cuore; letteralmente sedotto dalla fede di quelle persone emana un calore proprio dell’innamorato, ed è lui il responsabile degli occhi lucidi per tutta la celebrazione. La cattedrale è letteralmente immersa dalla folla, una folla festante e ricca di fede, quella fede che traspare dalle fotografie che la sera regalo in Face Book a tutti i 4978 amici che mi seguono in queste avventure del cuore e della fede. Il cuore comanda ed il cervello ed i polmoni obbediscono: sono felice, felice immerso nella gente, felice nella gente che mi tocca e mi spinge e chiede benedizione. È una sorpresa questa celebrazione che padre Reinaldo e Padre Joselo hanno fatto per me! Non aspettavo nulla del genere, forse un momento così commovente non ricordo nella mia vita di prete immerso tra le carte. Sono trent’anni che sono sacerdote e il Signore ha voluto che celebrassi questo avvenimento in Perù. La gente spinge è finita la meravigliosa messa. Sono letteralmente centinaia le fotografie ed i selfie, mi sembra di essere trattato come un papa! Forse anche a motivo della talare filettata che ho rispolverato. Mi avevano chiesto di portala qui e dopo un po’ di insistenza ho ceduto alle loro richieste e devo dire che ho riscoperto anche il valore di una veste filettata con fascia viola per un popolo così speciale. E poi? Poi torta, una torta a forma di messale gigante, che mi ricordava  la torta del giorno della mia ordinazione sacerdotale è vicino altre tre torte con scritto gli auguri e con candela per trenta anni e una bibita locale maca che è ottenuta da un tubero, molto energetica e soprattutto calda per la freddissima sera andina in cui il cuore esplodeva per il calore. Una serata magica con molti autografi e frasi su bibbie e libri di preghiera…. La domenica sera, del mio primo giorno andino si conclude con un grande regalo. Il gruppo del rinnovamento nello Spirito mi fa un regalo inaspettato, e anche un po’ diverso dai normali regali. Il gruppo mi chiede di sedermi su una sedia, poi donne e uomini fanno un cerchio e stendono le loro mani ed iniziano ad invocare lo Spirito Santo su di me, poi a chiedere protezione invocano anche Maria. Io sono molto suggestionato ed emozionato, all’inizio a disagio, ma poi piano, piano scopro una grande forza nella loro preghiera comune: quella di liberarmi dal diavolo, di dare forza al mio ministero e di pormi al sicuro sotto le ali dello Spirito Santo. La preghiera ed il vociare finisce e una profonda calma entra nel cuore, nel cervello e nell’anima. Spengo la luce nella mia camera a Villa San Roman al caldo sotto due coperte di alpaca. Mi addormento felice e stanco morto. Domani il programma è duro ed intenso. Devo riposare qualche ora… Via la talare filettata: jeans e abiti comodi per incontrare la povertà e la miseria, per incontrare la carne di Gesù. Tale festa meravigliosa si ripeterà mercoledì mattina, 22 giugno, nella scuola del Collegio Franciscano de San Roman a Juliaca, dove l’amico Padre Joselo organizza una mattina spettacolare. Alle ore 8 una messa solenne per circa 2000 alunni, durante la quale consegno il mattone della porta santa di San Pietro datomi dal card Comastri, poi un recital che riguarda El pago del acqua secondo gli antichi riti degli incas, e poi dopo l’incontro con le classi superiori, alcune danze, il bel regalo di una sciarpa di alpaca, ed una merenda con dolci e mate…

 

 

