Viaggi di Solidarietà

OTTAVO VIAGGIO DI SOLIDARIETA’: GAZA 18-22 MARZO 2015


In questa pagina vengono riportati insieme i due ultimi viaggi svolti dalla nostra ONLUS a Gaza con i quali si è conclusa la nostra presenza nella Striscia di Gaza in occasione della Festa di San Giuseppe, durante la quale si sono potuti vedere ed inaugurare i lavori svolti dalla nostra Associazione Amici di Santina Zucchinelli, nella ristrutturazione di alcuni locali parrocchiali. In gennaio padre Mario aveva avuto modo di ringraziare la nostra Associazione con una bella e significativa video-intervista con la quale introduciamo la seguente pagina

INTERVISTA NELLA QUALE IL SUPERIORE DEI MISSIONARI DEL VERBO INCARNATO PADRE MARIO DA SILVA  RINGRAZIA PER I LAVORI SVOLTI DALLA NOSTRA ONLUS.

LETTERA DI RINGRAZIAMENTO DA PARTE DEL PRESIDENTE DELLA ASSOCIAZIONE ONLUS AMICI DI SANTINA ZUCCHINELLI LUIGI GINAMI IN OCCASIONE DELLA CONCLUSIONE DELLA PERMANENZA NELLA STRISCIA DI GAZA 20 OTTOBRE 2014-20 MARZO 2015

Caro Padre Jorge e Padre Mario, a conclusione della nostra bella esperienza nella Striscia di Gaza dal 20 ottobre 2015 al 20 marzo 2015, durata esattamente cinque mesi, a nome di tutta la nostra Associazione sono a ringraziarvi per la squisita ospitalità a me offerta ed offerta altresì ai membri della prima missione umanitaria dal nome Restoring hope in Gaza 2014.
E’ stato per noi un momento prolungato per vivere, condividere e far conoscere la vostra meravigliosa opera missionaria in quelle terre in cui essere cristiano non è semplice. La nostra presenza prima di tutto è stata condivisione con voi della vita di ogni giorno. Per ben tre missioni mi avete accolto come un fratello: insieme abbiamo pregato, abbiamo riflettuto e insieme condiviso la vita. Un grazie del tutto speciale alle suore di Madre Teresa ed alle suore della vostra Congregazione che mi hanno fatto sentire a casa.
Siamo stati felici di aver potuto mettere una goccia di solidarietà nei migliaia di bisogni di Gaza e lo abbiamo fatto con la piccola e modesta somma di euro 10.000 sul progetto iniziale di Euro 18.000. Questo fatto ci ha piacevolmente sorpreso perché siamo veramente felici che il Patriarcato si prenda così cura della Striscia di Gaza e mai come questa volta è vero e significativo il proverbio Ubi maior minor cessat. Dove vi è il più grande, il più piccolo viene meno, lasciamo così volentieri a loro i rimanenti 8000 Euro preventivati da voi ed a noi scontati.
E cosi finisce la nostra presenza a Gaza, ma nel cuore e nelle pagine scritte rimarrà sempre il ricordo di due preti speciali che lavorano in situazioni di difficoltà. Molte volte, soprattutto il pensiero di Padre Giorgio ha costituito per me una grande occasione di rpreghiera sul mio ministero sacerdotale e di cuore lo ringrazio!
Abbiamo realizzato un piccolo diario che speriamo vi piaccia e che unito alle altre pagine del sito prospettano molto bene la vita della comunità cristiana di Gaza. Vi chiedo di pregare per me e di pregare in special modo per me davanti alla Statua della Madonna di Lujan che un Singolare Uomo vi ha regalato – nell’ultima mia visita a voi – quale segno della sua vicinanza a coloro che soffrono.
Dio vi benedica e speriamo un giorno di trovarci tutti insieme in Paradiso.

MONS. LUIGI GINAMI PRESIDENTE
ASSOCIAZIONE AMICI DI SANTINA ZUCCHINELLI ONLUS

SONO LIETO DI PUBBLICARE LA BELLA   RISPOSTA DA PARTE DEL SUPERIORE DEI MISSIONARI DEL VERBO INCARNATO PRESENTI A GAZA

Caro Don Luigi Ginami,
La ringrazio per la sua cordiale lettera, per il vostro aiuto alla nostra comunità e ancora di più per le vostre preghiere.
Dio la benedica,
In Domino,
P. Mário da Silva, IVE

I. INTRODUZIONE: L’ODIERNA COMPLESSA SITUAZIONE MEDIORIENTALE DELL’ISLAMISMO IN RAPPORTO AL MONDO PALESTINESE (23 APRILE 2015)
I due nuovi viaggi nella Striscia di Gaza si svolgono in un momento storico in cui le relazioni all’interno del complesso e frammentato mondo islamico si stanno complicando ancora di più. Lo scenario generale è quello dell’ISIS in Siria ed Iraq, ma anche Libia e Tunisia;  di Boko Haram in Nigeria e di Al Shabab in Somalia ed in Kenya. Nella Striscia di Gaza l’ISIS non è presente e Hamas, con le milizie Qassam si ispirano di più al mondo salafita che soggiace altresì ai Fratelli musulmani presenti in Egitto. E’ di questi giorni, subito dopo il mio rientro, uno sviluppo di straordinaria importanza nelle relazioni tra ISIS e palestinesi. Per la prima volta l’ISIS aggredisce direttamente Hamas, il partito estremista palestinese, e lo fa decapitando nel campo palestinese di Yarmuk in Siria l’imam Yahya Hourani. Dunque sembra apparire una evidente e stridente contrapposizione tra due modi fondamentalisti di concepire l’islam, quello dell’ISIS e  quello di Hamas e dei Fratelli Musulmani presenti nella Striscia di Gaza. Per capire la vita a Gaza che illustreremo nel seguente paragrafo dobbiamo contestualizzare l’uccisione di Yahya Hourani e del significato più profondo di tale gesto, che ancora una volta svela il mondo islamico in profonda ebollizione ed in una apparente contraddizione. La decapitazione dell’imam Yahya Hourani, considerato la principale autorità religiosa del campo palestinese di Yarmuk, e la sua testa conficcata per spregio su un palo da parte dei miliziani jihadisti dell’Is e di Al Nusra, infrange l’ennesimo tabù.
