Malattie cardiovascolari

AMBULATORIO CUORE-CHAGAS OSPEDALE PAPA GIOVANNI XXIII (BG)


Curare non solo i sintomi, ma le persone. Offrire percorsi d’accompagnamento, senza limitarsi a erogare singole prestazioni. Con questi presupposti, e grazie al prezioso sostegno dell’Associazione “Amici di Santina Zucchinelli onlus”, è nato il progetto “Cuore Chagas”, rivolto alle donne sudamericane che vivono in provincia di Bergamo.Il morbo di Chagas è una malattia capace di restare silenziosa anche per decenni. Una volta contratta, può mantenersi per tutta la vita e portare a gravi complicanze cardiache o intestinali.

Il microbo che la causa, il Trypanosoma cruzi, viene trasmesso con la puntura di particolari cimici non presenti in Europa. Molti latinoamericani non sanno di essere stati contagiati e “portano con sé” la malattia quando si trasferiscono in Italia. Bergamo ospita numerose comunità, in particolare dalla Bolivia e dall’Ecuador, a rischio di malattia anche se vivono in Italia da molti anni. Una situazione particolarmente pericolosa per le donne, che rischiano di trasmetterla al bambino durante la gravidanza. Non vi sono particolari rischi di contagio fuori da questa situazione: la trasmissione attraverso trasfusioni o donazioni di organi è scongiurata dai controlli che vengono eseguiti in questi casi. Questa situazione, di fatto, confina la malattia di Chagas all’interno delle comunità latinoamericane, crea poco allarme e rischia di essere trascurata. Per contro, la diagnosi è molto semplice, basta un prelievo del sangue, e una terapia antibiotica mirata può debellare l’infezione. A Bergamo è già attivo dal 2013 uno screening delle donne gravide latinoamericane, coordinato dall’Azienda Sanitaria Locale e che coinvolge tutti i punti nascita in provincia. L’ideale sarebbe però individuare e trattare l’infezione prima dell’inizio della gravidanza. Per questo il Progetto “Cuore Chagas” vuole sottoporre allo screening tutte le donne latinoamericane in età fertile (dai 17 ai 45 anni) e che vivono nella Bergamasca. Al progetto collaborano gli specialisti delle Malattie infettive, della Cardiologia 1 e della Microbiologia. Due le infettivologhe che gestiranno l’ambulatorio, una delle quali di madre lingua spagnola; due anche i cardiologi, uno dei quali ha maturato un’esperienza all’ospedale Incor di Sao Paulo, centro di riferimento mondiale per la cardiopatia di Chagas.

E’ fondamentale la collaborazione delle comunità latinoamericane e grande è il ruolo della comunicazione per facilitare l’accesso all’ambulatorio. L’inaugurazione del 6 giugno alle 18 sarà un’ulteriore occasione per pubblicizzare il Progetto e per rinsaldare l’amicizia tra l’ospedale di Bergamo – dove Santina Zucchinelli fu operata e curata per molti anni, fino alla sua scomparsa – e l’associazione, che ci ha già sostenuto generosamente in passato con borse di studio per giovani cardiochirurghi e anestesisti. Grazie agli Amici di Santina e al suo presidente mons. Luigi Ginami contiamo, nel medio periodo, di poter estendere lo screening a tutte le persone a rischio Chagas, sia adulti che bambini, e di poter offrire un centro per le complicanze cardiologiche.
Carlo Nicora, Direttore Generale Ospedale Papa Giovanni XXIII a Bergamo

SI VEDA QUI SOTTO UN IMPORTANTE CONTRIBUTO SCIENTIFICO APPORTATO GRAZIE ANCHE AL NOSTRO FINANZIAMENTO:

DEFINIZIONE

La Tripanosomiasi americana (detta anche malattia di Chagas dal nome del suo scopritore Carlos Chagas) è una parassitosi causata da protozoi del genere Trypanosoma e diffusa in tutti i Paesi dell’America Latina (dal Messico fino al Cono Sud dell’America Latina). Il serbatoio del parassita sono gli individui infettati cronicamente e numerose specie animali. La malattia può essere trasmessa in zona endemica principalmente attraverso delle cimici ematofaghe che rilasciano con le loro feci le forme infettanti del parassita che grazie a lesioni della cute o delle mucose possono penetrare nel torrente ematico. Nei Paesi endemici ma anche nei Paesi non endemici la malattia può essere trasmessa dalla madre al figlio durante la gravidanza o il parto, con le trasfusioni di sangue o la donazione d’organo, attraverso incidenti di laboratorio. Più recentemente è stata descritta con una certa frequenza la possibilità di trasmissione attraverso ingestione di cibo (in genere succhi di frutta o succo di canna) contaminato dalle cimici vettori. La convivenza con un soggetto con malattia di Chagas non comporta alcun rischio di acquisizione dell’infezione (la malattia non si trasmette per via aerea, con il bacio, con i rapporti  sessuali o tramite il semplice contatto fisico).

ecco il report a noi inviato nel mese di gennaio dal Primario Dottor Marco Rizzi, lo ssi può scaricare qui 
il progetto si è anche dotato di un rinomato comitato scientifico i cui membri si trovano illustrati nel seguente documento.