BATTESIMO
La nostalgia mi ha fatto compagnia tutta la notte e non nascondo la debolezza di un pianto segreto nel buio dell’aereo che vola da Lima a Parigi. Un film non serve a nulla, un brano di musica classica peggiora la situazione. Il Perù mi è entrato in vena: volti di bimbi della scuola materna povera di Villa San Roman, volti deturpati dal male del carcere di Challapalca. E Lampa, volti sofferenti dell’ospedale sporco e carente di strutture…. Un frullato nella tesa che mi da ansia, si quieta solo nella recita del rosario. Manca un’ ora a Parigi, con il rischio di perdere la coincidenza per Roma, sono le 16,22 del pomeriggio ma il corpo risente del fuso orario di Juliaca che batte le ore 9,30… E poi dal freddo dell’inverno è dell’ altura al caldo estivo dell’ Europa. In tutto questo provo la medicina dello scrivere nella speranza che il ricordo sia un palliativo alla lontananza. Narrerò in questa ultima ora di aereo dell’ospedale di Juliaca, sabato 25 giugno 2016, la sera.  Giungo con il caro amico Ernan al pronto soccorso dell’ ospedale pubblico cittadino che si chiama Hospital Carlos Monge Medrano. Una assistente sociale, quando viene a conoscenza che sono un sacerdote si offre di accompagnarci nei reparti e le porte miracolosamente si aprono per noi e tutti dai medici, agli infermieri ai malati chiedono una benedizione. Lo standard degli ospedali governativi del Perù non è certamente quello dell’ Italia. Muri scrostati, non esiste calorifero e siamo d’ inverno a 3800 metri! Sporcizia, puzza di campesinos che non si lavano per abitudine e tanto, tanto disordine che con la povertà non ha molto a spartire, ma che in Perù convive in molto stretto e quasi indissolubile con la miseria. Le povere e squallide stanze mostrano malati sofferenti coperti da abbondanti coperte per evitare il freddo, ma quel terribile freddo è temperato dal sorriso caldo come il sole alla vista del sacerdote. Ho in tasca alcune corone del rosario benedette dal papa e le offro volentieri ai pazienti, mentre ai parenti va la medaglietta dell’ angelo custode e di San Michele Arcangelo, qualcuno chiede la confessione che da anni non compie. È proprio un viaggio di misericordia nell’anno della misericordia voluta da papa Francesco… E poi il reparto dei bambini che ti spacca il cuore. I bambini più che in Europa sono ricoverati qui per dei danni accidentali gravi oppure per patologie legate all’altezza del luogo ed alla stagione. Alcuni piccolini anno la polmonite, altri la tubercolosi…. Infine vi è la piccola Cinzia che si è completamente ustionata il ventre e le gambe con un enorme pentolone di acqua bollente. Lei non riesce a sorridere, mi guarda con uno sguardo spento e sofferenze, con le sue due belle treccine proprie della moda andina. Mi avvicino e guardo le piaghe delle ustioni, terribili e profonde, la carne sembra cotta in profondità. Cinzia avrà non più di cinque anni, ma porta in se una sofferenza di un secolo! Guardo assorto la piccola bambina accudita dalla sporca nonna. Anche i suoi abiti sono sporchi e luridi, manca il necessario, tolgo dalla tasca cinquanta soles e li metto in mano alla vecchia pregandola di comperare vestiti nuovi alla bambina. Prego, mi ritrovo a pregare, ancora una volta la medesima intensa litania che Papa Francesco mi ha insegnato: questa è la carne piegata di Gesù. Questo sedicesimo viaggio di solidarietà mi sta facendo esplodere il cuore, ogni giorno, ogni giorno, ogni giorno una tremenda provocazione, un corso intenso di esercizi spirituali. Mi fermo assorto e mi rendo conto che il Santo Padre ha detto che anche le porte di un ospedale sono porte della misericordia e così anche questa sera sto guadagnando una indulgenza plenaria nel confronto crudo e doloroso con le piaghe viventi di Cristo che sono quei poveri malati! Monsignore, mi dice Betzy, l’assistente sociale, “un bambino di quattro mesi sta morendo in terapia intensiva a motivo di una forte polmonite. Non ce la farà, vuole visitarlo?” Mi metto il camice verde ed indosso la mascherina, forse è la parvenza del luogo più pulito dell’ ospedale. Entro in punta di piedi, la mamma ha gli occhi gonfi e le guance bagnate di lacrime. Il piccolo è visibilmente in agonia, respira male ed è attaccato alla macchina dell’ ossigeno. “Buenas tardes senora, sono don gigi, vogliamo battezzare questo piccolo bambino?” Tra di noi non ci sono molte parole, ma la mia domanda deve aver spaventato la donna che vede la mia richiesta come anticamera della morte del piccolo… Ed io non posso negare l’ evidenza! Mi abbraccia forte e dice: “Si monsignore”. Calde lacrime bagnano il mio camice verde ed anche qui dopo Challapalca eccole apparire rendendo diamanti preziosi gli occhi della giovane donna. Sembra una via di lacrime quella che qui in Perù sto percorrendo. E Santina una nuova volta mi insegna ad asciugare lacrime. Prendo acqua in una bacinella e dico alla donna: “Come si chiama il piccolo?” “Christian Diado!” Risponde forte, “posso aggiungere un terzo nome, Luis? È il mio nome.” La donna accenna un sorriso che subito scompare, ma nel frattempo con un cenno della testa e con la voce dice di si. Non ho molto tempo recito un Pater ave gloria e poi in modo solenne bagno per tre volte la testolina del piccolo pronunciando il suo nuovo nome cristiano: Christian Diado Luis. Soffoco la commozione tra le braccia della povertà mamma, che disperata avverte la morte del figlio vicino. Non penso ci sia nulla di più brutto per una mamma dei momenti precedenti la morte di un figlio. Forse peggio della morte stessa. Un brivido le entra nel cuore e un senso di desolante impotenza invade la stanza. Buchi profondi di angoscia scopro nel respiro e negli occhi della giovane. La stringo forte a me e recito con devozione il Padre nostro… Poi lascio la donna con una carezza, e, mentre detergo una sua lacrima, compio un segno di croce sulla fronte, do un grande bacio al piccolo in agonia e poi esco dalla stanza lasciandomi alle spalle quei singhiozzi di dolore. Dopo di Christian Diado Luis mi chiamano da Daniel. Daniel è un giovane uomo con un maglione a scacchi blu e nero, sulla trentina di anni. Viene dalla selva di Sandia e vive sui monti pascolando lama e vigogna. La moglie lo ha convito a farsi battezzare dal monsignore che viene da Roma. Io oppongo la questione dei certificati che la donna mi smonta… “Macché certificati! Che ce ne facciamo? Io voglio che in questo momento di malattia possa battezzare mio marito. La fede non è questione di certificati noi non apparteniamo a questa parrocchia…. Meglio padre che me lo battezzi da tanti anni insisto ed ora ne è convinto”. Lo interrogò brevemente e vedo negli occhi dell’uomo la convinzione di farsi battezzare… E allora senza pensarci troppo affido alla misericordia di Gesù il battesimo di un pastore puzzolente e sporco, ma con un cuore grande! “Daniel Luis io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Lascio a Betzy cento soles per comperare una grande torta per tutti i malati del reparto e festeggiare così il sacramento del battesimo. È tardi, il buon Ernan mi chiama e così usciamo dall’ ospedale in una notte gelata di inverno, con tante stelle nel cielo. Guardo assorto il nero cielo di Juliaca dove le stelle brillano più forte. E sono convinto che in questa notte stellata ne ho accese due in più e so anche come si chiamano: Christian Diado Luis e Daniel Luis. Un altro bellissimo modo per festeggiare trent’anni di sacerdozio… Una curiosità, Daniel Luis era il 79mo battesimo di questi trenta anni in cui sono prete… E ne sono tanto orgoglioso. Chiudo l’ iPad il volo per Roma sta per imbarcare, devo lasciare Parigi. Buona serata a tutti