I seguaci del sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi, nella loro offensiva terroristica per la leadership sull’islam sunnita, sono disposti a calpestare anche la causa palestinese. Tabula rasa. I tagliagole conoscono perfettamente il valore simbolico di Yarmuk, trasformatosi lungo oltre mezzo secolo in una vera e propria città: di fatto la capitale della diaspora palestinese, suo centro culturale e terminale di una rete d’assistenza sociale egemonizzata da Hamas. Dunque uno schiaffo in faccia ai Fratelli Musulmani, la galassia integralista che non si è lasciata annettere dal progetto dello Stato Islamico, evitando che l’onda nera dilagasse anche nella Striscia di Gaza.
Così come l’Autorità Nazionale Palestinese è riuscita finora a reprimerne la diffusione in Cisgiordania. La brutalità omicida è l’unico linguaggio riconosciuto come efficace dai jihadisti: se i palestinesi non aderiscono spontaneamente al loro progetto di conquista del potere, viene demolita anche la loro funzione di popolo-simbolo dei soprusi perpetrati in terra musulmana dagli occidentali. Più precisamente, l’ideologia premoderna del ritorno all’Età dei Califfi, salta a piè pari la vicenda novecentesca. Il popolo-martire non serve più a unire i musulmani, essendo ormai giunto il tempo apocalittico di una islamizzazione globale, la cui prima tappa è espugnare le grandi città della tradizione post-coranica: oggi Damasco, Aleppo, Bagdad; domani la Mecca, Istanbul e il Cairo. Alle quali si aggiungono come bottino necessario, Beirut e Damasco.
Lo shock per l’occupazione jihadista di Yarmuk sarà grande anche nelle moschee dell’islam europeo, dove finora si è predicata la solidarietà attiva con il popolo palestinese come primo dovere di ogni buon fedele. Perfino riconoscendo legittimità religiosa agli attentati suicidi, purché insanguinassero la terra “occupata dall’entità sionista”. Impossessandosi del campo profughi di Yarmuk – con totale indifferenza per le sofferenze inflitte ai suoi abitanti, liquidati anch’essi come infedeli che non meritano di vivere – i jihadisti non esitano a ribaltare le priorità della guerra mediorientale. Lo stesso Israele diviene per loro un dettaglio secondario. Il mondo arabo che da oltre un secolo cerca la sua faticosa unità –dapprima col panarabismo di stampo nasseriano, poi con l’integralismo religioso – nella riconquista di Gerusalemme empiamente occupata, viene chiamato per prima cosa all’obbligo di assoggettarsi al Califfato.
La distruzione di Israele e la causa dei palestinesi, vengono dopo. Con un salto all’indietro di nove secoli, il nemico da sopprimere ovunque tornano ad essere “i crociati e gli ebrei”. Cui si aggiungono gli eretici, primi fra tutti i musulmani sciiti, senza nessuna pietà per gli stessi sunniti che osano frapporsi al disegno oscurantista del Califfo. C’è, naturalmente, una buona dose di disinvoltura storica in questo salto all’indietro della storia. Poco importa ai seguaci di Al Baghdadi (Is) e Al Zawahiri (Al Qaeda) che gli ebrei, insieme ai cristiani bizantini, fossero anch’essi tra le vittime dei cavalieri crociati, nell’Undicesimo secolo: oggi viene comodo confonderli nella nozione indistinta di Occidente pagano, arrogandosi la missione di unico monoteismo legittimato a dare la morte per abbattere l’idolatria.
Diviene così assai significativo che la conquista del campo profughi palestinese di Yarmuk sia un’altra azione congiunta sul campo dell’Is e di Al Nusra, finora organizzazioni jihadiste spesso concorrenti fra loro. Ciò che rende purtroppo credibile la loro prossima unificazione sotto il comando militare di Al Baghdadi, trapelata nei giorni scorsi. I due eserciti, forse prossimi a riunirsi sotto la bandiera nera, hanno già dimostrato in Siria di considerare almeno tatticamente prioritario il braccio di ferro con il regime di Assad, rispetto a un confronto diretto con l’esercito d’Israele. Lo conferma la prudenza con cui si sono mossi finora sull’altopiano del Golan, cioè al confine con lo Stato ebraico, nonostante quella regione sia da tempo sottoposta al loro controllo.
I tagliagole avranno di certo calcolato di non essere attrezzati, per il momento, a uno scontro diretto con Tshaal. Circostanza che ha alimentato fantasiose teorie del complotto sul sostegno di cui i jihadisti avrebbero goduto da parte degli israeliani, come se questi ultimi fossero masochisti. Additare l’ombra del Mossad dietro l’Is resta così l’ultima formula autoassolutoria di un islam che non riesce a capacitarsi della proliferazione di un tale mostro crudele dal suo utero. Come è noto, il dilagare della guerra dalla Siria alla Mesopotamia ha già prodotto più di quattro milioni di profughi, venuti a sommarsi ai palestinesi che dal 1948 vivono senza diritti di cittadinanza riconosciuti in Libano, Siria, Giordania e a Gaza.
I campi di raccolta dei nuovi profughi non riescono a soccorrere adeguatamente una popolazione vittima di una vera e propria catastrofe umanitaria. La distruzione di Yarmuk, il campo profughi palestinese trasformatosi nei decenni in una vera e propria nuova città alle porte di Damasco, ci rammenta che le ferite del passato, mai curate, sono fonte di nuove infezioni devastanti. Per affrontare l’esodo palestinese, disseminato in ben 59 campi riconosciuti, le Nazioni Unite istituirono fin dal 1949 una apposita agenzia: l’Unrwa. Ma da almeno un decennio all’interno dei campi palestinesi si sono organizzate, grazie ai petrodollari del Golfo e alla propaganda salafita, pericolose fazioni qaediste come Fatah al Islam, che ne contendono con le armi la leadership all’Anp e a Hamas.
