Catechesi

PRESENTAZIONE DEL LIBRO: QUANDO SONO DEBOLE E’ ALLORA CHE SONO FORTE, ROMA 9 DICEMBRE 2014


copertina Quando sono debole

 

Si può scaricare il liro in formato pdf cliccando qui: Quando sono debole è allora che sono forte

 

02 EMMANUEL Inviti presentazione Quando sono debole sono forte 9-12-14

 

 

La presentazione del  libro su Santina avverrà nella prestigiosa sede romana del Banco Popolare, situata a Palazzo Altieri, in Piazza del Gesù n. 49, a Roma. I lavori inizieranno alle ore 18,30. Emblematico esempio del Barocco romano, l’edificio fu costruito, a partire dal 1650, dall’architetto Giovanni Antonio De Rossi quale residenza degli ultimi discendenti della famiglia Altieri, i cardinali Giovanni Battista Altieri ed Emilio Altieri, futuro papa Clemente X (1670-76).

03 Invito di Banca aletti 9-12-14

 

 

Il Palazzo presenta un’imponente facciata dagli eleganti colori celeste e giallo pastello e un grande portale tra due colonne sostenenti un balcone, adorno dello stemma della famiglia.

 

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All’interno i sontuosi appartamenti, arredati con mobili e dipinti d’epoca, presentano splendidi affreschi sui soffitti e sulle pareti come il “Trionfo della Clemenza” del Maratta,”Il Carro del Sole” di Fabrizio Chiari e “L’Allegoria dell’Amore” di Niccolò Berrettoni.

LEGGI SUL QUOTIDIANO IL TEMPO DEL 10 DICEMBRE UN BELLISSIMO ARTICOLO SULL’EVENTO

Oppure segui la registrazione dello streaming dell’evento:

 

LINEE DI INTERPRETAZIONE DEL LIBRO: QUANDO SONO DEBOLE E’ ALLORA CHE SONO FORTE

Cristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza! Qui sta la differenza decisiva rispetto a qualsiasi religione. La religiosità umana rinvia l’uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il Deus ex machina. La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare. Dietrich Bonhoeffer

DOTT.SSA VANIA DE LUCA, VATICANISTA RAINEWS 24

 

Per introdurre la serata del prossimo 9 dicembre, che ci vedrà tutti insieme a riflettere sul tema della fragilità presente in questo volume voglio proporre un racconto molto bello che ha il pregio di trasformare una situazione di disperazione, in un formidabile successo, con uno stratagemma inatteso perché siamo sicuri che Dio apre sempre una via dove pensi non ci sia. Ecco il racconto. Molti anni fa, ai tempi in cui un debitore insolvente poteva essere gettato in prigione, un mercante di Roma  si trovò, per sua sfortuna, ad avere un grosso debito con un usuraio. L’usuraio, che era vecchio e brutto, si invaghì della bella e giovanissima figlia del mercante, e propose un affare. Disse che avrebbe condonato il debito se avesse avuto in cambio la ragazza. Il mercante e sua figlia rimasero inorriditi dalla proposta. Perciò l’astuto usuraio propose di lasciar decidere alla Provvidenza. Disse che avrebbe messo in una borsa vuota due sassolini, uno bianco e uno nero, e che poi la fanciulla avrebbe dovuto estrarne uno. Se fosse uscito il sassolino nero, sarebbe diventata sua moglie e il debito di suo padre sarebbe stato condonato. Se la fanciulla invece avesse estratto quello bianco, sarebbe rimasta con suo padre e anche in tal caso il debito sarebbe stato rimesso. Ma se si fosse rifiutata di procedere all’estrazione, suo padre sarebbe stato gettato in prigione e lei sarebbe morta di stenti.

DOTTOR STEFANO FOLLI, EDITORIALISTA DI LA REPUBBLICA

 

Il mercante, benché con riluttanza, finì con l’acconsentire. In quel momento si trovavano su un vialetto di ghiaia del giardino del mercante e l’usuraio si chinò a raccogliere i due sassolini. Mentre egli li sceglieva, gli occhi della fanciulla, resi ancor più acuti dal terrore, notarono che egli prendeva e metteva nella borsa due sassolini neri. Poi l’ usuraio invitò la fanciulla a estrarre il sassolino che doveva decidere la sua sorte e quella di suo padre.Che fare? Rifiutarsi di estrarre il sassolino? Mostrare che la borsa conteneva due sassolini neri e smascherare l’usuraio imbroglione? Estrarre uno dei sassolini neri e sacrificarsi per salvare il padre dalla prigione? Sono queste le soluzioni possibili? All’apparenza si.