CULEBRA
Una delle piaghe sociali di Juliaca, che sono radicate nella popolazione è quella del contrabbando di merci dalla Bolivia al Perù. Confine di Bolivia, Tilali, Conima, Moho, Huancane e Juliaca. Questo è la strada che porta a Tupac Amaru, la zona conosciuta da tutti come zona di grande contrabbando a Juliaca. In questo viaggio ho voluto incontrare più approfonditamente il mondo del contrabbando che ha radici profonde nella forte corruzione. Lo stato esige gravi tasse e così la popolazione dall’altopiano andino a Juliaca decide di utilizzare il contrabbando per arricchirsi unitamente al narcotraffico. In questo paragrafo parlo non del narcotraffico, ma del contrabbando. L’occasione mi è fornita dalla strada da Juliaca a Conima per inaugurazione della chiesa nel paesino sul lago Titicaca. Mentre il pulmino percorre la bella strada verso il lago, padre Joselo inizia a parlarmi… “Culebra in spagnolo significa serpente ed il serpente è la lunga colonna di più di cento carri che il mercoledì ed il sabato notte percorre questa strada”. “Cosa significa padre Joselo? tu devi ben conoscere il fenomeno qui a Juliaca”. Guardo con attenzione la strada e vedo dei grandi blocchi di cemento che permettono di passare solo allo spazio di macchine e pulmini. “Vedi don gigi, dice Olinda, questi blocchi di cemento sono messi per evitare che la Culebra entri nella piazza di Conima e nei paesi gli abitanti mettono questi blocchi, altrimenti i grandi camion entrano nelle piazze e nelle strade del centro del paese e rovinano con il loro peso tutti i pavimenti. Olinda prosegue: “Queste colonne viaggiano solo la notte e sono uomini armati, precedono delle macchine civette che avvisano con radio che ci sono posti di blocco di polizia. Talvolta le auto civette pagano la polizia, altre volte danno avviso di preparare le armi e di sparare, altre volte ancora di fermarsi…” Mentre Olinda parla padre Joselo è entrato a Moho un piccolo paese della strada della Culebra e affronta una curva in discesa in modo stretto. Il pulmino color caffellatte si incastra su un gradino della curva e rimane bloccato. Il padre Joselo accelera, ma non vi è nulla da fare, non si muove. Io sono vestito con la talare filettata per la festa a Conima, un po’ impacciato scendo e con Ernan ed Olinda chiamiamo i campesinos ad aiutarci. Tutti felici accorrono ed anche incuriositi dal monsignore che sposta il pulmino. Facciamo tutti una bella risata e poi ci mettiamo al lavoro; al tre tutti alziamo il pulmino e lo spostiamo, felici riprendiamo il nostro viaggio sulla strada della Culebra. In mezzo alla strada alcuni massi preoccupano padre Joselo: “Potrebbero essere messi da delinquenti per rubare..”. Mentre padre Joselo parla il mio ricordo va al beato padre Sandro Dordi bloccato sulla strada di Santa da massi analoghi, prima di essere ucciso dagli uomini di  Sendero Luminoso! Iniziamo così a parlare del grande esempio del beato di Bergamo morto martire qui in Perù. La strada percorre il bellissimo lago Titicaca dai panorami bellissimi e di incanto… Il cielo di un blu intenso si riflette nel lago e i colori del lago sono pieni di luce, sembra di essere in un mondo pieno di fate e di elfi. L’aria è secca e fredda, fiori dal colore rosso fuoco sono sparsi nel verde della natura. Siamo a circa quattromila metri. I pastori attraversano la strada con pecore e stanchi lama e alpaca. Siamo vicini a Conima. In questa giornata percorreremo tutta la strada della Culebra fino a giungere a Tilali, dove nel pomeriggio reciteremo il rosario. Il nostro pulmino cerca di ripartire, ma la batteria è scarica, ancora una volta scendo con la mia veste e spingo forte il pulmino con l’amico Ernan… dopo una ventina di metri lo scassato pulmino riparte. Si fermerà per mettere gasolio in un curioso rifornimento costituito dalla drogheria del paese di Tilali che vende la benzina con brocche di acqua da un litro… Curioso modo di vendere gasolio con sovrapprezzo in una regione dove non esistono pompe di benzina. Felici, ed io con la talare sporca, la sera faremo ritorno a Juliaca entusiasti per la inaugurazione di una nuova chiesa povera e umile che meglio ci parla di Gesù.