LUISA UNA STORIA VERA
Per Luisa (nome di fantasia) “Chagas” significa “avere 40 anni e sentirsi stanca come un’ottantenne”.
Quando la figlia Anita aveva solo 6 mesi, per la prima volta, Luisa ebbe i suoi primi problemi cardiaci e andò in ospedale. In quell’occasione le dissero che non avrebbe potuto più rimanere incinta perché sarebbe stato pericoloso. Luisa  però sentiva di desiderare altri figli, perché sono un “dono di Dio”, e che rinunciare alla maternità avrebbe avuto conseguenze profonde. Ma il medico fu categorico: sarebbe stato un grande errore. La ricoverarono perché aveva bisogno di un pacemaker, ma stava ancora allattando e non voleva lasciare Anita sola. E poi, sapere di doversi mettere un “apparato” nel cuore la faceva sentire “stordita, ubriaca, preoccupata”. L’apparato era caro; per fortuna c’era l’assicurazione di Alvaro, ma dovette aspettare, ricoverata, per sei mesi.  Fu durante quella permanenza in ospedale che le diagnosticarono la malattia di Chagas.

PER SAPERNE DI PIU’ LEGGI IL NOSTRO LIBRO ASSOCIATIVO OPERE DI LUCE A PAGINA 313, NON VI E’ BISOGNO CHE LO COMPERI BASTA CLICCARE SULLA BELLA IMMAGINE QUI SOTTO RIPORTATA

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Le parlarono degli insetti, delle forme di trasmissione. Lei non aveva mai sentito parlarne, o forse una volta, a scuola. Ma ricordava gli insetti nella casa della nonna: “cadevano dall’alto, erano tanti, una pioggia continua. E noi di notte ci coprivamo di carta di giornale per sentire il rumore. Si, il rumore, per accorgersene e staccarli. Non ricordo se pizzicavano ma quel rumore continuo non mi faceva dormire”. I mesi in ospedale trascorrevano troppo lentamente, Luisa continuava a sentire il desiderio di scappare, avvolta nelle lenzuola. Piangeva tutti i giorni, “come una Maddalena”. Poi cominciò a entrare e uscire dalla struttura: ogni volta che ritornava a casa la bambina non la riconosceva ed era terribile. La operarono – riuscì a rimettersi in piedi – anche se quella sensazione di stordimento non la abbandonava. E mai la ha abbandonata. Sono passati 20 anni e Luisa continua a sentirsi stanca e stordita. Oggi continuano a dirle che non ascolta le indicazioni, “che fa sempre tutto il contrario di tutto”, che deve fare attenzione alla dieta e mangiare pollo, carne, verdure. “Non sai la vergogna. Secondo te il medico lo sa che nella mensa dei poveri noi mangiamo quello che c’è, pane, zuppa e mate, mica pollo! Io gli dico di sì, però la verità è che non la faccio mai. Certe volte non ci sono nemmeno i soldi per l’autobus, anche per questo non vado all’ospedale. E non ho voglia di discutere quando mi dicono che sono una testa dura”. Luisa  non dovrebbe fare sforzi ma continua a lavorare, anche se fa fatica a fare le cose più semplici. Non è mai riuscita a capire come funziona l’apparecchietto nel cuore: ha paura di avvicinarsi alla radio, al microonde, al giochino elettrico dei bambini. Ha paura dell’acqua…è 20 anni che si lava in un piccolo catino. Nessuno le ha mai detto che può fare la doccia senza rimanere fulminata. Luisa dice di sapere perfettamente quale è stato il momento in cui la malattia si è svegliata: è successo precisamente quando “per la rabbia, quando per i nervi, piangeva tutti i giorni; quando per le botte e il senso di oppressione è stata costretta a tornare in Bolivia e rivedere suo padre”. E crede di sapere perfettamente perché si è ammalata: le sue difficili relazioni familiari, il dolore da cui è dovuta fuggire, la solitudine, la nostalgia: se non fosse accaduto tutto quello che è accaduto “di sicuro di Chagas non mi sarei ammalata”.