È la peste jihadista che si propaga nella miseria della diaspora palestinese, dal campo di Nahr al Bared limitrofo a Tripoli di Libano, fino alla polveriera di Ain al Helwe nei pressi di Sidone. Campi che ospitano ciascuno più di centomila disperati, di fatto reclusi in balia delle fazioni in guerra tra loro. Anche Yarmuk, che si proponeva come capitale della diaspora palestinese, è stata oggetto di una contesa che vi ha visto dapprima prevalere il leader politico di Hamas, Khaled Meshaal, fuggito nel 2012 in Qatar essendo venuta meno, a causa della guerra civile siriana, la sua intesa con Assad. Ma non basta.
L’altro leader del campo di Yarmuk, rimasto fedele a Assad, è Ahmed Jibril, fondatore del Fplp Comando Generale, organizzazione nemica dell’Is che di fatto ha circondato Yarmuk nel mentre veniva ridotta in macerie. Così adesso i diciottomila sopravvissuti in quell’inferno si trovano imprigionati fra due fuochi. E i palestinesi che volevano mantenersi neutrali dentro la guerra civile siriana, vengono trattati da traditori da entrambe le fazioni. La memoria inevitabilmente corre ad altri momenti storici in cui i campi palestinesi furono oggetto di violenze atroci, di cui spesso si resero colpevoli i confratelli arabi.
Come nel 1970 in Giordania, dove il tristemente celebre Settembre Nero provocò fra i tre e i cinquemila morti ad opera delle truppe beduine di re Hussein di Giordania.
E poi Tell Al Zaatar, nell’agosto 1976 in Libano, dove furono i siriani a uccidere circa duemila palestinesi.
Fino a Sabra e Chatila, nel settembre 1982, dove i falangisti maroniti protetti dall’esercito israeliano sterminarono più di ottocento innocenti. Le cifre dell’odierna ecatombe siriana fanno impallidire le stragi del passato. E forse, più ancora delle crudeltà commesse a Yarmuk, il mondo è spaventato dalle bandiere nere giunte alla periferia di Damasco. Ma ancora una volta sono i palestinesi le vittime sacrificali di un passaggio storico che annuncia guerra totale.

II.  TERRA INZUPPATA DI SANGUE: AR IR (VIAGGIO A GAZA 28 DICEMBRE – 2 GENNAIO 2015)
Volo aereo Istanbul –Roma del 2 Gennaio 2015, ore 17,28
Noi uomini siamo chiamati a collaborare con Dio nella sua creazione. Ma la guerra stravolge tutto, anche i legami tra i fratelli. La guerra è folle. Il suo piano di sviluppo è la distruzione. Papa Francesco Omelia nel cimitero di Redipuglia
Sono ritornato per la seconda volta nella Striscia di Gaza e l’ho fatto per trascorrere l’ultimo dell’anno e la giornata della pace 2015, il primo dell’anno, in una terra dove la pace non esiste e con le vittime della guerra della scorsa estate. Proprio in questa terra vivere la Giornata Mondiale della Pace significa credere con Abraham B. Yehoshua che non bisogna arrendersi alle violenze, parlare di coesistenza fra arabi ed ebrei in questa terra è ancora possibile”. E’ stata una esperienza incredibilmente bella di condivisione e, mentre controllavo lo svolgimento dei lavori di restauro dell’oratorio della Parrocchia S. Famiglia a Gaza City, nel tempo libero ho voluto incontrare le famiglie colpite dal lutto della guerra. È stata una esperienza di condivisione, preghiera e riflessione insieme con il sacerdote della parrocchia Padre Mario Da Silva e le suore Di Madre Teresa di Calcutta.
È il 31 dicembre 2014, verso mezzogiorno terminiamo il lavoro di controllo del restauro degli ambienti dell’oratorio finanziati dalla nostra ONLUS Amici di Santina Zucchinelli e così chiedo a Padre Mario di poter incontrare qualche famiglia in una delle zone devastate dalla guerra e il padre volentieri mi accompagna. Ci muoviamo in macchina verso una periferia di Gaza City, in città si sente forte la presenza di Hamas e la sua avversione verso l’Occidente, ma sono convinto che il dolore parla tutte le lingue e che l’incontro con le famiglie musulmane colpite dal lutto è un importante momento di condivisione.
La strada che percorriamo non lascia dubbi di essere in un territorio devastato dalla guerra: le macchine sono vecchie e piene di ammacchi e somari tirano carretti carichi di merce, l’asfalto è completamente sbriciolato in alcuni tratti, in altri enormi buche creano pazzeschi ingorghi, le case sono ridotte a pezzi, squarciate in alcune parti, completamente distrutte in altre. Da quello che erano le finestre appaiono bambini, anche se ridotte in pessimo stato, senza mobili senza acqua ed elettricità quegli scheletri di case sono abitati… Povera gente. La nostra macchina gira a sinistra ed entriamo in quello che doveva una volta essere un giardino con una ventina di alberi da frutto totalmente divelti. Fermiamo la macchina per alcune fotografie e ci viene incontro un giovane uomo con due piccoli bambini. Uno dei due ha riconosciuto il padre perché frequenta la scuola cattolica della Sacra Famiglia ed è curioso di salutare il sacerdote dal lungo vestito nero. “Buongiorno, mio figlio ti ha riconosciuto e ti voleva salutare, viene alla scuola cattolica; io mi chiamo Mohammed Al Mughanni”. Il bimbo di 7-8 anni scherza con padre Mario, l’uomo parla inglese e così non mi lascio sfuggire l’occasione. “Mohammed tu abiti qui? Qui vi è la tua casa? Mi puoi raccontare cosa è successo? Vorrei capire di più il dolore della Striscia e tu mi puoi raccontare tante cose ed insegnare molto…” L’uomo dalla barba curata e dagli occhi neri come il carbone mi fissa negli occhi con un’aria di perplessità, tace un momento e poi diretto di dice:  “Ma perché vuoi sapere, troppi curiosi che vengono da fuori, percorrono le nostre strade alla ricerca di storie da raccontare, ma dopo aver scattato due fotografie e ricevute tre notizie… se ne vanno via, scrivono articoli più o meno riusciti e tutto finisce lì.” Anche io lo guardo fisso negli occhi e con calma, ma determinazione rispondo lentamente: “Io non sono un giornalista, non scrivo articoli, sono un sacerdote cattolico venuto dall’Italia che aiuta un altro sacerdote cattolico che vive qui. Sono il Presidente di una ONLUS che sta ricostruendo alcuni locali della chiesa distrutti durante l’estate. Non guadagno soldi dall’incontro con te e neppure te li posso dare, ma tu pur di fede islamica puoi aiutarmi. Io non sto ad incontrare te per darti qualcosa, sono qui nella speranza di ricevere una tua elemosina, e cioè sono qui a parlare con te per ricevere da te qualche insegnamento da mettere nel mio cuore…. ”
Queste parole sembrano aver placato il nervosismo del’ uomo, il suo volto si fa disteso ed al tempo stesso assume una profonda tristezza. “Vieni con me” mi dice, facciamo alcuni passi e dietro ad alcune sottili lastre di marmo, resto di quello che era la cucina, l’uomo scopre un pesante proiettile di carro armato . E’ spezzato in due. Il giovane compie un certo sforzo per alzare il proiettile e mi dice che pesa circa cinquanta chili. “Prova a prenderlo in mano…” Non credo alle sue parole e ci provo, ma mentre lascia nelle mie mani quel proiettile avverto il peso di quel micidiale oggetto e il peso che esso sprigiona passa nello sforzo, dalle mie braccia al mio cuore. Padre Mario scatta una fotografia dove appare l’evidente peso del’ oggetto, ma rimane velato il peso che mi entra nel cuore.
Mohammed riprende il proiettile e lo posa per terra, io avverto la liberazione dalle mie braccia di quel peso, ma il cuore rimane con una profonda tristezza. “Questo proiettile è stato sparato contro la mia casa ed ha portato distruzione. Io è la mia famiglia non eravamo più qui perché il 9 e 10 luglio l’esercito israeliano aveva avvisato tutto questo quartiere con volantini lanciati dal cielo, per telefono e radio che avrebbero distrutto le nostre case e così mi sono rifugiato lontano da qui in casa di un amico a Gaza City. È stata una devastazione totale, al nostro ritorno sembrava di essere all’ inferno, animali morti per strada, cadaveri in decomposizione, distruzione totale, io ho trovato mio nonno e mio zio morti da quattro giorni nella strada. Solo la vista di questa morte, l’odore della morte producono uno stato confusionale, le gambe ti tremano, i pensieri si scoordinato, ti viene da vomitare, scappare, urlare… e poi tutto finisce in un pianto ininterrotto che offre una misera e magra consolazione”. Mentre Mohammed mi parla mi vengono in mente le parole di David Grossman, lo scrittore israeliano che recentemente ha parlato con toni molto duri della guerra di questa estate: «Stiamo precipitando nella dimensione del fanatismo e dell’irrazionalità, siamo ormai sull’orlo dell’abisso. Il conflitto che stiamo vivendo ha fatto un salto indietro nel tempo, è sempre più brutale e più selvaggio.».
Mentre Mohammed mi racconta le sue ferite interiori, l’uomo mi invita con lui, saliamo a fatica una piccola collina di detriti, attraversiamo due case squarciate e giungiamo così ad una piccola piazzola. “Gigi in questa casa devastata abita Ar Ir, vorrei farti vedere dove vive ed ascoltare la sua storia.”
Mohammed si avvicina ad un uomo con una barba corta grigia e cieco dall’ occhio sinistro. La guerra a lui ha lasciato un’evidente ferita nel corpo e con quell’occhio se ne è andata molta luce dalla sua vita. “Ar Ir Shamali, ti voglio presentare un amico venuto dall’Italia sta aiutando la ricostruzione di alcuni locali della scuola dove va mio figlio. Vuoi raccontare la tua storia di dolore, tu che hai perso due fratelli ed un nipote?” L’uomo rimane in silenzio. Mi porto la mano destra al cuore e saluto in arabo: “Salam Halekum” ed Ar Ir mi risponde con un filo di voce “Halekum Salam”. Che strano salutarsi con una invocazione di pace in un ambiente dove regna la guerra, mentre pronuncio quella frase La pace sia con te mi chiedo quanto quell’augurio di pace sia disatteso a motivo dei nostri egoismi e dei nostri capricci.
L’ambiente della casa è molto oscuro, le pareti sono state riparate alla meglio con enormi pezzi di lamiera, solo dalle fessure giunge luce di mezzogiorno. Nel appartamento diroccato sembrano uno scherzo quelle enorme toppe di lamiera in mezzo a detriti indistinti. Mi viene portata una sedia e pur nella estrema povertà giunge un ragazzo che mi offre sul vassoio una tazzina di caffè. Ringrazio per il gesto cortese, comune nel mondo arabo, e lascio spazio al silenzio. L’uomo penso che non abbia più di sessanta anni, ma sembra vecchissimo, invecchiato precocemente dalla guerra di luglio agosto scorso.