immaginetta 30mo in italiano

TETTO NUOVO
Sono in aereo fermo a Cusco. Da Juliaca abbiamo volato per mezz’ora. Da qui proseguo per il lungo viaggio che mi riporterà in Europa e poi in Italia, a Roma. Sento forte nel cuore la nostalgia delle giornate trascorse sull’altipiano del Ande. Sono sentimenti forti ed implacabili che fanno stare il cuore in subbuglio. Ho partecipato alla vita di questa povera gente, per più di dieci giorni, ho dormito nel barrio di villa San Roman e mi sono innamorato di quella povera gente. Lo scrivere è una buona medicina che aiuta a far sedimentare le emozioni ed a chiarificare i pensieri. Dal portellone dell’aereo entra una folata di aria fredda che mi ricorda che siamo ancora ad una altezza di 2700 metri, circa mille di meno di Juliaca a 3800 metri sul livello del mare. Devo provare a scrivere qualche pensiero sul centro del viaggio che è statol’inaugurazione della chiesa di Conima, paese sulla via della Culebra. Questa seconda volta, dopo lo scorso anno in cui avevamo inaugurato il pavimento, non è stato del tutto semplice, calcoli fatti male a Conima sul costo dei materiali e sui tempi di realizzazione hanno portato l’inaugurazione da dicembre a giugno. Ma finalmente…. Ecco arrivato il fatidico giorno: domenica 26 giugno 2016. Questa era la terza opera compiuta da Fondazione Santina, dopo l’ aula scolastica di Lango Baya, la chiesa di Bura Tana a Garissa, entrambi in Kenya: ecco la terza opera: il tetto della chiesa di Conima. Mentre scrivo il mio cuore ostinato non mi segue e continua a sentire tristezza forte nostalgia per Juliaca, Olinda Ernan ed i loro figli, villa San Roman e le meravigliose giornate vissute… Riporto il cuore sul testo che sto scrivendo e ritorno con il pensiero al 26 giugno 2016. Mi sono riportato con me in Perù il vestito della talare filettata propria del titolo di monsignore. Questo abito non lo indosso mai ed ogni volta mi provoca piccoli disagi come un fastidio attorno al collo dovuto alla plastica dura del collare bianco. La gente semplice di Conima ama questo solenne vestito e così me lo metto per rispondere alle loro richieste. Il nostro pulmino caffellatte guidato da Padre Joselo si ferma al marciapiede destro della strada principale all’ ingresso del Paese. Scendiamo, anche Olinda ed Ernan hanno abiti della festa e subito il sindaco ci accoglie mettendoci al collo una corona di fiori rossi, le donne si avvicinano e buttano petali uniti a coriandoli. Una banda paesana inizia una melodia con i flauti andini e la magia della festa inizia! Vicino a me vi è Olinda, il sindaco di Conima ed anche il sindaco di Titali venuto per la festa. Lentamente arriviamo alla piazza ed eccola lì la chiesetta, bella restaurata, con i colori nuovi e fiammanti e l’ odore della pittura fresca nell’ aria. Sulla porta della chiesa vi è la scritta: Bienvenido P. Luigi. Mentre vedo questi colori nella mente mi ricordo il Kenya, la chiesa di Bura Tana che abbiamo inaugurato il 4 di maggio. Neppure due mesi dopo una nuova inaugurazione, tutto questo mi sorprende: la sofferenza di Santina ha prodotto enormi frutti di bene, in tutto il mondo, ma in modo particolare qui, nel piccolo paesino nel quale è nata Olinda. Anche il duro lavoro di Olinda in Italia ha prodotto grandi frutti! Dopo dieci anni di pesante lavoro la donna è tornata a casa, nella sua bella famiglia, ma grazie e Lei oggi Conima ha una nuova chiesa. Penso che sia una grande soddisfazione quella di vedere come il lavoro duro e pulito svolto in Italia ha prodotto frutti di bene non solo per Olinda e la sua famiglia, ma anche per la realtà ecclesiale e sociale dell’ altipiano delle Ande. Conima deve molto anche a questa donna. Entriamo in chiesa con i capelli pieni di petali e coriandoli; ad attendermi vi è il vicario generale quasi a voler concludere in modo onorevole e riconoscente un rapporto lavorativo e di intesa durato due anni. Saluto cordialmente padre Fernando, così si chiama il vicario generale, ed inizia la messa che io presiedo e che è concelebrata da altri quattro sacerdoti. Padre Joselo mi dice: “Padre, probabilmente mai a Conima cinque sacerdoti hanno concelebrato: che bella celebrazione!”