S.EM.ZA IL SIG CARD. RENATO RAFFAELE MARTINO

 

 

 

La storia continua narrando però che la ragazza scelse un’altra soluzione: introdusse la mano nella borsa ed estrasse un sassolino, ma senza neppure guardarlo se lo lasciò sfuggire di mano facendolo cadere sugli altri sassolini dei vialetto, fra i quali si confuse.“Oh, che sbadata! – esclamò – ma non vi preoccupate: se guardate nella borsa potrete immediatamente dedurre, dal colore del sassolino rimasto, il colore dell’altro!” Naturalmente, poiché quello rimasto era nero, si dovette presumere che ella avesse estratto il sassolino bianco, dato che l’usuraio non osò ammettere la propria disonestà. In tal modo, la ragazza riuscì a risolvere assai vantaggiosamente per sé una situazione che sembrava senza scampo. La ragazza, in realtà, si salvò in un modo molto più brillante di quanto non le sarebbe riuscito se l’usuraio fosse stato onesto e avesse messo nella borsa un sassolino bianco e uno nero, perché in tal caso avrebbe avuto solo il cinquanta per cento delle probabilità in suo favore. Il trucco che escogitò le offrì invece la sicurezza di rimanere col padre e di ottenergli la remissione del debito.

AVV. CARLO FRATTA PASINI, PRESIDENTE BANCO POPOLARE DI VERONA

 

L’Avvocato ci ha fatto una grande sorpresa volendo usarle la maglietta di Charles per la sua Lettera di auguri natalizi, ecco il testo gentilmente concessoci:

Lettera Fratta Pasini

Quando si affronta un problema, è prassi comune delimitarlo entro una determinata inquadratura e cercarne la soluzione all’interno di essa. Si accetta come un dato dimostrato che una certa linea rappresenti i confini del problema, ed è entro questi confini che ricerchiamo la soluzione. Molto spesso però questi confini non esistono nella realtà e la soluzione può trovarsi al di fuori di essi.

E’ ormai dal 2005 che tentiamo di comportarci come si è comportata la ragazza del nostro racconto, di cercare soluzioni e senso di vita fuori dal comune modo di interpretare e vivere la disabilità, la malattia, la vecchiaia. Santina è stata una testimone formidabile di come la debolezza dell’uomo sia la forza di Dio. Un noto scrittore israeliano mi ha aiutato molto con alcune sue intuizioni profonde. Scrive David Grossman nel romanzo A un cerbiatto somiglia il mio amore dedicato al figlio morto nella Guerra in Libano del 2006: Ricordati soltato che a volte una cattiva notizia non è che una buona notizia che è stata fraintesa, e ricordati anche che quella che era una cattiva notizia può tramutarsi in buona col tempo, forse migliore con te. Possiamo dire che questo è avvenuto per mia Madre ed il libro ne è una concreta prova.

Questa pubblicazione, prende il titolo Quando sono debole è allora che sono forte (2Cor, 2,10) da una espressione di San Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi, nella quale mi sembra che l’Apostolo faccia riferimento a una sua esperienza concreta, esistenziale. Evoca una situazione di debolezza fisica o psicologica, quale una infermità o uno stato d’animo provato, depresso. Egli non si vergogna di ricordare ai Corinti la situazione di debolezza, umanamente parlando sfavorevole, che ha caratterizzato la sua opera di evangelizzazione in mezzo a loro. Ma riflettendo su tale situazione egli vi coglie qualcosa di sorprendente: l’energia del Risorto. L’Apostolo ritiene di essere “forte” nella sua debolezza in quanto coinvolto nella dinamica vittoriosa del Crocifisso risorto. Proprio questa dinamica è misteriosamente presente anche nella vicenda di Santina Zucchinelli e questo libro intende mostrarlo. La lettura dell’opera presuppone altri due scritti sulla Signora Zucchinelli dal titolo egualmente ecovativo: Roccia del mio cuore è Dio (Piemme 2005) e La Speranza non delude (Paoline 2008). Questo nuovo libro di divide in tre parti.

DOTTOR CARLO NICORA, DIRETTORE GENERALE OSPEDALE S. GIOVANNI XXIII DI BERGAMO

 

 

Nella prima parte chiamata L’Insegnamento emerge il volto spirituale di Santina attraverso una collezione di frasi ed espressioni e uno studio di quanto Ella ha saputo esprimere con le sue parole, dopo l’anno 2005, l’anno dell’intervento al cuore e della sua lunga permanenza in ospedale di nove mesi.