Con un filo di voce Ar Ir inizia a parlare. “Dopo che l’esercito aveva avvistato del bombardamento e della distruzione io avevo lasciato questa casa dove ora ostinatamente abito anche se da un momento all’altro potrebbe cadere. I miei due fratelli e un mio nipote avevano deciso di rimanere qui ed eravamo in costante contatto con i nostri cellulari. Erano fortunatamente sopravvissuti al bombardamento che ha così distrutto la nostra bella casa, ed erano contenti di questo e ringraziavano Allah. Poi però erano arrivati i terribili carri armati con l’esercito. Li avevano avvistati ed hanno iniziato a sparare. Erano stati colpiti in modo leggero e si erano rifugiati in queste rovine. Mi avvisarono per telefono che non erano gravi, ma che necessitavano presto di una ambulanza. Con grande eccitazione iniziai a chiamare, ma essendo questa una zona calda, nessuna ambulanza e nessun aiuto poteva giungere. Allora cercai di chiamare loro. Il cellulare suonava ma nessuno di loro rispondeva. Passati due giorni sono rientrato in questo quartiere che puzzava di morte e nella camera accanto, che ora ti mostrerò lì ho trovati uccisi da alcuni proiettili, erano immersi in una pozza di sangue mal coagulato e con i bossoli delle pallottole vicini. Li hanno ammazzati a sangue freddo, non sono morti per le precedenti ferite, ma sono stati trovati e giustiziati senza pietà!” La sua voce diventa rauca e le lacrime percorrono la guancia destra, Ar Ir l’uomo invecchiato dalla guerra mi prende la mano sinistra, mi fa alzare e mi conduce nell’altra stanza diroccata. L’orrore mi coglie, mi mostra l’ombra di una chiazza di sangue scuro che rimane sul pavimento anche dopo diversi tentativi di pulizia. Gli occhi mi si riempiono di lacrime, provo un profondo disagio e disgusto vorrei fuggire, ma poi raccolgo le mie forze ed esprimo nel mio cuore una preghiera per quelle vite uccise in modo assurdo. La grande chiazza scura di cui il terreno si è impregnato merita rispetto e dal cuore, in modo passionale e senza previsione, nasce il prepotente desiderio di un gesto. Lascio da parte la mia vergogna e la repulsione e mi inginocchio per terra e con passione bacio quel pavimento. Mi rialzo con le labbra sporche di terra. Il vecchio mi guarda con una sorta di ammirazione, pulisce le mie labbra e mi abbraccia fortemente con un pianto che viene dal cuore… A quel punto è lui a sorprendermi con un gesto inaudito. L’uomo prende un coltello e si inginocchia, con forza inizia a raspare il terreno. Gratta con forza quella terra, gratta con violenza e riesce a raccogliere da quella grande chiazza scura una piccola manciata di terra di un marrone molto scuro. Quella terra imbevuta di sangue la depone in un fazzolettino di carta. Con cura lo chiude e poi solennemente mi pone l’involucro nella mano destra dicendomi: “Questo sia il tuo ricordo del sangue sparso a Gaza, ricordati sempre degli uomini morti nella guerra e ricordati anche di me, di Ar Ir e del suo prezioso regalo!”
Nascondo il volto pieno di lacrime e metto in tasca il mio regalo prezioso, do una carezza dolcissima a quell’ uomo ed esco dalla sua casa. La sera nella messa di conclusione del’ anno sull’ altare nella cappella delle suore di Madre Teresa pongo quel fazzolettino di carta pieno di terra inzuppata di sangue e insieme con le sorelle preghiamo perché la pace torni a Gaza a motivo di un altro sangue, quello di Gesù che berremo durante la celebrazione liturgica a conclusione dell’anno 2014.
Recentemente ho letto un romanzo di Amos Oz dal titolo Giuda, in cui si parla della situazione mediorientale. Un personaggio di tale libro parlando di Israele dice: “due popoli che amano la stessa terra sono come due uomini che amano la stessa donna, ci sarà sempre odio tra i due”. Lo scrittore israeliano poi precisa smentendo questo paragone: “Succede dappertutto, non solo in Israele. Con una differenza: due uomini che amano la stessa donna nono posso arrivare a un compromesso, invece due popoli che amano la stessa terra sono come due uomini che hanno una stessa casa: possono dividerla in due piccoli appartamenti e arrivano a un compromesso”. Speriamo che nell’anno 2015 Israeliani e Palestinesi smettano di pensare alla Terra Santa come alla loro donna e inizino a vederla come una Casa comune in cui insieme abitare.

III IL PERICOLO DI TRE INNOCUE FOTOGRAFIE (VIAGGIO NELLA STRISCIA DI GAZA 18-22 MARZO 2015)
Sono tornato nella Striscia di Gaza per la terza volta, dopo il mese di ottobre 2014 e il capodanno 2015 per vedere i lavori che la nostra Associazione ONLUS Amici di Santina Zucchinelli sta realizzando nella parrocchia cattolica. Con questo motivo ho potuto approfondire e riflettere sulla vita difficile e dura a Gaza. Molte volte si pensa a Gaza ed alla guerra dell’estate 2014: quei mesi di luglio ed agosto sono nel ricordo di tutti e le immagini portano a case distrutte, feriti, morti… Tutto questo è vero, ma costituisce solo la cornice di un quadro più complesso e strutturato che riguarda il mondo islamico che sta divenendo all’ interno della Striscia di Gaza sempre più violento e spietato. Il mio viaggio inizia nel giorno stesso in cui a Tunisi sono stati uccisi diversi turisti in un museo dagli islamisti legati all’ISIS. Dopo il volo notturno che mi porta a Tel Aviv e in seguito ad Askelon, dopo aver riposato presso l’Holiday Inn ha inizio la mia avventura a Gaza. Giungo al valico di Erez alle ore 11,00 e dopo aver ottenuto il permesso dal governo israeliano, è la volta dell’Autorità Palestinese e poi di Hamas. Si devono avere tre lasciapassare: Israele, Autorità Palestinese e dal partito islamista che governa la Striscia. Da più parti si sostiene con verità che Hamas non è un partito, ma un gruppo terroristico che usando la forza vuole la distruzione di Israele. Il primo nemico di Hamas è però non Israele o l’ Occidente, ma il partito palestinese di Al Fatah che a Gaza non ha nessun valore e che spesso e volentieri è vittima di soprusi e di vessazioni da parte di Hamas. La strategia è la stessa dell’ISIS ed è quella di colpire prima di tutto il mondo moderato dell’islam, che non condivide la violenza ed il modo di procedere di Hamas, e così spesse volte le strade di Gaza diventano teatri di violenza tra musulmani. Questo fatto in Europa non è sufficientemente chiaro, come non è chiara la galassia dell’ intero mondo islamico in ebollizione sempre più grande. A Gaza immagini forti fanno comprendere questo. La prima immagine forte è a pochi metri dal terzo chek point, quello di Hamas. Edward mi ha appena accolto e sono salito sul furgoncino scassato della parrocchia della Sacra Famiglia, quando davanti a noi appare una camionetta con a bordo una decina di uomini armati, dalle immagini televisive mi viene da identificarli con i soldati dell’ISIS. Sono vestiti di nero, la testa è mascherata da un passamontagna nero, attorno alla fronte vi è una striscia verde, sono armati fino ai denti, le mani coperte da guanti neri, un kalashnikov in mano carico e pronto a colpire, coltelli nelle fodere attorno alla vita accuratamente serrati con una cintura nera, mi incutono paura, un brivido mi percorre la schiena. Edward mi dice “Monsignore sono i soldati della milizia di Hamas chiamata Qassam, in questi ultimi tempi sono divenuti più aggressivi… Non dica nulla stia calmo e lasci fare a me.” Edward saluta cortesemente i militari che, dopo avermi scrutato, ci lasciano passare. Tiro un respiro di sollievo, ma dopo neppure trecento metri, un’altra camionetta mi provoca un altro brivido nella schiena. Un conto è vedere questi soldati negli schermi della televisione, un conto è vederseli davanti, con bandiere verdi che sventolano sopra la Jeep o sopra le camionette. Anche questa volta ci lasciano passare. il nostro viaggio verso il centro di Gaza continua ma, ancora dopo neppure duecento metri incontriamo militari Qassam che procedono a piedi: sono otto soldati. Edward non si scompone, un suo terzo intervento e finalmente la strada diventa libera. Mi riprendo dalla paura e chiedo ad Edward, ma questi militari hanno promesso obbedienza allo Stato islamico Edward? Il giovane mi risponde: ” Gigi, assolutamente no! Anzi Hamas qui nella Striscia non è ben visto, ma questo non è un bene! L’ integralismo di Hamas è forse peggiore di quello del califfato. Alcune settimane fa l’ISIS ha chiesto di poter aver un luogo di riunione ad Hamas per poter creare un coordinamento, Hamas ha concesso il luogo ed ha favorito l’ incontro, ma poi…. li ha arrestati tutti” Per loro non è ancora giunto il momento di usare violenza verso i cristiani, ma anche questo non è buono. Padre, il loro integralismo preoccupa noi cristiani: cercano motivi per farci lasciare le nostre case è meglio ancora cercano di convertirci all’islam. La loro polizia segreta è presente dappertutto. “Scusa, ma quanti sono nella popolazione?” “Gigi a Gaza siamo circa un milione ed ottocentomila abitanti, come ben sai, i cristiani tutti insieme sono solo 1300, il partito che governa Gaza può contare su 200.000 uomini. Cosa ti pare 200.0000 uomini sono i padroni di tutta la Striscia: sono potenti, si autofinanziano e i tunnel producono per loro ricchezza; anche noi per vivere spesso dobbiamo rifornirci da loro! La sera è pericoloso uscire, la città è divisa in quattro parti e l’elettricità è presente solo in una parte. Con il sole che scende queste bande che hai incontrato escono per regolare conti e fare scorribande di ogni genere perché l’elettricità non vi è ed i generatori non sono presenti in tutte le case. Dunque a Gaza regna l’ insicurezza e su questa insicurezza incombe un nuovo terrore di una nuova guerra di Israele che vuole finire il lavoro iniziato a luglio-agosto. Finire di colpire le postazioni ritenute strategiche di Hamas. Mentre parliamo giungiamo alla parrocchia e padre Jorge e padre Mario mi attendono per il pranzo, ho per loro un bel regalo inviato da Papa Francesco: una Madonnina di Lujan in Argentina. I due sacerdoti baciano con devozione la statuina e la poniamo in cappella con una fotografia ricordo.
Il giorno seguente con Padre Jorge usciamo per incontrare alcune famiglie povere e colpite dalla guerra. Saliamo in macchina e partiamo per Rafa, al sud della Striscia. Questa prigione a cielo aperto è lunga più o meno 40 chilometri ed è larga 6. In una mezz’ora possiamo percorrere il territorio e giungere a 6 chilometri dalla frontiera con l’Egitto. Durate il viaggio di ritorno da quella visita, avviene una cosa molto strana che nuovamente mi fa provare i brividi e mi dice della gravità della situazione.
Durante la mia permanenza ho scattato tante fotografie e forse tre fotografie tra le più innocue rischiano di divenire le più pericolose per la mia incolumità…. Il vecchio pulmino di Jorge attraversa la piazza di un centro abitato devastato dalla guerra. Vi è mercato, ma tale mercato, mi accorgo solo dopo, è popolato nella quasi totalità da uomini, uno sparuto gruppo di donne rigorosamente in nero e con il volto velato, come avevo incontrato in Iraq, è impegnata nelle trattative di vendita… I colori mi colpiscono: dai neri vestiti delle donne e degli uomini, si passa al contrasto del rosso dei pomodori, del giallo delle banane, al verde delle verdure esposte alla vendita su pietosi carretti sgangherati. Pigri asini riposano al sole, alcuni giovani sono seduti su moto, le facce sono scure, oscurate da lunghe barbe nere, poche auto sono parcheggiate ai lati del suck. Chiedo a padre Jorge se sia possibile scattare fotografie. Mi dice di si e così scatto tre fotografie molto generali, senza un soggetto particolare dalla macchina, mentre Jorge gira a sinistra ed imbocca la via che porta alla strada principale verso Gaza. Stiamo tranquillamente chiacchierando e sono passati dai 3 ai 4 minuti… Quando dietro a noi appare una moto; sono due giovani che ci intimano di fermare la macchina. Padre Jorge mi dice: “Gigi sono della polizia segreta di Hamas, stai calmo e prepara i documenti”. Rispondo: “Jorge i documenti li ho lasciati nella cassaforte della parrocchia, con me non ho nulla!” “Questo ora è un bel problema”. Jorge scende dalla macchina ed inizia una tesa discussione, ma la sua abilità è sorprendente: “Scusate se vi abbiamo causato un inconveniente nel giorno della preghiera, perché oggi è venerdì. Questo mio amico ha scattato solo alcune fotografie turistiche, non è una spia….” Alla mia mente ritorna l’Iraq, quando a Bagdad, entrando nella zona verde imprudentemente avevo scattato fotografie. Quella volta, dopo lunghi discorsi la mia imprudenza mi era costata la distruzione della card della macchina fotografica… Questa volta il profilo era molto più discreto, ma molto più pericoloso appartenendo i due uomini alla polizia segreta. Meno male che con me vi era Jorge. I due agenti iniziano il loro interrogatorio qualificandosi con i loro tesserini, dopo essersi qualificati chiedono al parroco i suoi documenti ed Jorge mostra patente e carta d’identità argentina. Poi è il mio turno. I due giovani mi chiedono di vedere le fotografie che ho scattato. Acconsento subito e per evitare la minaccia di vedermi confiscato il telefonino e per rassicurarli mostro ogni fotografia e senza che me lo chiedono cancello i tre scatti fotografici completamente innocui. Questo fatto distende il loro animo e permette a Jorge di continuare la trattativa. Jorge dice di conoscere il capo della sicurezza di Hamas, ma i due militari non ci sentono e scattano a noi con il cellulare una fotografia. Questo un po’ mi impensierisce, ma Jorge ha nel frattempo iniziato la telefonata con il loro capo… Passa il telefono a loro e a quel punto si apre un discorso cordiale, in cui i giovani ci invitano alla loro casa, secondo una formalità musulmana. Jorge ringrazia e gentilmente rifiuta, risaliamo in auto e partiamo verso la parrocchia; dobbiamo stare ad Erez per mezzogiorno, perché il venerdì il valico israeliano chiude prima a motivo del sabato. Jorge mi dice: “Questa triste esperienza forse ti ha messo paura e devo essere sincero anche io mi sono preoccupato, ma ti mostra altresì come viviamo a Gaza ogni giorno. Questo è il mondo islamico in cui dobbiamo sopravvivere ogni giorno e nel quale la vostra opera di costruzione dell’oratorio porta un grande sollievo ed un grande aiuto. Non dimenticare don gigi quanto abbiamo vissuto questa mattina!” Giunti in parrocchia tutti e due prepariamo i bagagli e partiamo per Erez, nel primo pomeriggio rientriamo in Israele.

IV. AMAL
Il mondo islamico di Gaza pervade profondamente il mondo femminile e lo riduce alle ferree regole dell’islam. Le donne sottostanno a tale costume dettato dalla religione coranica. Tra di loro a Gaza cresce sempre più il numero di coloro che in modo fanatico si coprono completamente di nero, lasciando libero solo lo spazio per gli occhi. Con queste donne non solo non è possibile parlare, ma non si possono neppure fissare e tanto meno fotografare. In Europa avevo incontrato diverse volte donne dell’islam, ma a Gaza questa volta nella casa delle suore di Madre Teresa incontro alcune donne venute a visitare i loro figli che sono accuditi da Sister Delfina e dalle altre cinque suore. Giunge una ragazza tutta vestita di nero e mi interessa molto poter capire come pensa e vive una ragazza musulmana. È lei a salutarmi, ed allora anche io la saluto. Chiedo a lei di scattarmi alcune fotografie con alcuni bellissimi bimbi orfani e mi risponde di si. Si toglie la lunga sottana nera e appare una normalissima ragazza europea in jeans, vestita in modo del tutto occidentale. Iniziamo il nostro confronto. “Amal, – così si chiama la ragazza – che differenza vi è tra te e le donne che vestono completamente velate. Anche tu porti il velo e coprì la testa, ma almeno hai il volto che si vede…” La ragazza giovanissima, tra i 18 ed i 22 anni scoppia a ridere e mi dice: “Quelle donne sono fanatiche religiose e mettono in pratica il Corano in modo meticoloso, non tutte le donne islamiche sono così. Dammi la macchina fotografica, ecco una di loro che passa per la strada… Voglio fotografarla per tuo ricordo. Al dila degli scherzi sono felice di incontrare un europeo…. Voglio spiegarti come viviamo qui in Gaza noi donne musulmane. Prima di tutto vi è una grande differenza tra la donna sposata e la donna celibe. Anche tra le mie amiche sposate non fanatiche vige la legge che non è possibile porre la propria fotografia da sola in Face Book, ma sempre con marito e figli. In secondo luogo devi sapere che qui a Gaza l’Islam è molto forte ed esigente e ogni giorno noi siamo invitate ad assumere un atteggiamento più integralista. Ti faccio un semplice esempio. Tu esci per la strada e… nelle strade principali trovi grandi cartelli in successione. Il primo cartello più o meno dice a noi donne: portare il velo è una cosa buona; ti appare come un semplice invito, nulla di più; il secondo cartello pubblicitario è una sura del Corano o un testo di spiegazione nel quale si parla del velo per le donne islamiche. Ed infine, dopo questi due cartelli, il terzo cartello dice: per quanto riguarda l’obbligo del velo per la donna dell’ Islam, non esiste libertà, ma ogni volontà deve adeguarsi… Capisci che ogni volta che vedo quel cartello sono portata non solo a coprirmi con il lungo vestito, ma anche a velarmi la bocca… Almeno mentre passo vicino a quel cartello!”
Mi sembra di essere stato anche troppo tempo con quella ragazza è tempo di concludere la nostra conversazione. Amal mi chiede il numero del mio cellulare per poter continuare a parlare con Viber ed acconsento volentieri, Amal infine con una grande finezza mi pone nelle mani un piccolo ricordo si tratta di un suo anello di metallo. Gigi te lo regalo perché costituisca per te un motivo di profonda riflessione sulla vita della donna nell’islam qui a Gaza. Ringrazio per la gentilezza e contraccambio con una medaglietta dell’arcangelo Michele che accetta volentieri… Anche su questo devo essere attento nell’Islam ogni gesto può essere inteso come proselitismo.

V. I BAMBINI DI GAZA
Il terzo Viaggio a Gaza si poneva come obiettivo quello di verificare, come del resto il secondo viaggio, lo stato di avanzamento dei lavori di ristrutturazione dell’Oratorio parrocchiale della Sacra Famiglia. Con grande soddisfazione ho potuto vedere che la scala è stata ricostruita, sostituendo la pietra rovinata, che sono state restaurate e imbiancate le pareti delle aule e che sedie, tavoli, dispenser per acqua e servizi igienici sono stati ripristinati. Ho preso puntuali ed accurate ricevute che ho riportato in Italia per giustificare gli effettivi Euro 10.000 spesi per i lavori nella piccola comunità cattolica. Ora manca solo una targa commemorativa in onore dell’Associazione Amici di Santina Zucchinelli che dovrebbe essere pronta per la prima settimana di maggio 2015. I lavori che sono stati conclusi erano per un aiuto a giovani e bambini particolarmente provati dalla guerra estiva del luglio agosto 2014.
L’incontro con i bambini di Gaza è stata per me fonte di profonde riflessioni. In Europa i nostri bambini crescono in un ambiente tranquillo e di pace che è molto diverso dall’ambiente della guerra. L’ambiente della guerra dove i bambini di Gaza giocano e crescono provoca profonde ferite interiori che compromettono profondamente la percezione della vita. Non si tratta di ferite nel corpo, ma di ferite profonde nell’animo. Nella missione umanitaria del marzo 2015 due fatti mi hanno molto provocato e tali due fatti li voglio riproporre a conclusione di questi tre reportage dall’ottobre 2014 al marzo 2015.
– In occasione della festa di San Giuseppe, lo scorso 19 marzo, in parrocchia vi è stata la Messa vespertina delle ore 17 alla quale ha fatto seguito un momento di festa nell’oratorio da noi ricostruito, come spiega padre Mario in una videointervista del 1° gennaio 2015. In tale momento di festa vi era la tombola: più di duecento persone sono giunte nel grande salone, cristiani cattolici latini, ma anche ortodossi e protestanti. Tutti insieme per giocare… Naturalmente io non capivo una parola di arabo e me ne stavo seduto in fondo alla sala gustando questo momento tanto prezioso di gioia. I bambini si avvicinavamo a me per scherzare. Che grande qualità hanno i bambini, sono in grado di parlare con la loro freschezza tutte le lingue: un sorriso, un gesto di simpatia è universale. Qualcuno di loro scarabocchiava il lato bianco delle schede di carta della tombola…Ed allora incuriosito da loro, ho iniziato a chiedere con gesti e con poche parole di disegnare per me il volto della Striscia di Gaza. Ho raccolto così alcuni disegni: sono in totale 8 disegni, una piccola collezione con artisti del nome di Yussef, Serapion, oppure Suhial… La collezione è per me preziosa, essa mostra cosa i bambini pensano della loro città. E la parola è semplice e breve: guerra! Infatti degli otto disegni raccolti, ben sei rappresentano scene di guerra; e precisamente bombardamenti, sono aerei israeliani che bombardano e razzi della milizia Qassam che fanno da contraerea. Le mamme accorse a vedere i disegni dei loro piccoli, in inglese mi commentavano come quei giorni di disperazione aveva forse segnato più profondamente i più piccoli, scuotendoli profondamente nella notte con terribili ed assordanti bombardamenti. Le strade bloccate dai detriti e dalla vista dell’esercito israeliano aveva creato profondi guasti e disagi in tutta la popolazione, specialmente nei bambini più piccoli e vulnerabili.
– Il 20 marzo andando con Padre Giorgio a visitare i quartieri devastati dai bombardamenti, nugoli di bimbi ci sono venuti incontro festanti per la novità dei visitatori. Mi ha particolarmente colpito una tendopoli che abbiamo visitato dove i piccoli ci fanno festa interrompendo un gioco che è quello della guerra. I fucili sono sostituiti da semplici bastoni che tengono tra le mani e tra di loro si sparano colpi di fucile.
Forse tutti da piccoli abbiamo giocato alla guerra con armi di plastica, ma giocare alla guerra in un paese dove la guerra non è un gioco, ma tragica realtà mi si è mostrata come una parodia formidabile della pazzia umana che continua ad uccidere per motivi religiosi o politici. ma in una allucinazione collettiva che proclama l’assurdità della guerra.
Sicuramente sono forti e piene di verità le parole di Papa Francesco a Redipuglia che abbiamo citato nel nostro reportage e con le quali voglio chiudere queste pagine, con un monito alla riflessione:
Noi uomini siamo chiamati a collaborare con Dio nella sua creazione. Ma la guerra stravolge tutto, anche i legami tra i fratelli. La guerra è folle. Il suo piano di sviluppo è la distruzione.
Papa Francesco Omelia nel cimitero di Redipuglia.