Io guardo il padre alla mia destra e sorrido compiaciuto. Il parroco Padre Walter ha esposto al lato destro e sinistro del presbiterio ristrutturato due belle fotografie di Santina che mostro compiaciuto alla gente durante la mia breve omelia. Celebro la Messa per la parrocchia di Conima con due intenzioni: perché Conima, ora che ha una bella chiesa possa avere anche un parroco fisso e perché il paesello sulle rive bellissime del lago Titicaca possa esprimere presto una nuova vocazione alla vita sacerdotale, in proseguimento e sostituzione della mia vita di prete che già ha compiuto trenta anni di servizio presbiterale. La messa continua tra canti e preghiera. Guardo uno per uno i contadini, i pastori e i pescatori che costituiscono la popolazione presente in chiesa. È un popolo buono e semplice, non è colto, ama molto l’ acqua benedetta con il sale, il culto dei santi, come l’arcangelo Michele, e prova grande rispetto per i suoi sacerdoti. Sono molto felice di questa celebrazione che riempie il cuore e che mi offre occasione per essere sempre più vicino a Gesù e di servirlo con tutto il cuore. Termina la messa…ed è il momento di benedire la chiesa. Lascio il compito al vicario generale che volentieri acconsente. E dopo, ecco il momento di scoprire la targa della Fondazione Santina. Lo scorso anno era stato padre Walter il parroco, ed Olinda; quest’anno – essendo l’ultima inaugurazione a Conima – prendo io il posto di padre Walter e con Olinda togliamo il panno ed esplode l’applauso al vedere la targa di Fundacion Santina. Mi commuovo. Poi il vicario generale scopre il panno che nasconde il mattone donato dal Cardinale Comastri della porta santa della basilica di San Pietro. Tali mattoni li ho portati alla chiesa di Gerusalemme alla quarta stazione della via dolorosa, a quella del Kenya e poi qui, alla cattedrale di Juliaca ed alla nuova cappella di padre Joselo … Tanti luoghi che possono rivendicare ora una maggior evidenza simbolica di comunione con la chiesa di Roma. L’aereo sta partendo da Cusco sono le 14,40. Devo chiudere riprendo tra poco quando siamo in volo. Mi rimetto a scrivere…  Guardo in alto, ora la chiesa di Conima ha un bel tetto, robusto e forte, è sempre di lamiera, ma particolarmente solido e capace di resistere a violenti piogge, anche lo scheletro intero del tetto è rifatto con una struttura di acciaio ben impostata, sono felice: Fondazione Santina ed Associazione Amici di Santina hanno rifatto tetto, aperto una nuova finestra con la vetrata di Gesù Risorto, rifatto le finestre con nuovi vetri, ridipinto le pareti, costruito in marmo il presbiterio, rifatto l’altare con bel legno intagliato ed un bellissimo agnello di legno scolpito a mano, per non parlare del nuovo pavimento che lo scorso anno era stato approntato. Insomma con una punta di orgoglio possiamo dire di aver ristrutturato radicalmente la chiesa! E tutto questo è scaturito dalla povera e semplice vita di Santina e di Olinda. Sono contento, guardo con orgoglio Olinda che mi sorride felice. Anche per lei quella grande opera di lavoro è una forma di riscatto da anni di lavoro e privazioni. Termina la Messa, una radio locale mi fa una intervista, poi in piazza per la bellissima celebrazione laica dell’alza bandiera, a me spetta l’onore di sollevare un alto la bandiera rossa e bianca che felice sventola poi nel cielo azzurro cobalto. Il mio sguardo si perde in quel azzurro, in quel panorama del lago più alto del mondo, nella natura incantata, ed ascolto le note dei flauti delle Ande…. e il ricordo va a Santina. La sua vita non è stata vana, ma ha prodotto frutti che tanti possono gustare. Non so cosa vorrà Dio da questa fondazione… Forse finirà, ma la cosa importante non è questa, ma che essa faccia del bene, ai poveri, agli ultimi, ai disperati. Allora rimarrà nei poveri il ricordo che una donna dalla lontana Italia con il suo dolore e con la vita piena di semplicità ha saputo regalare manciate di serenità e pace laddove vi è il pianto. Rendendo vera la frase che dice che solo Dio asciugherà ogni lacrima…. La giornata continua serena: discorsi delle autorità, la consegna da parte del sindaco a me delle chiavi di Conima, pranzo nei locali del Comune a base di trota del lago e poi nel pomeriggio una breve tappa a Tilali, a sette chilometri dalla Bolivia, per recitare il rosario in una chiesa dedicata alla Madonna. Infine la benedizione ad un malato anziano e sporco in una squallida casa mi fa toccare con mano la carne di Gesù presente negli ultimi; proprio annusando quella sua puzza e pregando con lui, nel cuore entra la pace con la quale torniamo stanchi ma felici a nostro bario di Villa San Roman a Juliaca.

ASILO ROSA
E’ la quarta volta che torno a Juliaca, ed assommando tutte le volte ho dormito in questo povero barrio sono circa 40 i giorni. L’urbanizacion Villa San Roman si trova a quattro chilometri dal centro di Juliaca ed è caratterizzata da invasori, gente che è venuta dalla campagna ed ha invaso in modo stabile un terreno che non è suo ed ha iniziato a costruire case abusive. Nel mio barrio vi è molto degrado: non abbiamo ancora lo scarico della fogna e le latrine fatte di lamiera costituisco e sostituiscono il bagno fuori dalle case. Passeggiando per Villa San Roman è infatti facile notare queste latrine posticce costruite con quattro fogli di lamiera e chiuse da un lucchetto pesante. La gente si dirige a queste latrine con il suo rotolo di carta igienica in mano, ti saluta mentre va a defecare e si ferma a parlare con te al suo ritorno. Le vie e le strade non sono asfaltate e la notte l’illuminazione non è sufficiente. Passeggiare per il barrio la notte non è assolutamente sicuro. La gente che vive qui è povera ed è sporca, molte volte il livello di vita è nettamente sotto lo standard del necessario per vivere. Questa villa, tipica del mondo latinoamericano dall’Argentina al Messico, è ricca di bambini ed è ricca di cani randagi. Queste sono le caratteristiche che sempre si ritrovano in queste periferie misere delle città. Dopo avere bevuto un ottimo caffè italiano preparato da Olinda, nel tempo di colazione mi fermo a parlare con lei. La donna inizia così il suo discorso mentre pulisce il tavolo della cucina dalle bucce del mango che mi sono mangiato a colazione: “Don gigi hai fatto tanto per il Perù: in questi due anni che vieni, con l’Associazione dedicata a Santina, abbiamo ricostruito la chiesa di Conima, abbiamo preso in adozione a distanza dieci bambine a Puno e questa volta grandi cose hai fatto per il carcere di Challapalca e di Lampa… e quasi non bastasse per il futuro già prevedi un campo sportivo a 5050 metri. Vedi molte volte cerchiamo la povertà lontano e non ci accorgiamo che esiste una povertà vicina!” “Che intendi dire Olinda?” “Che qui nel nostro barrio esiste una forte povertà e tu potresti fare qualcosa di buono anche per gli abitanti della tua villa…” “Hai ragione è da un po’ di tempo che voglio andare a parlare al sindaco per la fogna qui nella nostra Villa San Roman.” “Don gigi questo è un grosso progetto e chissà quando lo si potrà realizzare, io parlo di qualcosa di molto più semplice, vieni in terrazza con me: ti mostrerò di cosa parlo.” Acconsento volentieri e piano piano, a motivo del fiato corto per l’altura di metri 3800, salgo i tre piani della bella casetta di Olinda. La donna apre la porta ed una luce accecante invade le scale, usciamo, e, dopo aver abituato gli occhi, Olinda mi mostra al centro di Villa San Roman, una costruzione di colore rosa vivo. “ Don gigi quello è l’asilo del barrio ed è chiamato IE N°763. So che è una scuola che è molto povera ed i bambini che la popolano sono poveri, ogni giorno quando salgo su questa terrazza a stendere i panni e guardo la piccola costruzione rosa, mi si stringe il cuore quando vedo arrivare povere mamme che lasciano i loro piccoli prima di recarsi al lavoro o di dedicarsi ai campi.