La seconda parte è costituita da quindici diari di pellegrinaggi e viaggi svolti dal 1°Novembre 2008 al 6 marzo 2011. Essa si chiama La Testimonianza e mostra come la vita di Santina abbia un senso e un significato seppur nella sua disabilità e nella sua sofferenza. E’ una donna che viaggia Santina, che percorre una volta e mezza il giro del mondo per raccontare la sua disabilità e la sua infinita debolezza, per mostrare in tutto questo la forza di Dio. La sua vita diventa così come per Paolo una sorta di predicazione missionaria e nelle decine di miglia di chilometri percorsi, Mamma lascia la sua forte testimonianza cristiana.

L’ultima parte del libro s’intitola La Carità. Essa propone a modo conclusivo i frutti di tanta preghiera, sofferenza e predicazione missionaria. Sono le opere di carità che il suo esempio ha saputo provocare. Molta gente vedendo e incontrando Santina è stata provocata ad opere di beneficenza. Il dolore e la disabilità di mia madre non sono stati vani, ma hanno prodotto frutto e questo frutto deve essere raccontato e fatto conoscere. E’ una storia semplice e umile, ma che potrà far bene anche a te che stai leggendo. Concludo con le parole di Benedetto XVI: I singoli eventi della giornata sono cenni che Dio ci rivolge, segni dell’attenzione che ha per ognuno di noi. Tenere, per così dire,un “diario interiore” di questo amore sarebbe un compito bello e salutare per la nostra vita! Queste pagine sono proprio il diario interiore della vita di Santina Zucchinelli dopo l’anno 2005 e speriamo che si riveli bello e salutare per la vostra vita come lo è stato per la nostra.

Roma, 4 dicembre 2014

Secondo anniversario morte di Santina

MONS. LUIGI GINAMI

 

 

 

 

RIFLESSIONE SULLA MORTE DI SANTINA: PER UN CRISTIANO, A NCHE IL SOLE CHE TRAMONTA PERMANE SFAVILLANTE

DOTTOR CARLO NICORA, DIRETTORE GENERALE OSPEDALE S. GIOVANNI XXIII DI BERGAMO, 1°NOVEMBRE 2014

Buonasera a tutti, permettetemi di cominciare ringraziando don Gigi per avermi invitato a essere qui con voi questa sera. Lo dico consapevole che questa sera don Gigi mi ha affidato un compito difficile.

  • com’è difficile parlare della morte!

Noi uomini e donne del XXI secolo abbiamo imparato a razionalizzare moltissimi temi che interrogavano e spaventavano i nostri padri, i nostri nonni e via via i nostri antenati….

Abbiamo vinto, e guardiamo con sufficienza il freddo, il buio, la distanza geografica, anche la guerra, che sentiamo distante, una faccenda altrui.

  • ma di fronte alla morte, democratica e inevitabile, è difficile razionalizzare.
  • è difficile barare.

Paradossalmente riusciamo a farlo con l’idea della nostra morte: ci scherziamo, la esorcizziamo, non ci pensiamo mai veramente.

  • ma alla morte delle persone care non possiamo sfuggire.

 

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Dottor Carlo Nicora, Ospedale S. Giuseppe di Gerusalemme, 12 settembre 2014

 

 

Quante volte ci è capitato di sentire genitori che davanti alla morte prematura di un figlio gridano tutto il loro strazio: perché non sono morto io al suo posto?Nell’ultimo libro di don Gigi “Dio asciugherà ogni lacrima” si legge una riflessione del Cardinal Martini che mi ha colpito molto, mi ci sono riconosciuto.Parla della sofferenza ma è altrettanto vero per la morte delle persone che ci sono care.Martini scrive, commentando la vicenda di Giobbe (che si trova ad affrontare momenti difficili come la malattia, la morte di figli, il giudizio degli amici…), che di fronte alla prova, l’uomo può anche accettare il disegno di Dio, certamente con l’aiuto della Grazia.Ma aggiungo da semplice uomo e senza la pazienza di Giobbe può farlo (all’inizio) quasi istintivamente, per un impeto immediato:

  • come quando leggiamo che qualcuno si lancia istintivamente in soccorso di un altro, rischiando la propria vita.
  • un gesto appunto quasi istintivo, e i protagonisti spesso  raccontano: l’ho fatto senza pensarci, forse se avessi calcolato i rischi non l’avrei fatto.

Ma il problema nasce nel poi, nel dopo. Molti di noi sarebbero in grado di affrontare uno scatto di 100 metri, ma affrontare la maratona … che dura… ci metterebbe KO.Ecco, Martini mette a fuoco proprio questo aspetto, quello della riflessione, e scrive:

  • Nella prova corriamo anche il rischio della riflessione. L’uomo, per grazia di Dio, può rapidamente assumere l’atteggiamento della sottomissione, ma subito dopo sopravviene il momento della riflessione, CHE è LA PROVA PIU’ TERRIBILE. (…)
  • la situazione concreta di Giobbe non è quella di chi se la cava con un sospiro, con un’accettazione data una volta per tutte; piuttosto è la situazione di un uomo che, avendo espresso l’accettazione, deve incarnarla nel quotidiano. (…)

Talora noi sperimentiamo qualcosa di simile: di fronte a una decisione difficile, a un evento grave, li accogliamo presi dall’entusiasmo e dal coraggio che ci viene dato nei momenti duri della vita. Dopo un poco di riflessione però si fa strada un tumulto di pensieri e sperimentiamo la difficoltà di accettare ciò a cui abbiamo detto sì.

  • questa è la prova vera e propria”.

Leggendolo mi sono detto:

  • e cosa c’è di più duraturo della morte?
  • è un evento puntuale, accade un certo giorno a una certa ora che viene addirittura certificato, ma non si esaurisce in quell’istante, in quel giorno
  • dà inizio a un’assenza, a una lontananza che durerà sempre, finché noi stessi non moriremo.

Quando è mancata mia mamma per ricordarla ho scelto questa frase:“ quando i genitori ci lasciano scompare la prima fila di alberi e il vento poi ci sembra più forte anche e soprattutto se siamo querce “. La morte di un genitore, di un figlio, della persona amata, di un amico fraterno, ci accompagna sempre. Non c’è tregua in questa vita a questo dolore, a questa assenza che sentiamo tanto più ingiusta quanto più improvvisa o prematura. Di fronte alla morte non possiamo barare o essere astratti. E siamo tutti uguali. Non ci avvantaggiano la cultura, il potere, i soldi. Quello che fa la differenza è se crediamo che sia la fine di tutto, l’ultima parola, o un misterioso inizio.Qual è allora il valore della vicenda della signora Santina? E di suo figlio don Gigi? E’ il valore della testimonianza. Per chi crede e per chi non crede. (perché è una presenza che ci interroga)

  • chi crede, e quindi anche per NOI, di fronte alla prova si rischia di rinnegare, di precipitare nel dubbio, scandalizzato dalla potenza del dolore,
  • chi crede trova nella vicenda umanissima, terrena, come di due persone assolutamente normali, la testimonianza che è possibile vivere la sofferenza e la morte non come una sconfitta ma come una vittoria sofferta.
  • Chi non crede e rischia lo smarrimento delle domande ultime:

è davvero finito tutto?

che ne sarà dei miei figli?

che senso ha il dolore?

Perché nascere, amare, impegnarsi se ci aspetta il nulla?)

trova un’esperienza, una realtà, non un discorso, con cui confrontarsi, con cui paragonarsi. Il nostro tempo ha bisogno di testimoni della porta accanto, non di discussioni nei talk show televisivi dove chi ha la lingua più sciolta può imporre un’idea e due minuti dopo il suo contrario. Non c’è una teoria migliore delle altre sulla morte, su come non farci schiacciare. Ci sono storie di uomini e di donne che ci spingono a guardare alla proposta cristiana come a qualcosa di interessante per la nostra vita. Questo spiega perché Papa Francesco è tanto amato. Perché ci insegna che non basta ripetere delle formule, anche giuste. Bisogna stare vicini agli uomini. Santina e don Gigi sono stati  e sono vicino a tanti, come dimostra il nostro essere qui stasera.

 

Voglio chiudere con una frase di Papa Giovanni XXIII a cui è dedicato l’ospedale e che da quando sono a Bergamo ho conosciuto meglio rispetto allo stereotipo del Papa Buono, come un pontefice e prima ancora come un uomo di grande profondità pur nella semplicità e nella schiettezza che l’hanno contraddistinto.

E’ una frase che si sposa molto bene con il tema della morte e con l’immagine della luce che don Gigi ha scelto tante volte per raccontare la vicenda della mamma:

“Per un cristiano anche il sole che tramonta permane sfavillante” .

Ecco, l’augurio che ci faccio è che l’amicizia con don Gigi e con Santina ci aiutino a vedere questo sole che rimane, anche dopo il tramonto.

Grazie,

carlo nicora

Il quotidiano romano IL TEMPO ha dedicato all’evento una bella pagina, eccola qui di seguito riportata:

05 Il tempo 10-12-15

 

 

 

Vedi il PDF del giornale cliccando: IL TEMPO_10-12-14