Viaggi di Solidarietà

QUARTO VIAGGIO D SOLIDARIETA’ MISSIONE RESTORING HOPE, GAZA 20-23 OTTOBRE 2014


RESTORING HOPE

MISSIONE UMANITARIA NELLA STRISCIA DI GAZA , 20-23 OTTOBRE 2014

 

scarica il volume che presto sarà in vendita ad Euro 20 dal Titolo:
VERTIGINE DI SOFFERENZA

Rapporto della Missione Restoring Hope in Gaza 2014, Roma 4 Dicembre 2014:
Vertigine di Speranza, la testimonianza dei cristiani della Striscia di Gaza
02 Vertigine di Sofferenza

copertina Vertigine

qui puoi  approfondire le finalità di Restoring Hope

 

INTRODUZIONE
Proprio là dove gli uomini, nel tentativo di evitare ogni sofferenza, cercano di sottrarsi a tutto ciò che potrebbe significare patimento, là dove vogliono risparmiarsi la fatica e il dolore della verità, dell’amore, del bene, scivolano in una vita vuota, nella quale forse non esiste quasi più il dolore, ma si ha tanto maggiormente l’oscura sensazione della mancanza di senso e della solitudine. Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore.

Benedetto XVI
Spe salvi numero 35

Cari Amici, molti avrebbero voluto venire, ma non vi dico le difficoltà incredibili per ottenere i lasciapassare per entrare nella Strscia di Gaza: Siamo alla vigilia di un grande viaggio e vi chiediamo di pregare per noi. Noi vogliamo andare con grande umiltà, come Associazione, ma senza suonare le trombe, ma con l’ide di condividere i disagi i dolori e le difficoltà di una zona di guerra. VI portiamo tutti con noi e per far questo v vogliamo raccontare la nostra missione. Il logo che abbiamo scelto e una N di nazareno o cristiano scritto in arabo (potete vedere nell’album fotografico dei componenti della Missione). Siamo cristiani e partiamo con nel cuore la nostra fede. SE ci volete conoscere basta cliccare sull’album.. Nei luoghi dove vi sarà Wi Fi utilizzeremo FB per comunicare con voi.. abbiamo anche a disposizione un telefonino al quale ci potete raggiungere. VI portiamo con noi soprattutto nei momeenti di preghiera. A Gaza ci sono 120 cattolici e pochi cristiani ortodossi in più. Il 99,9% sono musulmani… vogliamo condividere con loro il dolore e ceracre di ridare sperarnza, restoring hope

N come nazzareno verde

 

 

I. FINALITA’ DI RESTORING HOPE
Il nostro viaggio a Gaza è un viaggio che noi compiamo come ASSOCIAZIONE ONLUS AMICI DI SANTINA ZUCCHINELLI, di cui il sottoscritto è Presidente. La nostra missione si chiama Restoring Hope, Restaurare la speranza. Infatti la seconda finalità della nostra ONLUS è l’aiuto di Gerusalemme e della Terra Santa (cfr Carta d’intenti, nello Statuto allegato a pagina 10). Si veda anche che nel logo sopra riportato Gerusalemme è al centro dei nostri interessi caritativi e spirituali.
Durante la missione nella Striscia di Gaza, che durerà due giorni da martedì 21 a mercoledì 22 ottobre 2014, il nostro intento è eminentemente spirituale ed è quello di condividere e confortare il dolore della comunità cristiana che vive nella città di Gaza. A tale fine le mete del nostro itinerario saranno quattro:

  1. La parrocchia cattolica della Sacra Famiglia ed al parroco  padre Jorge Hernandez ed alla comunità delle suore addette alla parrocchia.
  2. La parrocchia ortodossa di San Porfirio di Gaza per rendere omaggio alla sua vita millenaria (fondata nel 407 Dopo Cristo)
  3. La comunità delle suore Missionarie della Carità e la loro cura dei bambini disabili ed handicappati
  4. L’ospedale luterano di Gaza

ECCO IL BEL REPORTAGE DEL GIORNALISTA  GIORGIO FERRARI APPARSO IL 26 OTTOBRE 2014 SU AVVENIRE

ferrari26102014 ED ANCHE  2ferrari26102014

I membri della nostra Missione umanitaria sono quattro:

  1. LUIGI GINAMI PRESIDENTE DELLA ONLUS
  2. MARCO DE MURTAS NEUROPSICHIATRA, MEMBRO ORDINARIO DELLA ONLUS
  3. CATERINA PIANTONI IMPRENDITORE, MEMBRO ORDINARIO DELLA ONLUS
  4. GIORGIO FERRARI, STORICO CORRISPONDENTE DI GUERRA DI AVVENIRE

Oltre alla condivisione ed al conforto spirituale la nostra missione si propone altresì di individuare alcuni piccoli progetti di solidarietà. Durante i due giorni sono previsti momenti prolungati di preghiera con le comunità che si visiteranno.

II. LINEAMENTI CONCRETI  DI RESTORING HOPE
Ecco alcune linee concrete della nostra Missione.

DOMENICA, 19 OTTOBRE 2014: INIZIO MISSIONE RESTORING HOPE
Roma, ore 20,00 incontro dei membri di Restoring Hope e Briefing Missione

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LUNEDI’ 20 OTTOBRE 2014: PRIMO GIORNO MISSIONE RESTORING HOPE

–         Ore 8,00 Ritrovo a Fiumicino banchi Alitalia per formalità di imbarco per Tel Aviv

–         Ore 10,10: Decollo del volo Alitalia, pranzo a bordo, arrivo a Tel Aviv ore 14,30

–         Trasferimento con auto a noleggio a Gerusalemme al Notre Dame Center. Incontro con Padre Ibrahim, Economo della Custodia di Terra Santa e con Eli per ultimo disbrigo delle formalità dei lasciapassare per la Striscia di Gaza.

–         Partenza per Betlemme, attraversando il muro dove il Papa Francesco si  fermato in preghiera e cena in locale caratteristico a Beith Saur

–         Rientro a Gerusalemme e riposo

20140912_105557MARTEDI’ 21 OTTOBRE: SECONDO GIORNO MISSIONE RESTORING HOPE

–         Ore 7,30 Con auto con targa diplomatica partenza per Ezrel. Al valico l’esercito israeliano controlla i lasciapassare e si attraversa a piedi il confine.

–         A Gaza una macchina ci attende per condurci alla Parrocchia cattolica che sarà il nostro campo base. Gli uomini pernotteranno nella parrocchia, mentre Caterina dormirà dalle Suore Missionarie della Carità

–         Visita alla parrocchia cattolica, alle suore del Verbo incarnato adiacenti la parrocchia (pranzo spartano, la vita a Gaza è senza elettricità e scarseggia acqua)

–         Visita alle suore di Madre Teresa e incontro con le famiglie musulmane dei piccoli bambini handicappati che le suore ospitano. Visita ad alcun quartieri bombardati Celebrazione Eucaristica e prolungata preghiera. Riposo

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MERCOLEDI. 22 OTTOBRE: TERZO MISSIONE RESTORING HOPE

–         Ore 7,00 Celebrazione eucaristica in parrocchia. Visita del quartiere devastato di Shejaiya, ospedale luterano, ed incontro con i feriti dello scorso luglio-agosto (Pranzo)

–         Visita alla Parrocchia ortodossa di San Porfirio, momento di preghiera ecumenico, visita ad altre famiglie colpite dalla recente guerra

–         Ore 18,00 ritorno al valico israeliano, lunghe formalità per il rientro e partenza per Gerusalemme

–         Ore 20,00 Cena con il Nunzio Apostolico (da definire con Padre Ibrahim)

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GIOVEDI’ 23 OTTOBRE: QUARTO GIORNO MISSIONE RESTORING HOPE

–         Ore 7,00 S. Messa di ringraziamento alla Tomba di Santina, presso la Quarta Stazione della Via Crucis, visita e preghiera al Santo Sepolcro

–         Ore 10,00 Ospedale di San Giuseppe. Visita ai sei feriti che l’Associazione ha preso in carico per alcune spese mediche, protocollo d’intesa per collaborazione con l’Ospedale San Giovanni XXIII di Bergamo

–         Ore 11,30 Partenza per Tel Aviv con sosta di preghiera ad Emmaus

–         Ore 15,20 con volo Israir rientro in Italia, l’arrivo a Fiumicino è previsto per le ore 17.55

Per quanto riguarda Israele il nostro Socio Sergio Ferrari Assicuratore ci ha fornito una assicurazione bomba contro …le bombe. Lo ringraziamo di cuore. In Israele e a Gaza avremo due telefonini uno è il mio che potete lasciare ai vostri cari: +972 52 8153628, l’altro lo avrà Caterina a Gerusalemme, in modo che dormendo dalle suore abbia comunque sempre un contatto con noi. Questo foglio vi prego di stamparlo, servirà da foglio di lavoro domenica sera al briefing.
Partiamo con la forte volontà di condividere il dolore dei poveri e degli ultimi e con il grande desiderio di ridare speranza, restoring Hope!

Luigi Ginami, Presidente

VERTIGINE DI SOFFERENZA
Ho fatto fatica a prender in mano la penna ed a scrivere… normalmente è molto più semplice, in Kenya ed in Brasile ed anche la scorsa volta al’ospedale San Giuseppe di Gerusalemme, ho scritto subito, addirittura con l’Ipad in aereo. Questa volta no, sono passati 15 giorni di silenzio e di meditazione perché davanti a quanto abbiamo visto occorre rispetto, occorre riflessione e soprattutto tanta preghiera per non scrivere parole vuote o che vogliono solo impressionare, senza regalare significato a quanto abbiamo potuto vivere e condividere. Parlare della sofferenza di Gaza non è semplice. Scelgo di partire raccontando la storia di un ferito musulmano che gronda lacrime, sangue e infinita sofferenza… E’ la incredibile storia di Muhammad Al Silky.

I. UN’ORRIBILE TESSERA DI UN MOSAICO DI ORRORE
Nel pomeriggio di martedì 21 Ottobre facciamo visita all’Ospedale di Shifa a Gaza City. E’ stata una giornata pesante e la fatica comincia a farsi sentire, ma non possiamo perdere neppure un secondo in questa nostra permanenza nella Striscia di Gaza. Dei feriti della recente guerra rimangono solo due ragazzi, un ragazzo di nome Mohammed Karagia colpito ad una gamba e con schegge in tutto il corpo ferito nel mercato di Shujaiyya, a Gaza e Mahmud Astal al quale un’esplosione vicina ha completamente dilaniato una coscia, ferito invece a Khan Younis, al sud della Striscia di Gaza. E’ difficile ricostruire globalmente la vita nella Striscia di Gaza durante la guerra ed il dopo-guerra: essa è fatta di un mosaico di storie dell’orrore che non si riescono a capire, se non vivendo in questa realtà che a tutti gli effetti possiamo paragonare ad un inferno.
Nel tentativo di mostrare ai nostri lettori cosa è successo a Gaza, scegliamo di ricostruire alcune storie di dolore che possano lontanamente farci provare la vertigine del dolore. Davanti a corpi carbonizzati, al fetore della decomposizione dei cadaveri, alle orrende mutilazioni avviene un fatto fisiologico: si vomita. Con questo scritto vorrei provare a far vomitare, concedetemi l’espressione, il lettore appassionato e con una cuore caldo e pulsante che si avvicina a questo nuovo Monte Calvario chiamato la Striscia di Gaza. Dal Direttore dell’Ospedale di Shifa otteniamo 3 numeri di telefono: sono le storie di tre feriti che qui raccoglieremo, ma di una in particolare vogliamo parlare ed è la vicenda di Muhammad Al Silky, il giovane musulmano che è la nostra prima delle tre visite nella sera di martedì 21 ottobre. Edward ed Anton i nostri due angeli custodi, che ci accompagnano al seguito, iniziano a telefonare… Muhammad è disponibile, possiamo visitarlo subito. La visita alla famiglia di Muhammad Al Silky è la porta per entrare in una delle tante tragedie di Gaza, la possibilità di vedere una delle orribili tessere del mosaico di terrore di cui è composta la Striscia dell’inferno.

II. SAFA, UN PICCOLO RIONE DEL QUARTIERE DI AL SHUJAIYYA A GAZA CITY
Muhammad Al Silky abita a Safa, un piccolo rione del quartiere di Al Shujaiyya, nella parte est della Città di Gaza. E’ sera e dopo una ventina di minuti dall’ospedale di Shifa, attraverso vicoli e strade poco illuminate perché l’elettricità a Gaza vi è solo poco ore al giorno, percorrendo strade dilaniate dai bombardamenti in cui i palazzi altro non sono che un grande cumulo di macerie, giungiamo alla zona del Mercato di Al Shujaiyya, tristemente conosciuta per la battaglia scatenata dagli israeliani il 19 luglio 2014. E’ la zona del mercato ortofrutticolo che sorge su una delle strade principali della città. Giungendo nei pressi del mercato, sulla nostra destra, su di una leggera salita si apre una piazzola, mentre a sinistra della grande strada vi sono i resti di un deposito incenerito da una bomba israeliana il 30 luglio scorso.
La piazzola è buia, Edward parcheggia la nostra auto sulla destra della piazza e così alla mia sinistra posso vedere un muretto alto circa tre metri sul quale trovano posto scritte che inneggiano alla rivolta contro gli israeliani ed a favore di Hamas. Davanti a noi sorge un edificio la cui cima è visibilmente danneggiata da una esplosione, mentre a destra, nel luogo del parcheggio delle nostre due automobili, un palazzo malandato e colpito da proiettili chiude la piazza che guarda sulla strada principale. Questa piazza è il teatro del massacro che verremo a conoscere dal racconto del nostro caro Muhammad Al Silky, avvenuto alle 15 del giorno mercoledì 30 luglio. Sono passati due mesi e venti giorni. Noi non sappiamo ancora di essere nel luogo di un truce massacro avvenuto contro tre autoambulanze e che ha provocato la morte di 17 persone e il ferimento di 150 abitanti di Gaza.
Lasciata la macchina, un ragazzo ci viene incontro uscendo dalla porta della palazzina la cui sommità è stata devastata da una esplosione e sulla facciata della quale è disegnato un sole giallo che sta nascendo contornato da scritte arabe. Saliamo tre gradini ed alla nostra destra si apre una piccola stanza la cui oscurità è illuminata tenuamente da una lampada led di colore blu. “Salam Halekum” pronuncio il saluto musulmano portandomi la mano destra sul cuore. Caterina si è coperta la testa con un velo, Marco il nostro neuropsichiatra entra dopo Caterina ed infine entra anche Giorgio, reporter della Missione, inviato da Avvenire. Presento i membri della nostra missione Restoring Hope a Muhammad. Muhammad è un giovane musulmano dell’età di circa 30 anni è vestito con una tuta blu ed è mutilato nella gamba destra. L’uomo dal viso piccolo ha una barba corta e due occhi neri spenti, uno sguardo vuoto con il quale accenna ad un sorriso formale di ospitalità. “Muhammad, siamo venuti a Gaza non prima di tutto con l’intento di aiutare, ma con quello di essere aiutati a capire quello che è avvenuto durante i cinquanta giorni della guerra appena terminata, con il desiderio di interrogare il vostro dolore e di farlo parlare, di condividere con te angoscia e sofferenza… vorremmo almeno essere un segno di speranza, quella speranza che si accende quanto si vede qualcuno interessato alla nostra storia, bene, Muhammad noi siamo interessati alla tua storia, tu sei importante per noi, la tua vita e quella della tua famiglia è importante per noi. Ci puoi raccontare cosa è successo?” Le nostre parole sembrano incuriosire l’uomo e il suo desiderio di parlare è forte e prepotente! Sembra che il raccontare sia un modo per lenire il proprio immane dolore. Muhammad vuole parlarci, vuole raccontare il suo inferno… non vuole nulla, desidera solo raccontare: non chiede elemosina, ma reclama il diritto di raccontare l’inferno, l’orrore, il terrore, la nausea di una sofferenza che spacca il cuore ed il cervello, prima che frantumare le ossa e lacerare la carne. Egli è convinto, come diceva Heistein che “La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire.”

III. SCOLPIRE IN OGNI SILLABA LE FERITE DEL TERRIBILE GIORNO
Muhammad inizia il suo racconto a voce bassa, ma chiara e decisa. Parla lentamente quasi scolpendo in ogni sillaba le ferite di quel terribile giorno: mercoledì 30 luglio alle ore 15. Il suo racconto parte in modo imprevisto e narra di cinque piccoli bambini i suoi tenerissimi figli: Abdit Karm di sette anni, Adel Aziz di tre anni, Abdel Alek di cinque  anni, Omnina di otto anni e Lina di nove anni. Il giovane padre mutilato scandisce lentamente i loro nomi, quasi una litania e nel frattempo ci indica su di un grande quadro appeso nella camera i primi cinque bambini. “Questi sono i miei figli e quel pomeriggio, approfittando di una tregua concessa dagli israeliani di quattro ore giocavano sulla grande terrazza di questa casa…
Quella maledetta giornata si era aperta con un massacro, una fregata israeliana dal mare aveva bombardato una scuola dell’ONU e aveva massacrato ventitre donne e bambini; altre carneficine erano avvenute a  a Tuffah, a Khan Younis, e di nuovo a Gaza City con la strage al mercato ortofrutticolo”. Mentre Muhammad racconta cerco di appuntare il nome dei bambini, cerco di capire dove vada a finire il discorso del nostro ferito; voglio leggere il suo animo, la sua mente… ma mi sento così ridicolo e stupido davanti ad un mistero così grande che mi si sta svelando davanti agli occhi. Muhammad continua il suo racconto: “Nel primo pomeriggio di quella giornata calda e limpida, come la nostra terra ci sa regalare, dopo l’annuncio di una “tregua umanitaria”, la gente è uscita di casa. Ha iniziato a fare file interminabili davanti ai forni che hanno panificato in fretta, prima della scadenza fissata per le sette locali, di corsa al mercato ortofrutticolo del vecchio quartiere ottomano per fare qualche provvista che si è affollato di colpo. E io ho concesso ai miei figli di salire sulla terrazza a giocare all’aria aperta illuminata dal caldo sole estivo; non mi fidavo a fare uscire i piccoli nel suk, li ritenevo più sicuri sulla grande terrazza che fa da tetto alla casa… Mi illudevo, era il luogo più insicuro ed esposto sul quale farli giocare. Senza preavviso gli F16 israeliani sono ritornati, sentii un sibilo brevissimo e prima che il sibilo dell’aereo si fosse allontanato la catastrofe avvenne… i micidiali aerei da combattimento israeliani scaricarono quattro bombe sulla folla che si accalcava attorno ai banchi del mercato seminando la morte.
In un primo momento esco di casa per vedere cosa sia successo, esco proprio sulla piazzetta in cui voi avete parcheggiato la macchina… una nube di fumo nero si alza dalla parte del mercato: un grande deposito è stato centrato da una delle quattro bombe, gli amici che abitano dall’altra parte della città mi hanno detto che il fumo si vedeva addirittura là: una densa colonna di fumo nero… Mentre guardo la densa colonna di fumo nero, giro la testa verso l’alto e il ghiaccio mi entra nel cuore, mi sento venir meno. La terrazza di casa è avvolta dal fumo e urla provengono da quella parte dell’edificio. Con la forza di una tigre salgo le scale… divoro i gradini tre alla volta: ho fiato da vendere. Giungo sulla terrazza e vedo la devastazione totale i miei figli ed altri bambini giacciono a terra in un lago di sangue, chi colpito alle braccia, chi alla testa, chi alle gambe… Guardo verso la piazzetta e vedo giungere un’autoambulanza per i primi soccorsi al mercato della verdura e della frutta, e subito dopo giunge una seconda. Corro… scendo, i soccorritori dovranno ascoltare il mio grido disperato: i miei cinque bambini stanno agonizzando, solo un rapito intervento li potrà salvare… Mentre scendo come un fulmine le scale, nel mercato vi è un maledetto inferno. Sembra che il demonio in persona si sia manifestato creando un vortice di dolore, morte e sangue. Sedici persone morte sul colpo e più di centocinquanta giacciono ferite. Un fumo nero gravava come una cappa, fiamme, i feriti evacuati su barelle di fortuna verso un paio di ambulanze, su auto sgangherate, furgoni, carretti, e tuk-tuk. Altri giacevano ancora in strada, incoscienti, mentre da orrende mutilazioni il sangue usciva a fiotti sul pavimento putrido mescolandosi a quello dei polli in vendita. Coperte e stracci stesi sui corpi senza vita”.
Mentre Muhammad racconta provo i brividi, gli occhi si riempiono di lacrime che nascondo furtivamente, Marco fissa con attenzione il giovane musulmano cercando di far tesoro della sua professione di neuropsichiatra e di leggere nella freddezza di questo racconto tutti i risvolti del danno psichico subito dal nostro caro Muhammad al quale tutti ci stiamo affezionando. Caterina tace e nei suoi occhi leggo sconcerto e amarezza, leggo una grande pena per il racconto difficile da credere e da seguire rimanendo impassibili. Giorgio, il giornalista di Avvenire, si guarda attorno e cerca di camuffare il suo disagio scattando qualche fotografia e cercando di esercitare su di sé quella impassibilità propria di un reporter che deve registrar alcuni fatti, ma che non si vuol far coinvolgere. Ritornati a Roma scriverà poi un bellissimo pezzo su Muhammad… e la sua straordinaria vicenda di dolore.

IV. DIO DOVE SEI?
“ Gigi – prosegue Muhammad – questa è la prima parte della tragedia. Ascoltate cosa succede… Mentre nella piazzetta giunge una seconda autoambulanza, io scendo le scale, mentre alcuni soccorritori salgono per portare soccorso ai bambini, io scendo per invitare più persone a risalire con me sul terrazzo e portare i soccorsi. Fuori dalla porta di casa regna il caos l’acre odore del fumo si mischia a quello della carne umana cotta dalla combustione delle bombe sganciate sulla folla… E’ un andirivieni di medici, infermieri e pompieri; la bomba che ha colpito il deposito rischiava di colpire una pompa di benzina che deve essere messa in sicurezza. La piazzetta di Safa si affolla di giovani che intendono prestare il loro aiuto ai feriti. La piazza si riempie, giunge una terza autoambulanza mi avvicino per chiamare il medico, vicino a me ci sono tre reporter Rami Rayan, fotogiornalista di 23 anni che lavorava per il Palestine Network for Press and Media e Mohammed al Nour al-Din al-Deiri e Sameh al-Aryan. Sto prendendo con le mani la portiera dell’autoambulanza quando succede il finimondo: un primo colpo dell’artiglieria israeliana colpisce la piazza, poi un secondo, un terzo e un quarto colpo da un blindato. Sento un fortissimo dolore alla pancia, alcune grosse schegge mi hanno dilaniato l’addome , il sangue esce da una orrenda ferita che mi disgusta a guardare…  il rosso del sangue e il suo calore, la carne viva, non mi fanno accorgere che ho un altro problema, non sento più la gamba destra perché… è semplicemente spappolata dalla seconda esplosione! Ed il braccio destro è completamente compromesso da ferite lacere… Il dolore aumenta non riesco a controllarlo urlo aiuto, chiedo pietà per me e il misero residuo umano in cui mi hanno trasformato in un millesimo di secondo e …dentro l’angoscia per i miei piccoli…”
Mentre Muhammad racconta, dalla porta che dà sulla cucina entra un giovane ragazzo, parente del disperato uomo ferito si chiama Salim Qadoum ed ha 26 anni ci offre qualcosa da bere, ma in verità nessuno di noi ha voglia di bere dopo l’ascolto di Muhammad. Mentre il giovane musulmano dagli occhi neri parlava mi entrava dentro nella mente e nel cuore una domanda compulsiva che martellava pesantemente il cuore e la mente impedendomi di coordinare un ragionamento: “Perché Dio permetti questo? Ma dove sei finito? Ma questo luogo è senza Dio! Questo luogo è il dominio di satana. Dove sei Signore?” Questo grido di senso soffoca il racconto di Muhammad, che sembra sfumare dietro questa prepotente e intransigente domanda… Mi raccolgo furtivamente in preghiera mentre scrivo. “Vieni Santo Spirito…” Tocco il crocifisso che porto al collo che contiene il sangue di Santina, tocco la medaglia di S. Michele Arcangelo benedetta dal Card. Comastri prima della partenza… Recito Ave Maria e mi rimetto in ascolto… Salim prende la parola: “Le persone erano nella strada e nel mercato, per la maggior parte donne e bambini. Improvvisamente oltre 10 colpi sono arrivati sulla zona, sul mercato, sull’area turcomanna, e vicino al distributore di benzina”, io ho assistito all’attacco e sono rimasto illeso. “La piazzetta che avete attraversato era piena di sangue, tutti erano feriti o morti. Le persone avevano perso i loro arti, gridavano chiedendo aiuto. Era un massacro. Ho vomitato quando ho visto quello che è successo. Vicino a Muhammad in sangue, vi era il cadavere del repoter fulminato dall’esplosione, brandelli di carne, rivoli di sangue… abbiamo iniziato a cercare di distinguere i morti dai feriti… Quando vedi sangue, carne, interiora, ossa spezzate, piedi e mani spappolate, svieni. Poi ti riprendi e una euforia incredibile si prende gioco di te, corri a destra e a sinistra, ma in verità non sai cosa stai facendo, non ti interroghi. Corri da uno, riconosci un altro, pulisci il sangue da una fronte, cerchi di ricomporre una ferita in modo sciocco… e  attendi i soccorsi che tardano ad arrivare…” Salim, non ce la fa più a parlare e lascia il piccolo salotto che è diventato ancora più cupo con questa testimonianza incredibile.

V. UNA BOMBA ESPODE NEL CUORE
Ci guardiamo negli occhi, sono pochi istanti di silenzio: Giorgio è rientrato nella sala, Marco attonito guarda Muhammad e Caterina ha una mano sugli occhi. Siamo esterrefatti dal racconto che sembra non avere fine… perché Muhammad continua a raccontare l’orrore. “ Gigi guarda quel quadro… Muhammad mi indica la persona più anziana al centro. Mustafà era il nome di mio padre di 53 anni. Intrappolato da un dolore atroce all’addome, alla gamba che poi mi amputeranno ed al braccio, con fatica riuscivo a muovermi e il mio pensiero era che i miei cinque bambini si fossero salvati. Interrogo i soccorritori che scendono dalla terrazza per prestare a noi i primi soccorsi, la risposta è secca e asciutta: sono tutti morti, per quello siamo scesi così velocemente. Al dolore delle ferite orrende si aggiunge l’orrendo nero dolore della morte dei miei figli, gli occhi si riempiono di altre lacrime, non per il dolore delle ferite esterne, ma per la bomba esplosa nel cuore con la notizia lapidaria della morte dei miei piccoli bambini.
Come un pazzo, perché il dolore rende pazzi, tronco il ricordo dei miei figli e del mio dolore… mi estraneo da esso, come se il corpo andasse per la sua strada e la mia mente per un’altra e una angoscia febbrile e compulsiva mi fa esplodere in un urlo: Papà!! Papà!! Papà!! Grido come un forsennato concentro nel grido tutto il mio dolore che esplode e si confonde con altre urla di dolore nella piazza. Scopro con gli occhi il corpo inerme di Mustafà a ridosso del muro del palazzo, completamente sventrato, vicino a lui giace morto anche mio fratello Laum con i due piccoli figli Ola di 11 anni e Malek di sette: i miei due nipotini. E così amici potete vedere che in quel quadro appeso alla parete vi sono i dieci parenti che ho perso in quella terribile giornata!”
La mia penna continua a riempire fogli, ma il mio cervello non ne può più. Storie come queste hanno il potere di rigirarti come un pedalino, di farti sentire nudo ed impotente. Ho viaggiato tanto nella mia vita ma in un posto così non ero mai stato, una situazione così, anche dopo sei pagine che la descrivo rimane un mistero, nasconde qualche cosa di incomprensibile.

VI. USCIAMO FUORI, ED È NOTTE!
La famiglia che visitiamo è musulmana e noi siamo cristiani devo rispettare il codice del Corano non salutare le donne, non pregare e salutare cortesemente. Poi mi viene in mente Papa Francesco e anche San Francesco. Anche se è musulmano Muhammad è la Carne di Gesù. Mi avvicino a Lui e chiedo di vedere le sue ferite. Scopre il moncherino e provo ribrezzo… respiro forte, mi vinco e do un bacio sonoro a quella plastica di pelle non ancora del tutto attecchita. Scopre il ventre e un enorme ragno rosso sembra essere sulla sua pancia. Una ferita lacera cicatrizzata in malo modo con un enorme sutura centrale, faccio fatica a non vomitare respiro ancora più forte, lo faccio per due volte e poi mi vinco e do due baci su quell’orrenda ferita… ed infine è la volta della mano e del gomito. Mi siedo vicino a Muhammad sul divano e lo abbraccio teneramente per alcuni istanti. Lo guardo dritto negli occhi: un guizzo di gioia e riconoscenza mi pare di vedere. Forse quei semplici gesti valgono più di mille parole e di molto denaro. Si è fatto tardi, cortesemente salutiamo secondo l’usanza musulmana e Caterina regala una manciata di minuti alle donne che corrono a salutarla.
Usciamo fuori, ed è notte! La piazza sembra ora parlarci, sento nelle narici l’odore del sangue e del fumo che il 30 luglio aveva bagnato ed oscurato quella piazza. Vi è un profondo silenzio, un silenzio fatto di grida sopite, di lacrime, di sangue e di morte… il Calvario non è a Gerusalemme, oggi è a Safa in questa piazza lavata dal sangue di vecchi, giovani e bambini…