Perché non fai qualcosa per loro?” Mentre Olinda parla, ecco una campesina piccola e con il vestito logoro sta portando all’asilo i suoi due bambini tenendoli per mano. “Olinda, andiamo subito a vedere, mi interessa molto capire come è questo asilo rosa. Prontamente mettiamo il giaccone per ripararci dal freddo della giornata invernale ed in pochi minuti ci troviamo nel barrio, camminiamo tra pietre e pozzanghere, erbacce e plastiche abbandonate, tra sterpaglie e terra, un uomo con il rotolo di carta igienica esce dalla latrina e ci saluta. In cinque minuti siamo davanti alla scuolina per bambini di 3-5 anni. L’asilo rosa ha attorno una lamiera di un color verde acceso, che dovrebbe servire da muretto di protezione: è incredibile i forti colori che si trovano in America latina! Ma tale finto muro di cinta non solo è posticcio, ma… è un solo lato del cortiletto in cui giocano i bambini, perché gli altri lati altro non sono che un recinto di filo di ferro più o meno malandato. Al centro del cortiletto l’immancabile palo per l’alzabandiera. Un gruppetto di 4 mamme sta chiacchierando in modo vivace all’interno di tale cortiletto: ridono, discutono, richiamano all’ordine i loro bambini. Bussiamo alla porta e la maestra ci dice di entrare. Apro la porta e l’incanto mi prende: i piccolini sono seduti sulle loro sedioline, stanno disegnando, con i loro cappellini colorati, i loro vestitini. E appena mi vedono entrare i loro occhi si accendono per la novità della visita e per la novità del visitatore europeo. Sorridono e le loro vocine si animano alla parola strana che pronuncio… Ciao! Si guardano tra loro, ridono e con la loro voce imitano la mia parola: Ciaooo.. scherzosamente la parola di ripete tra i piccoli 5, 10 12 volte. Mi guardo attorno la scuolina è pulita, ordinata. Sembra differente dalle altre case del barrio che uniscono miseria a sporcizia. Anche le divise di scuola sono ordinate, senza macchie e pulite. Maghadalene è la maestra; è una giovane donna con i capelli raccolti ed in un completo grigio scuro; sta seguendo il disegno di una piccola bambina. Si alza ed amabilmente ci riceve. Io purtroppo sembro scortese, ma i bambini mi hanno letteralmente imprigionato: chi tira i pantaloni, chi il giubbotto, chi mi prende la mano. Questi piccoli però così facendo non ti succhiano vita, ma ti comunicano vita forte ed entusiasta, infatti il risultato è che – letteralmente assediato dai miei nuovi piccoli amici – mi sento vivo in mezzo a loro, come se avessi bevuto un bicchiere che contiene il farmaco dell’eterna giovinezza. Inizio a chiedere i nomi ed i bambini, tutti dai tre ai cinque anni, fanno gara a rispondere, a gridare più forte il proprio nome. L’allegro chiasso mi fa bene, mi tonifica e mi rinfranca, ripeto mi fa sentire vivo. Me ne metto uno sulle spalle, una bimba salta tra le mie braccia, uno mi tira i pantaloni, che meraviglia! Poi la domanda dei piccoli angeli: Come ti chiami? E la mia risposta provoca una forte risata. Io mi chiamo Gigi! Gigi non è un nome comune in America Latina e non è facilissimo ripetere, ma loro ci provano: Giuigi dice uno, l’altra ripete Gigui, un terzo suggerisce gigiu… e finalmente dopo diversi simpatici tentativi da me prontamente corretti, come in un gioco, prende forma la parola completa Gigi! Me li guardo tutti questi piccoli e mi immagino le situazioni difficili in cui vivono, in cui il bambino è trattato in Perù. Magdalene, mi dice che a casa alcuni di loro non hanno da mangiare e che altri al termine della scuola materna lavorano. Questo mi fa arrabbiare, come il caso di Josue, che non ha da mangiare e pochi vestiti: guardo il suo faccino è triste e provato. Questa infanzia devastata, tal volta violentata sessualmente da parenti: padre, zio o cugino, trova in queste poche ore scolastiche del giorno pace e sicurezza. Perché le altre ore sono fatte di lavoro e sfruttamento, portando pesi che sono troppo pesanti per questa tenera età. “Maghdalene, cosa possiamo fare per questi angeli?” La donna dai fini tratti dell’etnia qechua, strettamente discendente degli incas, mi guarda ed inizia con una benedizione. “Padre, Monsignore… non so come chiamarLa, benedetto per farci visita, nessuno si ricorda di noi, nessuno si ricorda di questa scuola materna rosa la IE 763. Siamo solo un numero, ma a nessuno autorità cittadina noi interessiamo, siamo dimenticati da tutti. In questa costruzione non vi era neppure il water, Ne ho portato uno. Chiedevo dove potevano fare i bisogni i bambini e mi rispondevano di portarli fuori. Ho portato un water, ho scavato una fossa, ed ora i bambini hanno un bagno. Tanti sono i bisogni di questa scuola, dagli infissi ad altro.” “Bene, cosa possiamo fare?” Chiedo io. “Non abbiamo molti soldi, ma tanto cuore, quello sì e qualcosa potremo fare per voi”. “Don gigi, vieni, vieni anche tu, Olinda, usciamo”. Ci ritroviamo così con Magdalene nel cortile. “Questo dovete fare per noi!” “Non capisco Magdalene, spiegati meglio, cosa indichi con le mani quel filo di ferro che circonda la scuola rosa?” La donna inizia un pietoso discorso: “Vedi Padre, in questo barrio vivono branchi di cani randagi, sono pieni di piaghe, magri, con pulci, senza pelo e spesso hanno la rabbia. Quando sono in gruppo di 3 o 4 cani, diventano pericolosi…” Inizio a capire dove vuole arrivare.

“Spesso questi cani scavano sotto il filo di ferro ed entrano nel cortile per bere acqua dalla fontana e quando vedono dei bambini non si fanno il minimo problema a morderli. Ad esempio, il 25 febbraio 2015, uno di questi cani attaccò un bimbo di 6 anni. Lo aggredì al volto. Cadendo il piccolo si fratturò il mignolo della mano sinistra, ma ciò che più è grave è che il suo viso fu sfigurato per tutta la sua vita. Questi cani, entrano nel nostro misero recinto e se non attaccano, lasciano i loro bisogni creando una zona infetta per il gioco dei bambini.” “E’ vero, aggiunge Olinda, questi cani sono davvero pericolosi, ricordo che alcuni mesi fa due cani si azzannarono a morte fuori di casa nostra! Fu terribile per i latrati, per il sangue che scorreva e per la forza con la quale si sbranavano. Don gigi possiamo fare qualche cosa per evitare che altri bambini siano coinvolti in queste situazioni di dolore?” Mi giro lentamente, una bambina bellissima con le sue lunghe treccine nere mi sta guardando. Non resisto alla sua dolcezza e la prendo teneramente in braccio, un piccolino geloso si mette a piangere, poso allora la bambina e prendo in braccio il maschietto che ha sulle guance due lacrimoni che brillano con diamanti per un raggio di sole che lo colpisce sul volto dalla finestra. “Maghdalene, come posso dire no? Sono bisogni reali, che noi in Italia neppure immaginiamo, sono bambini bellissimi provati dalla povertà, dalla miseria e dallo sfruttamento. Non dobbiamo aggiungere anche queste sofferenze, li dobbiamo proteggere dalla piaga dei cani randagi che infestano a branchi Villa San Roman! Scrivi un progetto, poni per scritto quanto costa la costruzione di questo muro. Domani io parto, passo alle 9, puoi preparami il progetto per quell’ora con timbri e firme? Voglio metterlo in cartella e portarmelo in Italia, chissà che per Natale questo muro per il cortile possa sorgere?” La donna sorride felice e promette di lavorare per darmi quel progetto da portare in Italia. Mi sento tirare è la piccola Marlene, così si chiama la bimba dalle trecce scure, mi sorride… la prendo in braccio e lei mi si stringe forte al collo: “Portami con te, voglio venire alla tua casa” e me lo dice con gli occhi pieni di lacrime e supplichevoli. Noi uomini, siamo davvero il sesso debole, non è la donna ad essere debole, ma l’uomo: eterno adolescente, mai diventato adulto perché non può generare vita come la donna. Mi sento debole… ma io questa piccola la adotto, la porto con me in Italia! Poi mi mordo le labbra e dico a Marlene… torno domani e ti porto con me; dico una bugia e lo so… ma non so se ho mentito a lei oppure sto mentendo a me stesso. Quella domanda di Marlene: portami con te, ti spacca le budella, ti brucia le interiora e mette in luce le tragedie che questi piccoli sfruttati hanno alle spalle. Non ho saputo quale era la tragedia che a Marlene aveva fatto fare quell’urlo, non ho chiesto nulla alla maestra, non ho voluto sapere niente, ma so una cosa soltanto: che quel muro per l’asilo rosa lo faremo e che a dicembre quando tornerò per inaugurare i lavori, cercherò Marlene per darle un bacio e per sapere per quale motivo voleva venire con me… E se tornerò in Italia con quella bimba sulle mie spalle, non chiedetemi il perché non lo dirò a nessuno, ma rimarrà chiuso nel mio cuore.

?

 

PROGRAMMA 16MO VIAGGIO DI SOLIDARIETA’

GIORNO MATTINA POMERIGGIO SERA
Venerdì
17 giugno 2016
  Ore 18,00 PREGHIERA INSIEME:
VESPRI E MEDITAZIONE
1. Sabato
18 Giugno 2016
S. Gregorio Barbarigo
VIAGGIO TRANSOCEANICO
– Ore 7,00 Santa Messa
– Ore 10,15 Roma – Parigi (Charles De Gaulle) ore 12,25
– Ore 14,00 Parigi – Lima
– Ore 19,20 arrivo a Lima e pernottamento
2. Domenica
19 giugno 2016
JULIACA 3800 METRI
– Ore 6,00 Lima – Juliaca
– Ore 7,40 Arrivo a Juliaca e transfert a Villa San Roman Sistemazione valigie e pranzo
– ore 14 – 18 Riposo
– ore 18,00 S. Messa in Cattedrale a Juliaca per 30mo Anniversario di Ordinazione sacerdotale e ricevimento nel locali del Collegio francescano
3 Lunedì
20 giugno 2016
PUNO 3900 METRI
Ore 9,00 partenza per Puno e incontro con il Vescovo della città
Pranzo a Puno
– Ore 14,00 incontro con le ragazze del programma di adozione e con superiora Suor Flora
-ore17,30 S. Messa con le ragazze e rientro a Juliaca
– ore 19,30 arrivo a Juliaca cena e
riposo
4. Martedì
21 giugno 2016
S Luigi Gonzaga
30 ANNI DI
SACERDOZIO
CHALLAPALCA 5100 METRI

– Ore 5,00 partenza da Juliaca per Challapalca a 5100 metri
– Ore 11,00 arrivo a Challapalca
– Ore 11,30 celebrazione Messa ed incontro con i prigionieri più pericolosi del Perù
– Ore 12,30 pranzo con i detenuti delle cucine

– Ore 14,00 partenza da Challapalca e ritorno a Juliaca. Villa San Roman.
5. Mercoledì
22 giugno 2016
JULIACA – LAMPA
– Ore 8,00 Messa al Collegio Franciscano de San Roman
– Ore 11,00 Incontro con professori ed ultime classi degli alunni più grandi
Ore 14,00 Visita a Lampa e Celebrazione della Messa. Consegna dei regali e delle lettere di parte di Papa Francesco
6 Giovedì
23 giugno 2016
– Villa San Roman: Relazione di viaggio
– Pranzo
– Acquisti per carcere di Lampa: televisore, 3 termos, 2 microonde, 2 caloriferi per i piccoli figli delle detenute di Lampa. Viaggio a Lampa per consegna degli ultimi doni da parte di Papa Francesco
–  S. Messa a Villa San Roman
7. Venerdì
24 giugno 2016
– Villa San Roman: Relazione di viaggio
–  Pranzo
– Quartiere Rinconada e visita casa di accoglienza bambini sfruttati
– Acquisti per far ricamare logo associativo
– Passeggiata nel Barrio di Villa San Roman per vedere la notte dei fuochi
– S. Messa a Villa San Roman
8 Sabato
25 giugno 2016
– Villa San Roman: Relazione di viaggio
– Pranzo
– 14,30 Santa Messa
– 16,00: Visita Ospedale della Città Hospital Carlos Monge Medrano e celebrazione 2 battesimi e confessioni – Cena con famiglia di Olinda
9. Domenica
26 giugno 2016
CONIMA 4040 METRI
-Ore 7,30 partenza da Villa San Roman per Conima
– Ore 9,30 Arrivo a Conima e saluto alla popolazione
– Ore 10,00 Santa Messa inaugurazione chiesa con targa della Fondazione e celebrazione dei 30 anni di sacerdozio
– Ore 11,30 Cerimonia alzabandiera
-Ore 12,30 Pranzo in municipio
– -Ore 14,30 partenza per Tilali e visita dell’ultima città di confine dalla quale parte la famosa  Culebra.
– Ore 16,30 Partenza per Juliaca con sosta a Moho
– Ore 19,30 Cena con Padre Joselo
10 Lunedì
27 giugno 2016
BARRIO VILLA SAN ROMAN
Ore 9,00 Visita asilo di Villa San Roman e progetto di costruire muro per asilo
Ore11,30 partenza per Puno e pranzo
– Ore 15,00 Incontro con suore del Tailler Miranda per profilo delle dieci bambine
– Ore 16,00 Chiesa della Candelaria incontro con INPE per progetto di Challapalca e regalo dell’anello di un carcerato
– Ore 18,00 Incontro con ragazzi gruppo del collegio franciscano
– Cena di festa con padre Joselo e saluti
– Santa Messa nel barrio
11. Martedì
28 giugno 2016
BARRIO VILLA SAN ROMAN
– Ore 7,30 Intervista con Radio Vaticana
– Ore 8,30 Santa Messa
– Ore 9,00 Celebrazione della Messa, preparativi per la partenza
– Ore 11,00 Partenza per aeroporto di Juliaca
– Ore 12.55 Juliaca –  13.50 Cuzsco
– Ore 14,25 Cuzsco – 15.55 Lima
– Ore 21,35 Lima – Parigi
12. Mercoledì
29 giugno 2016
VIAGGIO TRANSOCEANICO – Ore 16.40 Arrivo Parigi
– Ore 19,55 Parigi – Roma
ARRIVO A ROMA ORA 22,05Santa Messa di ringraziamento e fine del 16mo viaggio di solidarietà

 

 

Intervista di Radio vaticana su esperienza nel carcere

se vuoi sentire l’intervista puoi cliccare qui:

oppure puoi vederla anche qui: