Viaggi di Solidarietà

SECONDO VIAGGIO DI SOLIDARIETA’: KENYA 11-17 AGOSTO 2014


SECONDO VIAGGIO DI SOLITARIETA’: KENYA, DIOCESI DI MALINDI, 11-17 AGOSTO 2014

regala un sorriso in Kenia 2

 

«Scelsi di essere per gli altri: i poveri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati, che ero bambina e così sono stata e confido di continuare fino alla fine della mia vita. Volevo seguire solo Gesù Cristo. Null’altro mi interessava così fortemente: Lui e i poveri in Lui. Per Lui feci una scelta di povertà radicale». Così Annalena Tonelli, nata a Forlì nel 1943, racconta la sua scelta di missionaria laica tra i poveri dell’Africa, dove approda nel 1969. Molte sono le opere da lei attivate in Kenya e in Somalia. Proprio a Borama viene uccisa il 5 ottobre 2003, di sera, mentre torna a casa, dopo trentacinque anni vissuti a testimoniare la radicalità evangelica in terra musulmana. A questa donna Santina particolarmente si ispirava e nel 2005 in un nostro viaggio a Gerusalemme, mentre Lei era ancora totalmente sana, parlava con ammirazione di Annalena Tonelli. Nel mio primo libro su Santina dal titolo Roccia del mio cuore è Dio parlo proprio del rapporto di mia Madre con Annalena. (Cfr. Roccia del mio cuore, pp. 16-17 Ed Piemme, 2005). Apriamo il diario con il ricordo di questa martire della terra di Africa e ci lasciamo guidare dal suo esempio: la terra che visiterò non è molto lontana da Borama, e le milizie di Al Shabab diventano sempre più violente anche in Kenya. Ma è la povertà radicale della Tonelli che assumiamo come chiave di lettura il nostro incontro con i poveri

 

I. INTRODUZIONE. LA MIA AFRICA

È stata una giornata di lungo viaggio, ma di grandissima emozione. Mi sono svegliato nel cuore della notte alle ore 3,30 ho celebrato la messa e dopo aver chiuso la valigia alle ore 4,30 sono partito per Fiumicino. Da Roma a Parigi e poi con un ottimo volo da Parigi a Nairobi. Ritirate le valigie ora mentre scrivo sono in aereo per Mombasa. È difficile descrivere profondamente i sentimenti che provo. È stata a una giornata di viaggio preghiera e riflessione e sono giunto in una terra affascinante. La capitale Nairobi non è molto distante dal Kilimangiaro. Mi viene spontaneo domandarmi: ma la Santina è stata qui? Il panorama è davvero affascinante, la natura è meravigliosa e ha il singolare potere di riportarti con più prepotenza vicino a Dio. Ecco un primo elemento del viaggio gustare fino in fondo le bellezze che Dio ci dona e cercare di aver un contatto più immediato con la bella natura africana. Ma il cuore del viaggio non è costituito dalla natura e dagli animali, ma dall’ incontro con le persone, con i poveri nel tentativo di aiutare una popolazione che non ha neppure da vivere. In questi giorni avrò diversi importanti incontri con missionari e sacerdoti locali, con il il Vescovo locale della Diocesi di Malindi, S.E. Mons. Emmanuel Barbara. Incredibile… Sto ancora viaggiando con nel cuore la Santina che continua a fare del bene ai poveri e continuo a scrivere con rinnovato slancio e impegno questa situazione di aiuto agli altri. È una sera fresca qui a Nairobi, l’Europa è lontana e all’ arrivo a Mombasa mi mancano ancora 2 ore di strada per giungere a Malindi. L’aeroporto è piccolo, ma funzionale, a piedi ci dicono di giungere al nostro aereo. La vicenda di Santina continua a vivere in questi tentativi di bene che in questo primo anno abbiamo fatto. Attravero skype ho parlato con Denys a Salvador De Bahia… Anche Olinda dal Perù sono riuscito a sentire. Sembra che i poveri si chiamino tra di loro e si aiutino reciprocamente. Grazie Gesù di questa bella esperienza in terra di Africa. La notte africana è piena di stelle e nel cuore vi è la pace di aver fatto tutto quanto era possibile per Santina e ora di vivere fino in fondo la nostra avventura di ONLUS. Con me ho il romanzo La mia Africa che può aiutarmi ad entrare bene nel clima di questa terra incredibile ed ammaliante. Continuo a scrivere nell’appassionato desiderio di stampare nella testa questi momenti bellissimi, come già in passato era avvenuto per i viaggi di Santina. Gli stimoli di riflessione sono molto attuali proprio in questi giorni qui in africa l’epidemia di Ebola è diventata preoccupante sono paesi africani non lontani o confinanti. Come confinanti sono i paesi in cui vi è il terrorismo islamico. Penso ad esempio al terribile gruppo di Boko Haram oppure alle milizie integraliste somale di Al Shabab. In questo anno diversi viaggi sono stati contrassegnati dalla coincidenza con eventi finiti nei media. Iniziando da Salvador de Bahia, gli occhi del mondo erano puntati su quella terra per i mondiali di calcio che divennero occasione per parlare dei problemi del Brasile; poi fu la volta di Israele e la Giordania con il problema tristemente famoso di Gaza e dei profughi siriani ad Anjara al nord della Giordania; ed ora l’ Africa con Ebola e i gruppi integralisti islamici. Un viaggio sicuramente stimolante… Devo chiudere Ipad si parte….

 

II. LA CAPANNA DI NUR

Arriviamo al piccolo villaggio composto tutto da semplici capanne fatte di argilla, legno e frasche delle palme di cocco, attraverso una strada polverosa di terra battuta; in Africa, appena si lasciano le poche principali strade di scorrimento, le strade divengono piste di terra battuta con colori che sorprendentemente cambiano in pochi chilometri a seconda della venatura della terra e si modulano su tre tinte, quello bianco, quello giallo e quello rosso della creta e del ferro. Per l’europeo questo cambio di colori è sorprendente le tinte cambiano nella terra, ma cambiano anche nel cielo e la notte, a motivo della totale mancanza di luce, si trapunta tutta di un incanto di stelle… Ma chi veramente fa da padrone nella natura africana è la vegetazione. Alberi sconosciuti con tonalità di verde incredibile sono la base sulla quale si dipingono i vivaci colori dei fiori dal profumo intenso. Giallo, rosso, azzurro… tutte le tinte si ritrovano nei fiori grandi e di diversa qualità. Anche gli animali popolano la vegetazione lussureggiante: formiche dalle grandi dimensioni, farfalle dalle ali dipinte, scimmiette che si arrampicano sugli alberi… Questa è l’Africa, a pochi chilometri dalla costa dell’Oceano Indiano.

Quella che visitiamo questa sera è la prima famiglia che incontro ed è musulmana. E’ la capanna di Nur, nome che significa luce, ed è la mamma che ci ospita. Poi ci sono tre splendidi bimbi Sofia, Mawlid e Pili. Pili, la piccolina con delle deliziose treccine, mi viene incontro allegra dalla sua capanna. Ha un logoro vestitino bianco con alcuni disegnini blu, che giunge fino alle ginocchia. Il bianco del vestitino mette in risalto ancora di più la bellissima pelle nera e i due enormi e profondi occhi. Rimango per alcuni istanti incantato a guadare Pili. La bimba ci conduce così davanti alla porta di questa abitazione misera fatta di argilla e frasche.

La giovane donna ed i bambini non hanno scarpe e ,guardando all’interno delle abitazione, percepiamo che non hanno neppure vestiti, ma poveri stracci. Mi raccolgo interiormente voglio vivere bene questo incontro, sto per incontrare la carne di Gesù nei poveri… per prima cosa chiedo al padre missionario di spiegare come vive questa famiglia, il vecchio missionario dalla barba bianca inizia a parlare presentando questa famiglia. Mentre registro il video sono catturato dai grandi occhi di questi bimbi di una bellezza incredibile. Sono timidi e la mamma è anche un po’ diffidente…. La bontà del padre e della suora la rendono un po’ più sicura perché, pur essendo musulmani, conoscono la scuola dove le due bimbe Sofia e Pili frequentano. Mentre il padre spiega la vita povera della capanna dove la donna cucina una specie di polenta con il mais che macina, la scena si movimenta e gli occhi dei tre bambini appaiono più fiduciosi e si aprono al sorriso. Nur mi rivela sempre di più il suo sguardo profondo e triste al tempo stesso. Sembra fissare con ansia e una sorta di invincibile preoccupazione i propri bimbi. Che futuro potranno avere? Il padre non c’è. La scena mi coinvolge, mi seduce ed ogni dettaglio della disagiata vita della dolcissima e sfortunata famiglia provoca in me una onda fortissima si sentimenti e di riflessioni che faccio fatica a dominare per poi ordinare in una riflessione matura e compiuta. Questa è davvero povertà estrema! Manca luce acqua cibo vestiti, TUTTO. È una a povertà radicale. Il primo sentimento che provo è rispetto. La povera donna ha uno stile di dignità, una dignità che incute rispetto. Sono i suoi grandi occhi vuoti di futuro che esigono rispetto della sua vita, sono i quattro stracci che indossa portati con grande semplicità. Sono i suoi bellissimi bambini che le fanno corona e che sembrano essere le uniche pietre preziose delle vita, dove anche nella miseria il figlio rimane una grande sono di Dio da accogliere con venerazione. Mentre il padre missionario spiega per il mio video promozionale, i piccolini riprendono a giocare, poi si fermano mi guardano stupiti, guardando la telecamera, la macchina fotografica e non capiscono a che cosa serva. Ormai la famiglia mi ha conquistato, mi hanno preso il cuore in pochi minuti. Il tempo passa ed i colori del tramonto africano allietano la serata equatoriale. Il sole risplende ancora sopra le palme di noce di cocco che crescono quasi a proteggere e riparare la piccola e fragile costruzione di argilla e frasche. I colori della natura sono bellissimi i fiori dai vivaci colori disegnano attorno alla capanna un paesaggio bellissimo e se il cuore è rapito dalla triste storia di Nur Pilli Sofia e Mawlid e della loro capanna, gli occhi sembrano voler godere della natura vergine in cui la vita della famigliola si inserisce. Chiediamo di entrare nella capanna. Pili mi da la sua piccola manina nera e mi accompagna. L ‘ interno è semi buio e le luci della sera non sono sufficienti a illuminare l’ interno suddiviso in tre parti: una stanza dove dormono i bambini, una stanza per Nur e un luogo dove accogliere gli ospiti. L’ ambiente è tetro e squallido, non vi sono mobili, non vi sono finestre solo alcuni stracci che dovrebbero essere i pochi vestiti dei bimbi e della donna, ma soprattutto non vi è acqua e non vi è elettricità le lampade al cherosene servono per illuminare la notte, ma rendono l’aria acida e irrespirabile. La sera con il tramonto del sole la vita della capanna termina e la mattina all’alba inizia. Il sole è ancora oggi il padrone indiscusso di questa vita di povertà. Prendo in braccio uno per uno i bimbi e mi commuovo interiormente. Sono dolcissimi, ti fissano intensamente con le loro grandi pupille e poi il loro visino si apre al sorriso dei loro bianchissimi denti. Questi bimbi neri sembrano delle bambole delicatissime e bellissime. La vita di questa miseria secondo il padre si aggira più o meno sui 15 euro al mese!!!! La cifra è per me un capogiro… Se penso che in Italia alcune persone tengono cani e gatti con spese complessive che arrivano anche ai 500 euro mensili mi dico che con quella cifra spesa per uno stupido gatto si può far vivere per un mese più di una trentina di famiglie di 4 persone ciascuna cioè la sorprendente cifra di 120 persone. Mi sento mancare: un gatto in Italia spende in un mese più di 120 persone in Africa. È assurdo, anzi è un peccato mortale. Il video è terminato e mostro a Nur il risultato della registrazione, appare divertita nel rivedersi ripresa nel piccolo video… Il sole sta tramontando ed è ora di tornare a Malindi. Ma è per me il momento più difficile non ho il coraggio di dire ciao a quella famiglia che ho incontrato per una mezz’ora o poco più. Ho la sensazione di trovarmi davanti a qualche cosa di misterioso e sacro… Di divino. È proprio vero queste persone sono la carne di Gesù . Cosa posso fare per loro? Il padre chiama, guardo negli occhi Nur e leggo la sua disperazione, guardo negli occhi i bimbi e vedo la loro ingenuità e loro diventano un potente specchio in cui vedo la mia vita cretina piena di vuoto, di superfluo e di stupido. Essi sono esigenti con me! Come puoi tu mangiare bere acqua potabile, avere elettricità, buon cibo caldo e lenzuola pulite questa notte quando loro rimarranno qui senza tutto questo?

Chi sei tu per poter vivere così bene e chi sono loro da dover vivere così male? Questa domanda mi tormenta profondamente. Do un grande bacio ai bimbi e mentre la nostra macchina lascia il villaggio due grosse lacrime furtivamente mi scendono dagli occhi inizio a pregare il rosario per Nur per Pili Sofia e Mawlid. Vorrei incidere nella carne e nella pelle questi nomi come un tatuaggio indelebile per non dimenticare. Piango e non mi vergono di piangere, anzi mi vergogno di non aver pianto fino ad oggi e mi prometto di non dimenticare i loro nomi, ma di scriverli nel cuore. A casa la sera celebro la messa e nell’umile pezzo di pane che si trasforma in Gesù capisco molte cose, capisco che devo cambiare e che devo iniziare …. Non so da dove partire, ma forse proprio dal capire che i poveri sono la carne di Gesù e che oggi proprio abbracciando loro io ho abbracciato Gesù. Riuscirò a dormire questa notte pensando a Pili Sofia Mawlid e Nur dormire in quella povera capanna? E se me li portassi tutti quattro in Italia? Si accontenterebbero di 15 euro al mese molto di meno di una gatto!

 

 

III. LA CAPANNA DI STELLA

Padre Alexandro vive in una regione sperduta del Kenya dove presta il suo servizio come missionario da alcuni anni. Nella vicinanza della missione lasciamo la jeep tutta sporca di sabbia rossa e ci avviciniamo ad una povera capanna. Un nugolo di bambini molto piccoli, di cui uno non sa ancora parlare, mi vengono incontro festanti…I l colore della pelle bianca li incuriosisce molto, un piccolino invece piange, due bellissimi lacrimoni scendono dai suoi occhioni… Li conto uno per uno, sono otto: bambini e bambine dai vestiti colorati ma logori e sporchi, scalzi. Una bimba mi tira per i calzoni e vuole essere presa in braccio. La accontento subito e metto la sua guancia contro la mia, la bimba mi abbraccia bisognosa di affetto. E’ una scena dolcissima e commovente. Anche io mi commuovo profondamente. Il piccolino inciampa, cammina a stento… ha smesso di piangere e anche lui ora vuole essere preso in braccio. Prendo tra le mie mani bianche il suo faccino nero, nero e provo un brivido nella schiena i suoi occhi, la sua dolcezza si sovrappongono al ricordo degli occhi e della dolcezza di Santina. Incredibile provo gli stessi sentimenti di toccare una persona pura, povera, fragile ed indifesa ma soprattutto innocente. Il cuore di quel bimbo di forse un anno e mezzo di vita è uguale a quello di una vecchia di 87 anni morta quasi due anni fa. I tratti che ci avvicinano a Dio sono identici in tutte le persone buone. Dio scrive, e la sua calligrafia è costituta dalle persone che sono povere, fragili, indifese e pure. In queste caratteristiche vi è la calligrafia inconfondibile di Dio, che scrive nella storia con questi meravigliosi colori. Delicatamente prendo in braccio il bimbo e chiedo al missionario che età abbia. Padre Alexandro mi dice che in questa terra non si sa ancora quando uno nasce, nessuno prende nota della data di nascita. Nel frattempo il piccolino ha appoggiato il suo braccino sulla mia spalla ed anche la sua testolina si appoggia alla mia spalla. E’ dolcissimo. Guardo il suo vestitino, calzoncini corti grigi sono letteralmente a brandelli, la maglietta arancione è piena di strappi ed è completamente lurida da un impasto di sabbia rossa, fango, macchie di unto. Le braccia sono piene di punture di insetti e gli occhi sono sofferenti. Mi rendo conto di cosa voglia dire Papa Francesco quando definisce queste persone la Carne di Dio. La festa dei bimbi continua e chiedo a loro il nome, che ricopio meticolosamente in un pezzo di carta che conservo nella Bibbia come una reliquia. Si tratta di Baraka, Ivuli, Maringa, Fatima, Amina, Zawadi, Riziki e Janeth. Sono tutti cristiani. Mentre ci avviciniamo alla capanna ci viene incontro la mamma di alcuni di questi bimbi, si chiama Stella, una donna sul cui viso la fatica ed il dolore della vita non hanno tolto i tratti di bellezza della razza africana ch vive nella regione. La donna si chiama Stella e non deve avere più di 24-25 anni; è epilettica e la malattia la condanna a una vita di minorità. La ragazza si perde nel nugolo di bimbi che mi fanno festa. Gentilmente prepara per me e per Padre Alexandro un piccolo sgabello e mi invita ad entrare a visitare la capanna. Anche in questa capanna la miseria è la padrona di casa, ed occupa ogni angolo. Una vecchia bicicletta, una lampada a cherosene spenta, un fagotto di vestiti raccolti in un telo di plastica, un materasso lercio, il luogo del fuoco dove cucinare, due piatti di plastica uno verde e l’altro bianco. La plastica non si rompe e i bambini possono usarli tranquillamente senza problemi di distruggere qualche cosa che poi non ci sarebbe più… Dal tetto fatto di frasche si vede il cielo azzurro a motivo di alcune aperture, si vede che il tetto deve essere completamente rifatto, ma non ci sono i mezzi. Usciti dalla capanna trovo Padre Alexandro che sta conversando con due persone anziane è il signor Lucas che soffre di grave patologia cardiaca con sua moglie Sera che è completamente cieca. Oltre alle gravi difficoltà della miseria endemica scopro che vi è anche una terribile mancanza di salute. I bimbi sporchi hanno la pancia gonfia per infezioni intestinali, i loro piedini sono mangiati da un insetto che si chiama Chigoe (Tunga penetras), le braccia e le gambe morsicate da zanzare ed insetti, HIV che si contagia bimbi innocenti di 6 mesi. E Stella è epilettica. Tutto ciò mi sembra dire dire: Benvenuti all’inferno! Benvenuti in un posto dal quale fuggire, da dimenticare, un brutto sogno… forse andare in terapia da uno psichiatra per il sogno terribile in cui ti sembra di essere coinvolto. Ho fatto un tuffo nella miseria e la miseria mi è entrata nei pori della pelle, senti la puzza della miseria, vedi i tristi sgargianti colori della povertà, ascolti il pianto, vedi le lacrime e ti dici. Ma dove è finito Dio? Questa capanna è un inferno. È un posto immondo… Cosa hanno fatto di male questi bimbi e io cosa ho fatto di bene? Perché loro nella miseria, nella povertà, nella fame e nella malattia, io posso invece badare ad una buona salute, al cibo… Tra me e loro vi è un abisso. Il punto di contatto non può essere mezz’ora di tempo. La miseria ti entra dentro e crea delle domande inquietanti per la vita. Diceva Annalena Tonelli: Ai piedi di Dio noi ritroviamo ogni verità perduta, tutto ciò che era precipitato nel buio diventa luce, tutto ciò che era tempesta si acquieta, tutto ciò che sembrava un valore, ma che valore non è appare nella sua veste vera. Mentre abbracci un bimbo ridicolizzi te stesso, i tuoi falsi problemi, la tua superficialità e cogli nel tuo vivere una ammasso di cose che sono false, inutili e demoniache. Mentre dentro di me faccio queste considerazioni i bimbi sono tutti attorno a me come un nugolo. C’è chi mi tira i pantaloni, chi prende la maglietta che mi tira per un braccio ed il piccolino mi slaccia le stringhe delle scarpe incuriosito. Come sono incuriositi della macchina fotografica e della cinepresa. La terra rossa e la misera capanna danno risalto alla verde vegetazione ed al cielo azzurro, colori meravigliosi. Guardando verso il cielo capisco che quella capanna non è un inferno, ma che invece è l’ingresso del paradiso. Quel luogo che io scarto, fuggo, e definisco come inferno è il luogo in cui il Salvatore del mondo, Gesù è venuto a nascere. Il Signore a Betlemme non nasce forse in una capanna simile a questa?

Allora questa famiglia, questa misera capanna non è un inferno, ma è il luogo in cui Dio dimora, altro che inferno,quella capanna, quelle persone sono un Tabernacolo di Dio. La sera, in un momento di tranquilla e prolungata preghiera riesco a scoprire che quella è la logica della incarnazione, la logica che anima Gesù, che anima i santi e che anima anche Papa Francesco, come questo missionario che mi è seduto vicino. Tra pochi giorni io tornerò in Italia, ma Padre Alexandro continuerà a vivere qui… provo ammirazione per lui e mi dico: la mia vita deve cambiare! Raccogliamo i bimbi in un cerchio con i due anziani Lucas e Sera e con Stella e insieme recitiamo un Padre Nostro. In modo molto cretino, da perfetto stupido occidentale italiano, commosso estraggo dalla tasca un biglietto di 5 euro. Perché lo faccio? Mi renderò conto dopo di essere stupido, ma penso se questa gente vive con 15 euro al mese, almeno con 5 potrà vivere 10 giorni. Consegno a Stella la banconota, mi guarda con uno sguardo perso… prontamente interviene Padre Alexandro: “Monsignore questa donna nella sua vita non ha mai visto gli euro e soprattutto non ha mai visto una quantità di denaro tale!” Li riprendo con delicatezza e li porgo al missionario… forse è meglio che li gestisci tu. Padre Alexandro sorride e con grande tatto e delicatezza, come se non fosse roba sua, li mette in tasca e lentamente spiega alla ragazza cosa sia. Stella, man mano il padre parla, si riempie di stupore, i suoi occhi sono increduli… si avvicina a me e stringendomi forte la mano mi dice: “Padre grazie per tutto il mais che potremo comprare con questa grossa somma; Dio la benedica”. E’ commossa la giovane donna, le regalo un bacio sulla fronte e, dopo avere salutato con rispetto gli anziani, abbraccio tutti i bambini che ci accompagnano fino alla Jeep. E’ ora di tornare a Malindi e la pista è davvero malconcia…

 

IV. LA CAPANNA DI DANIEL

20140816_150046

Sabato 16 agosto, con Jimmy, l’educatore del Centro che opera nella Diocesi di Malindi con il quale abbiamo iniziato un programma di adozioni a distanza, lascio la strada principale e iniziamo una lunga marcia a piedi per giungere alla capanna di un bimbo che si chiama Daniel. La natura è un incanto: felci, palme da cocco, mango, fiori colorati è un’armonia di colori da paradiso terrestre. Il viottolo in mezzo alla foresta è percorso da ragazze che portano sulla testa taniche di 30 litri di acqua per le necessità della propria capanna. In questa terra così bella l’acqua non vi è; anche se è un bene prezioso. Non vi è elettricità, non vi è acqua… ritornando in Italia mi ricordo l’incanto di poter abbassare l’interruttore e di avere luce la sera. Una meraviglia che purtroppo scordiamo, un gesto meccanico che diamo per scontato, ma che invece ha dietro di se una evoluzione e un impegno economico inimmaginabile. L’altra grande meraviglia che mi ha colto è quella di aprire il rubinetto e di veder scendere acqua, e questo già è una grande cosa, ma ancora di più il miracolo cresce quando penso che questa acqua non è sporca, ma perfettamente potabile: non è acqua cattiva che ti causa infezione nella pancia, con grandi dolori e gonfiori terribili. Infine questa buona acqua è anche calda o fredda! Triplice miracolo in un semplice gesto di aprire un rubinetto: acqua, acqua che è potabile, ed infine acqua che è anche calda o fredda a seconda delle necessità. Tutto questo pensavo già in Kenya mentre con Jimmy camminavamo lungo il sentiero africano. Ogni tanto dietro le felci si scorgevano le capanne di un villaggio di trenta, quaranta persone. Fumo di un fuoco sul quale si cucina… le donne sono intende a zappare la terra, alzano il viso e ci salutano. Il paesaggio è un incanto e mi dico guarda dove mi ha portato Santina! In un Paradiso terrestre per cogliere le povertà, per crescere umanamente e spiritualmente. Attraverso questa ONLUS Santina continua davvero ad essere viva. Affretto il passo, Jimmy è abituato a camminare e la distanza tra me e lui cresce. Siamo diretti a visitare la capanna di uno dei bimbi che entra nel nostro programma di adozione a distanza.

Il sentiero lascia intravvedere in fondo una capanna. E’ una capanna misera e sembra proprio la capanna del piccolo Daniel. E’ difficile per me descrivere cosa succede nel mio cuore. La piccola e misera capanna affaccia su un piccolo spiazzo dove sorge un alberello; sotto quell’alberello vi è una curiosa panchina, si tratta di un tronco di albero tagliato a metà ed appoggiato da una parte si un altro ciocco di albero. All’ombra dell’albero vi è un piccolo bimbo di circa quattro anni, bellissimo, ma completamente solo, sembra abbandonato. E’ li tutto solo, nella capanna non vi è nessuno, mi si stringe il cuore e mi dico, ma io… lo porto via! Cosa fa qui un piccino tutto solo e indifeso? Daniel riconosce Jimmy e lo saluta festosamente, mentre rimane un po’ perplesso per il colore della mia pelle bianca. Jimmy mi presenta. Ora vedo bene il bimbo ha delle ciabattine blu ai piedi, un paio di jean sporchi e bucati, anche la camicetta ha perso tutti i bottoni ed è quindi totalmente aperta davanti, logora e sporca. Il bimbo appare trascurato, ma la situazione che Jimmy mi racconta è incredibile. Prendo in braccio il piccolo e me lo stringo forte e l’educatore inizia il racconto. “Monsignore, il bimbo è sieropositivo, sono in quattro fratellini, tutti piccoli e rimasti orfani. Il bambino sembra avere tra i tre ed i quattro anni. Il padre ha contaminato la moglie con HIV che aveva contratto in relazioni con altre donne. La mamma di Daniel si è poi ammalata di AIDS e recentemente è morta”. Jimmy mentre mi parla mi mostra una carta sulla quale sono raccolti i dati del bimbo forniti dalla mamma, che ormai è morta. Si riconosce un’impronta digitale con inchiostro verde… perché la mamma era analfabeta. Il bimbo che tengo in braccio è tenerissimo, lo guardo e mi sorride. Mi dico, ma che colpa ha di essere già infetto di HIV alla tenera età di tre o quattro anni? Lo bacio forte e ripetutamente come facevo con Santina. Ed ancora le medesime reazioni, Mamma con quei baci si apriva ad un sorriso solare ed il piccolo Daniel spalanca il volto ad un sorriso bianchissimo e pieno di dolcezza. Questo bimbo chissà quanto ha sofferto… Daniel mi prende per mano e mi fa entrare nella piccola e buia capanna. I quattro bambini vivono qui con la nonna Katsaka Kenga, una signora anziana per l’Africa, che ha sulle sue spalle i quattro bambini orfani perché il padre è fuggito e non si sa più nulla di lui. Jimmy mi dice che la nonna è una signora sensibile e buona che ha conservato in se il profondo spirito dell’Africa di servizio e generosità. La nonna non c’è perché sta svolgendo un lavoro saltuario. All’interno della capanna non vi è neppure un letto e Daniel mi indica come luogo dove dorme un cantuccio della capanna dove è steso un pezzo di plastica… la parete, fatta di rossa argilla screpolata lascia vedere da ampie fessure l’esterno; dunque il piccolo di notte non è ben riparato. Jimmy mi mostra la lampada al cherosene, la accende e subito si produce un fumo nero irrespirabile; in un altro angolo la parvenza di una cucina, un piccolo sacchetto bianco che contiene sale, un piatto, un cucchiaio ed un mestolo di legno lurido. Questa è la reggia di Daniel, in questa capanna vive questo angelo dagli occhi tristi e pensierosi, ma che un bacio trasforma in grandi diamanti di gioia. Daniel ormai ha preso familiarità con me nel tempo trascorso; mi prende per mano e mi conduce dietro la capanna, dove vediamo una specie di doccia, mentre non vi è traccia di servizi igienici. Ma il momento che più mi coglie di sorpresa è quando il piccolo Daniel nel campo vicino alla capanna con le sue manine nere lentamente sposta gli arbusti e le felci ed emerge una croce bianca di legno. Vi è scritto sopra Grace Kenga N.19.8. 2013 M.16.3.2014. Il bimbo con i grandi occhi mi fissa intensamente e con la manina mostra la croce… Chiedo a Jimmy: “Ma chi è?” “Padre l’AIDS ha ucciso la mamma di Daniel, ma prima di uccidere la mamma il mese scorso, aveva già ucciso la piccola figlia che è morta alla tenera età di sette mesi, infettata questa volta dalla mamma che l’aveva partorita. L’HIV si è trasformata poi velocemente in AIDS perché qui questi bimbi non mangiano e le difese immunitarie calano lasciando spazio alla malattia”. Rimango attonito davanti alla tomba della piccola bimba a pochi metri della capanna abitata da quattro orfanelli e da una nonna che anch’essa è sieropositiva per aver accudito amorevolmente la figlia. Chiudo gli occhi e mi raccolgo in preghiera davanti a quella tomba e ancora una volta, per l’ennesima volta in Africa non riesco a trattenere le lacrime. Piango, se ne accorge il piccolo e se ne accorge Jimmy che mi lascia solo con Daniel, lui mi tira i calzoni vuole venire in braccio e io voglio prenderlo in braccio, lo stringo forte, forte e singhiozzando bagno la sua faccina con le mie lacrime; lui utilizza un lembo sudicio della camicia per asciugarmi le lacrime io lo riempio di baci e chiedo a Gesù di illuminarmi su che cosa devo fare. E’ una provocazione potente, tutto questo mi scava il cuore e mi pone domande nel cervello che sembra impazzito. Jimmy ritorna con il fratellino di Daniel, mi asciugo con il fazzoletto il volto ed il ragazzetto, fratellino di Daniel ha nelle mani un disegno. Si tratta di un lavoro che il piccolo ha fatto con i pastelli alla missione dalla quale arriva e felice mi regala il suo capolavoro. Torno così in Italia con due tesori preziosi una è una camicia strappata di un bimbo di nome Charles e l’altro è il disegno fatto in una capanna da un piccolo bimbo africano dal cuore grande. Penso proprio che al piccolo Daniel: daremo per lui aiuto con una adozione a distanza! Magari me lo prenderò proprio io… Con 300 euro in un anno posso metterlo in un asilo e così non rimarrà più a casa da solo ed inoltre potrò dare a Lui un pasto caldo al giorno ed impedire che l’HIV presto diventi AIDS e un’altra croce bianca troppo presto venga piantata, come nel caso del piccolo angelo di Grace, volata in cielo con AIDS alla tenerissima età di pochi mesi.

Mentre scrivo lontano dal villaggio di Daniel, qui a Roma penso a Daniel che questa notte dormirà in quella capanna su un pezzo di plastica e con spifferi di vento attraverso l’argilla screpolata. Guardo al disegno del fratellino e recito un’ Ave Maria… La mia sera si chiude con il pensiero ed il cuore in quella squallida capanna, dove la lampada al cherosene illumina la notte, dove quattro piccoli bambini dormono con la loro nonna, mentre fuori a pochi metri la croce della sepoltura di Grace ricorda che la morte in Africa è proprio fuori dalla porta, ma forse lo è anche in Italia solo che … non ce ne accorgiamo. “Signore proteggi quei piccoli quattro angeli, dai a loro un futuro di speranza”. Adottare un bimbo a distanza come Daniel, ecco quello che si può fare per l’Africa, per il Kenya, per il piccolo villaggio di Msabaha. Perché non adotti un bimbo a distanza, tu che hai letto fino a qui?

 

V. LA CAMICIA LOGORA DI CHARLES

20140818_154205

Il più bello e commovente regalo che mi sono portato a casa dal Kenya è una piccola camicia. E’ una camiciola a mezze maniche di un tessuto abbastanza robusto con un disegno di righe grigie e chiare. E’ un vestitino per un bambino di 5 anni. La camicia è chiusa, e due bottoni grigi abbottonano il collo. La caratteristica di questa maglietta è che è completamente logora, piena di strappi e buchi, in particolare uno strappo profondo sulla manica di destra. Ho dovuto lavarla a 100 gradi nel tentativo di pulirla. Apparteneva a Charles Safari, abbiamo fatto uno scambio: una camicia nuova rossa per la sua maglietta consunta, consumata e lurida. Ho voluto portarmi in Italia una pezzo concreto di miseria… un segno visibile di non aver sognato, di non essermi drogato avendo allucinazioni. Ogni volta che la guardo il cuore mi si riempie di amarezza e mi ritrovo a darle un bacio, per non dimenticare , per non trascurare, per non minimizzare Charles e la sua storia e la storia di tutti i bimbi che ho incontrato in Kenya. Sapete? Ho provato a fare una cosa; ho chiesto a tre amici che avevano bambini di 5-6 anni di far indossare loro questa camiciola e vedere come stavano… magari prendere una fotografia… Con un sorriso splendido, o con un secco no, o cambiando discorso, nessuno dei tre ha accettato. Nessuno ha accettato di far indossare per alcuni minuti uno straccio come quello!

La povertà ci fa schifo. E’ proprio vera l’intuizione di Annalena Tonelli: Il drago, la bestia, l’essere infame è prima di tutto l’avidità, la sete di denaro e di potere. Charles non ha tenuto quella maglietta per alcuni minuti soli, ma per settimane, mesi,forse un paio di anni. La camicetta logora era l’unico indumento del piccolo: estate o inverno, notte o giorno: non pigiama, non indumenti del giorno, non vestiti per lo sport, non per il caldo ed il freddo… per la pioggia o il sole, per ripararsi dal vento; ma solo questa logora, lacera e sporca camicia, e questo piccolo non è una eccezione, no questo bimbo è la regola, la regola di una radicale miseria che coinvolge la stragrande maggioranza dei bimbi del Kenya.

Il piccolo segno che mi sono portato a casa lo porto con me agli incontri di promozione per il Kenya che ho iniziato ed è molto più eloquente delle storie che racconto o che scrivo, ma per il momento ancora nessuno disposto a mettere al proprio bambino la camiciola logora e stracciata. “Mio figlio, padre, non è uno straccione!” Invece Charles sì? …e perché? Dobbiamo riflettere davanti a questo pezzo di miseria che rifiutiamo o che lasciamo in Kenya: dobbiamo spalancare le porte alla miseria e farla nostra; solo così diventeremo più maturi ed equilibrati nella nostra vita caotica, dove non sappiamo più distinguere il superfluo dal necessario, oppure ancora in modo più grave preferiamo il superfluo al necessario.

Questo avviene per la tua vita? Rispondi con onestà a te stesso. Sono gli identici interrogativi che mi poneva Santina con la sua straordinaria vita. Questa camiciola apparteneva al piccolo Charles ed alla sua vita di grave, severa sofferenza.

Charles più o meno oggi ha 5-6 anni. La madre è fuggita di casa ed abbandona il bimbo che rimane con il padre, ma il papà sfortunatamente ha un grave incidente in moto, si sottopone ad un delicato intervento chirurgico e rimane disabile. Ad aggravare il problema è che Charles appartiene ad una serie di 7 fratellini o meglio fratellastri che il padre ha fatto con tre donne diverse, dalla prima donna fuggita il padre ha avuto Charles ed altri due bimbi; da una seconda donna han avuto altri due figli ed infine da un’ultima donna ne ha avuto altri due, un totale di sette figli conosciuti. La zia Christine, sorella del padre,  i prende cura dei bimbi per forza, ma mostra di non amarli e vive una profonda discriminazione tra i propri figli naturali e questi altri bimbi figli del fratello.

Il piccolo Charles viene portato alla missione per un aiuto, ma la zia dice che il bimbo non necessita della scuola perché è sordomuto. Jarka conduce il bambino all’ospedale e lì vi è la drammatica costatazione che nelle orecchie del bimbo sono stati infilati semi di un albero che l’hanno reso sordo. Con un doloroso lavaggio i semi vengono rimossi, ma si causa una forte infezione che viene curata ancora oggi con antibiotici… il bambino è visibilmente sofferente, gli orecchi sono pieni di pus. Charles ha avuto un danno psicologico ed è isolato, non sa parlare e spesso si isola dal gruppo degli altri bimbi del centro di Jarka e Jimmy. I suoi occhi sono tristi anche per un altro doloroso problema. I suoi piedini sono stati aggrediti da una cimice che si chiama Chigoe (Tunga penetras). Questa cimice entra attraverso il tessuto molle delle unghie e poi depone le uova, tali uova si schiudono e si nutrono della carne all’interno del dito scavando e svuotando dal di dentro la carne. Si deve incidere e liberare il dito dalle micidiali uova, ma tale operazione spesso provoca per la cattiva igiene una infezione al piedino e così il bimbo ha i suoi piedini torturati da infezioni e dal Chigoe.

Prendo delicatamente il piedino di Charles, guardo quelle escoriazioni sporche, guardo quei tagli profondi nelle dita e sulla pianta dei piedi. Fanno ribrezzo nel primo momento. Il bimbo si tocca il piedino dolente e mi spalanca lentamente i suoi bellissimi occhioni pieni di un oceano di sofferenza. La carne dei piedi è attraversata da piaghe, da pelle morta e ricresciuta sulle escoriazioni, la terra ricopre quelle piaghe delle sue piccole dita. Mi chino fino ai suoi piedini per vedere meglio, ma non riesco a vedere bene, le lacrime mi velano gli occhi e una di esse cade proprio sul suo piedino, per nasconderla mi avvicino e do un grosso bacio nella speranza di non far male a quel piedino con il gesto passionale. Rialzo lentamente la testa e mi sento riempito di una formidabile energia. Charles dammi la tua camicia, voglio regalartene una nuova, ma voglio portare a casa la tua storia, voglio aiutarti, voglio non dimenticarmi di te!!! Dei tuoi piedini, delle tue orecchie, della tua sofferenza, essa mi cura, mi rende ridicolo. Sono sicuro che nel giudizio finale Gesù mi chiederà conto se sono stato capace di far fruttare il mio incontro con te. Piccolo Charles… in quel giorno meraviglioso e formidabile, davanti a Gesù prendimi per mano e ricorda a Lui il mio stupido bacio, ma dato con il cuore. Sono sicuro che Gesù gradirà il tuo essermi avvocato e protettore e per quel solo bacio mi sconterà una enorme quantità di peccati che si scioglieranno come la neve al sole, per la tua intercessione piccolo angelo di luce. Ed anch’io voglio vivere la mia vita ritornando al mio bacio ai tuoi piedini martoriati ed impegnarmi più a fondo nella mia vita cristiana.

I giorni seguenti, mentre facevo la valigia a Malindi per tornare in Italia, piegavo con estrema cura lo straccetto di camicia di Charles. Ed il ricordo andava al bimbo di 5 anni che aveva toccato il mio cuore e lo aveva risanato. Strinsi forte al petto quella camiciola e la riempii nuovamente di baci, per liberare il cuore dal superfluo e per capire il necessario della vita. Ogni giorno la sera prima d dormire ho davanti agli occhi questa logora camicia e prima di dormire le do un bacio, mi sembra di baciare il piccolo Charles ed avverto il caldo e sereno sorriso di Santina che dal cielo protegge i suoi piccoli e protegge il proprio figlio. OK, Santina adotterò anche questo bambino… 300 Euro in meno ma un sorriso in più nel cuore.

 

VI. UN TESORO PREZIOSO

Questo è il grande cartellone che i bambini hanno inviato a Papa Francesco

A tale cartellone il Papa ha risposto attraverso le parole di Mons. Peter Wells, Assessore della Segreteria di Stato che qui sotto riportiamo


l futuro del Kenya, sono convito, è nelle mani dei suoi bambini. Nel viaggio abbiamo voluto scegliere 10 bambini tra le storie più difficili e di sofferenza e le abbiamo volute portare in Italia per affidare a qualche persona generosa e buona che le voglia seguire. Vorremmo rendere vera la frase della missionaria italiana Annalena Tonelli che dice: In tutta la vita non c’è cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi.“Due di queste storie sono quelle di Charles Safari (5-6 anni) e di Daniel Kenga (4 anni) che abbiamo raccontato nei paragrafi precedenti. Ma abbiamo ancora otto bambini con storie di grande sofferenza alle quali possiamo fare del bene. Sono un tesoro prezioso e l’ascolto e l’accoglienza di queste storie fa bene a noi. Ci mettiamo in ascolto della loro vita in atteggiamento di preghiera e riflessione.

 

RISIKY è il nome di una bellissima bimba di sette anni nata, il 12 aprile 2007, per la quale vorremmo pagare l’asilo e un pasto caldo al giorno. In famiglia sono sei fratellini, ma il padre Kahindi Alex è alcolizzato. Prima che il padre fosse dipendente dall’alcol, la famigliola viveva in una relativa serenità. Con l’avvento di questo vizio, anche la mamma di Risiky cambia vita ed inizia a vendere alcool, compie lavori saltuari e per arrotondare la donna compie furtarelli. Il padre è un uomo violento e picchia i figli, non porta alcuno stipendio in casa chiedendo alla moglie  di darle da mangiare. La povera capanna cade letteralmente a pezzi e i bambini vivono in uno stato di miseria e grave trascuratezza.

 

BRYAN ED HALUWA sono due fratellini. Li abbiamo voluti adottare insieme. In famiglia sono sette fratelli e sono orfani. La situazione è molto triste perché la mamma analfabeta è morta di AIDS due mesi fa; si chiamava Kahaso . Alla morte della madre il padre è scappato dalla famiglia. E’ il fratello più grande, che si chiama John, che potrebbe prendersi cura di loro, ma va a scuola ed ancora deve terminare la sua formazione, dunque il suo aiuto è insufficiente. La madre morta di AIDS era molto buona e si prendeva cura anche dei figli che il marito aveva avuto da una precedente relazione con un’altra donna. Contagiata dall’HIV, trasmesso dal marito, la donna si riduce ad uno scheletro per l’AIDS ed all’età di 42 anni muore. Gli zii e le zie dei sette fratelli non hanno alcuna voglia di aiutare i ragazzi. I bambini dormono dove possono. Ad aggravare la situazione avviene il seguente fatto. Il Centro per venire incontro alla miseria dei ragazzi costruisce una piccola capanna, ma i ragazzi sentono voci all’interno della capanna e tutto il villaggio dice che per la magia nera la casa è infestata dal demonio e quindi nessuno vi abita. Padre Ilary, il parroco di Msabaha presto andrà per una benedizione nel tentativo di far rientrare i ragazzi in casa. Purtroppo la mentalità che si lega alla magia nera è ancora molto presente in questi villaggi africani fuori dal mondo.

In questa situazione drammatica ecco la storia del piccolo Bryan che ha solo 3 anni, ma già è sieropositivo. Ci siamo prima di tutto preoccupati di aiutare il più piccolino dei sette fratelli, sia perché è il più piccolo, sia perché è sieropositivo. Per Bryan sarà importante andare all’asilo, mangiare un pasto caldo e ricevere le medicine. Fino a qui tutto bene, ma il bimbo è troppo piccolo per andare da solo all’asilo perché ha solo tre anni, ed allora parlando con Jarka abbiamo deciso di aiutare, con una seconda adozione a distanza anche Haluwa che ha nove anni e può recarsi alla scuola secondaria ed al tempo stesso accompagnare il piccolo Bryan malato. Pensiamo così che con due adozioni a distanza possiamo essere un aiuto significativo per il gruppo dei sette ragazzi orfani e senza una fissa dimora.

 

EMMA E SONIA sono due gemelline nate l’11 settembre 2009. In Africa è abbastanza facile incontrare ancora oggi bambini di cui non si sa con precisione quando sono nati, perché non vi è ancora la cultura di trascrivere in un registro la data di nascita del bimbo. Di queste due bellissime bimbe sappiamo non la data di nascita, ma la data in cui sono state messe in incubatrice. La storia delle bimbe è molto triste. Sarebbero dovute morire se una persona di cuore non le avesse raccolte e portate in un ospedale. La mamma non stava bene prima del parto, ma non aveva soldi per il trasporto in ospedale. La gravidanza si complica e la donna a 16 anni partorisce prematuramente e poi muore il giorno dopo per il sopraggiungere di una infezione. Le piccoline sono premature e le loro condizioni di salute si aggravano, una zia s’impietosisce e le porta in ospedale dove vengono salvate, ma ora vivono in condizioni di assoluta precarietà in una capanna che cade a pezzi, vengono seguite in qualche modo dalla nonna che si chiama Kanze Masha Sirya. Per le due piccole e incantevoli gemelline dal sorriso di paradiso vogliamo pagare l’asilo e un pasto caldo al giorno.

 

BARAKA è un ragazzo di 15 anni. La famiglia è molto povera e sono quattro fratelli. Il padre è malato mentale e la madre soffre di una grande anemia e di esaurimento nervoso. La madre è tornata solo da un mese dall’ospedale, si fa sfruttare e non può garantire un’entrata sufficiente per la crescita dei quattro figli. Baraka ha terminato la scuola primaria e con questa adozione ci proponiamo di poter far frequentare a Baraka una scuola professionale con la quale aiutare la famiglia. Per il momento i ragazzi vivono in una capanna da amici e conoscenti e non hanno una loro propria dimora. Il ragazzo avrebbe bisogno anche di una bicicletta in seconda mano per andare a scuola.

 

SAHIHI  ha 14 anni. In Africa la donna per avere rispetto ed un qualche valore deve essere madre. Nel caso della madre di Sahihi la donna era mentalmente malata ed incapace di intendere e di volere. I parenti ed i vicini hanno costretto la donna ad avere ben due figli, che ora è totalmente incapace di accudire. La situazione è drammatica perché nessuno si occupa dei due fratelli e di conseguenza con questa adozione a distanza ci proponiamo di pagare per Sahihi una scuola primaria ed un pasto caldo, nell’intento di trovare presto a lui un lavoro con il quale possa mantenere l’altro fratellino.

 

NAOMI è una  bimba che ha solo cinque anni, ma è già sieropositiva. Sono cinque fratellini, gli altri con una adeguata protezione non sono stati contagiati. Il padre infedele ha portato in casa il virus HIV. La mamma si prende cura dei cinque  bambini, anche se sembra che ora il padre sia tornato a vivere in famiglia. Questa bambina più degli altri fratellini necessita di una buona alimentazione per poter disporre di una adeguata difesa immunitaria, essendo affetta da HIV. Con l’adozione vorremo pagare alla bimba l’asilo e un pasto caldo al giorno.

Questa è la panoramica dei 10 bambini che ho portato virtualmente in Italia nella speranza di trovare presto per loro adozioni a distanza che possano veramente cambiare la vita di questi piccoli.

In uno sguardo complessivo sintetico si tratta di due gemmelline Sonia e Emma, scampate miracolosamente alla morte; di due fratellini Haluwa e Bryan, che è sieropositivo. Oltre al piccolo Bryan anche Naomi e Daniel (di cui abbiamo approfonditamente descritto lo situazione nella sua misera capanna) sono sieropositivi. Risiki è una bimba che ha cinque fratellini ed il padre alcolizzato; mentre Baraka e Sahihi sono i due ragazzi più grandi ed hanno rispettivamente 15 e 14 anni, per loro ci proponiamo di poter regalare una scuola professionale con la quale imparare un mestiere ed aiutare i propri fratellini. Per ultimo, tutti ricorderete Charles e il suo grave problema all’udito ed ai piedini morsi, consumati e piagati dal Chigoe.

modulo di adozione a distanza – Kenya

 

VII. COSTRUIAMO UNA CAPANNA

Kazomashia Salina è un donna vedova con cinque figli e un nipotino. Il cognato la costringe a rapporti sessuali ed essendo affetto da AIDS, ora la donna è sieropositiva. Per sottrarsi al cognato la donna fugge con i bambini e rimane senza casa. Per poter mantenere i figli lavorava in una cava di pietra, purtroppo un giorno una grossa pietra le cade addosso e provoca un grave problema polmonare. Viene ricoverata in ospedale e si salva miracolosamente, ma da allora non può più svolgere lavori pesanti e quindi non riesce a mantenere i propri figli. Finalmente incontra un uomo che promette la costruzione di una capanna. Quando l’opera è finita – e la donna con i bambini entra in casa – l’uomo la vuole spingere alla prostituzione, la donna si rifiuta e l’uomo la minaccia in modo molto forte. L’uomo viene ricoverato in ospedale perché probabilmente affetto da AIDS e quindi in questi mesi la donna è relativamente tranquilla, ma all’uscita dall’ospedale si troverà in un grave problema. Salina è sieropositiva, disabile, vedova con cinque figli ed un nipotino a carico. L’ideale sarebbe costruire a lei una casa.

La proposta di Jarka, tutta da verificare, è quella di comperare un piccolo pezzo di terra al villaggio per 300 Euro e poi acquistare il materiale per costruire la capanna che si aggira attorno ad Euro 200. Per la manodopera il Centro penserebbe a realizzare la costruzione. Ho chiesto ad Jarka di verificare bene ogni dettaglio, di inviare un preventivo accurato sulla base del quale faremo i corretti versamenti per un totale di Euro 500. In tale modo Salina ed i suoi figli avrebbe un luogo sicuro dove abitare, con l’aiuto di generosi amici speriamo presto di poter vedere sorgere la piccola capanna.

 

VIII. UNA CISTERNA DI ACQUA DI 10.000 LITRI

 

 


Nel mio soggiorno in Kenya, oltre che visitare le capanne di Nur, Stella e Daniel e conoscere dieci storie di bambini con gravi problemi come il piccolo Charles, o Naomi, Daniel e Bryan sieropositivi, mi sono recato a visitare una bella scuola parrocchiale a Msabaha. Parroco è il Padre maltese cappuccino Ilary, che si trova in Kenya da moltissimi anni. Proprio con Padre Ilary ho visitato la capanna di Nur. Il padre mi ha mostrato una bella scuola che ospita più di 200 bambini. Questa bella scuola dove giungono bimbi sfortunati, molti dei quali con problemi di HIV, è una scuola parrocchiale privata. La struttura è molto bella ed efficiente, ma, come in tutto il Kenya vi è un problema molto serio: l’acqua. Non vi è un sistema idrico che sia in grado di portare acqua nella scuola; bisogna dunque pensare all’approvvigionamento. Un modo abbastanza semplice è quello della raccolta dell’acqua piovana, che scende copiosa nel periodo delle piogge. Il tetto della grande scuola è così predisposto per poter convogliare l’acqua in una grande cisterna di 10.000 litri di acqua. Pensate che in una sola giornata di pioggia torrenziale la grande cisterna si riempie e l’acqua che raccoglie può bastare per 5-6 mesi. L’acqua serve alla pulizia delle aule, all’igiene dei ragazzi ed a cucinare; dunque è indispensabile per poter garantire condizioni igieniche basiche per le attività della scuola. Visitando questa scuola il Padre mi ha mostrato come le necessità dei bimbi siano tante e l’acqua di quella cisterna è insufficiente. Se ne dovrebbe realizzare una nuova e con tale cisterna le condizioni di vita della scuola sarebbe efficienti. Ho chiesto a Padre Ilary di inviarmi un preventivo preciso di spesa. Alcuni giorni fa da Masbaha è arrivato un preventivo, che è pubblicato nel nostro sito per un totale di Euro 1000. Con mille euro si può risolvere un grave problema. Non si tratta di qualche cosa di superfluo, ma di autentica necessità. Come del resto in Africa è sempre la vita.

 

IX. UN’AULA SCOLASTICA A LANGO BAIA


La mattina del 14 agosto, Padre Alexandro viene presto a prendermi la mattina; dobbiamo fare un lungo viaggio fino alla sua missione all’interno della Diocesi di Malindi. Il Vescovo S.E. Mons. Emmanuel Barbara mi ha detto che quella regione è ancora in grave povertà e che è considerata ancora terra di missione e non parrocchia. Padre Alexandro è del Guatemala, un uomo di grande forza interiore che vive con slancio il suo duro e difficile apostolato nella missione. Lasciamo Malindi e la pista percorsa dalla Jeep diviene di colore rosso, un colore che contrasta in modo molto forte con il verde della natura e che crea un impatto molto piacevole sulla vista, un po’ surreale per noi europei. Non sono molti chilometri, sono solo 60, ma le condizioni della strada sono pessime e dunque la velocità è molto ridotta. Ci fermiamo a salutare un padre che vive in un’altra missione, ma non lo troviamo. Costeggiamo la foresta e il paesaggio si fa bellissimo in un gioco di colori che mi inebria. Se ne accorge Padre Alexandro e mi dice: “E’ la prima volta che vieni in questo posto vero?” Rispondo di sì. Ammiro molto la vita di questi uomini tra privazioni e povertà per annunciare Gesù. Man mano che percorriamo la pista i villaggi diminuiscono ed appare un panorama nel quale solo di rado troviamo persone. La missione è proprio in un luogo isolato e i due sacerdoti devono coprire in moto diversi chilometri per raggiungere villaggi di 30-40 persone.

Finalmente, dopo questo difficoltoso tragitto giungiamo alla missione che si compone di una chiesetta, della casa dei padri e delle suore. Vi è anche una piccola scuola che è il motivo della mia visita. Padre Alexandro mi fa salutare un gruppo di ragazze che stanno compiendo attività ricreative nel periodo in cui non vi è la scuola. Preghiamo insieme e poi le ragazze eseguono un canto di benvenuto. Visitiamo la Chiesa, la casa delle suore e la casa dei padri e poi ci mettiamo al tavolo. Il missionario prende in mano un dossier con diverse carte. E inizia a spiegare. “La nostra missione si sta ingrandendo Monsignore e dai villaggi la gente manda volentieri alla nostra scuola i propri figli. Sono musulmani o cristiani, non importa, ma qui ricevono una buona educazione e la gente si fida di noi… Dunque don gigi noi dobbiamo ampliare la piccola scuola e creare almeno altre 8 aule per un costo totale di 70.000 dollari. Sarebbe bello poter finanziare con la nostra ONLUS il nostro progetto. Che ne pensa?” Nella mia testa subito mi piace il progetto ed è convincente e così rispondo: “Sicuramente il progetto è valido ed appropriato, devo farlo valutare dai nostri architetti della ONLUS, ma è molto buono e ben dettagliato. Inoltre la sicurezza è quella di produrre un aiuto non ad un organismo privato, pur buonissimo, ma alla Chiesa locale di Malindi. Questa è garanzia sia di sicurezza, sia del fatto che tale opera possa durare nel tempo in ricordo di Santina e soprattutto nell’intento di ben investire i soldi faticosamente raccolti”. Il Vescovo è maltese e il missionario è del Guatemala e conoscono molto bene l’Africa.

L’unico punto sono i 70.000 Euro. Dopo aver visionato con cura le diverse carte che il padre mi propone, cerchiamo di arrivare ad un accordo. “Padre Alexandro, la nostra ONLUS non ha molti danari, e facciamo fatica a raccogliere elemosine, non voglio fare una promessa superiore alle nostre forze. Penso di portare al Comitato Direttivo la proposta di una prima aula scolastica per il costo di Dollari 8.500, iniziamo da poco e poi, piano, piano possiamo pensare al resto. Ti prometto Padre, che ritornato a casa parleremo seriamente nel Comitato di questo progetto e ti farò presto sapere. Anche la lettera del Vescovo è per noi una grande garanzia di sicurezza!”. Padre Alexandro sembra soddisfatto della mia visita, concludiamo la visita alla missione e poi ripercorrendo la pista mi riporta a Malindi. Nel cuore mi rimane il bellissimo esempio e la forte spiritualità di un uomo che vive una vita dura e difficile, ma che sul volto ha sempre uno splendido sorriso e una grande pace interiore.

 

X. CONCLUSIONE. LA CASA DELLE SUORE NEL VILLAGGIO DI MIDA

Il motivo fondamentale del mio ritorno in Kenya è il precedente viaggio che avevo compiuto con dal 23 al 30 ottobre 2011. In quell’occasione con Santina eravamo stati ospiti della struttura del Temple Point Resort a Watamu e con Padre Peter avevamo visitato il Villaggio di Mida e avevamo preso la decisione di ristrutturare la casa delle suore e così avvenne con l’inaugurazione del Vescovo di Malindi il successivo 21 gennaio 2012. Non avevo ancora avuto la possibilità di visitare i lavori di ristrutturazione, su invito della carissima amica Corinna Raineri, mi sono recato in Africa con l’intento di vedere questi lavori e di progettarne altri in ricordo di Santina.

Nel mio soggiorno nella Diocesi di Malindi ho voluto far visita a due luoghi per me speciali e commoventi: l’albergo di Watamu dove avevo trascorso una settimana con Mamma e la casa delle suore nel villaggio di Mida ristrutturata con i proventi della carità di Santina.

 

La visita alla struttura del Temple Point Resort è avvenuta nella sera del 14 agosto all’imbrunire. Entrato nel grande parco, accompagnato da alcuni amici bergamaschi, il personale dell’albergo mi riconosce e mi chiede di Santina… Appresa la triste notizia ben volentieri mi fanno fare un giro del resort. Il sole sta calando sull’Oceano Indiano, le prime stelle si accendono in cielo, le palme ondeggiano spinte da una leggera brezza serale… Riconosco il tavolo dove mamma pranzava e cenava con una incantevole vista sull’Oceano; è il turno poi del lettino dove prendeva il sole con il suo cappellino bianco e la piscina dove ogni giorno mattina e pomeriggio godeva di brevi ma tonificanti bagni. Il cuore batte più forte per l’emozione, inghiotto saliva per il ricordo prepotente, si sente ancora il profumo di Santina… lo sento io nel mio cuore, lo percepisco io con un balzo indietro nel tempo che il cervello ostinatamente e fortemente compie. Solo un forte respiro mi fa tornare al presente con un nodo alla gola. Lentamente percorro da solo il giardino tropicale dove spingevo la carrozzina arrugginita. Dove sei finita sorriso di luce? Mi manchi tanto Santina dolcissima. Il vialetto mi conduce alle camere dove dormivano Santina ed Olinda e dove dormivo io. Vedo il piccolo giardino fuori dalla nostra abitazione dove la sera, cotti dal sole tropicale, celebravamo la Messa e recitavamo il rosario. Ma guarda come è vuoto per me ora questo albergo! Ma Santina è stata qui? Mi sembrava di rientrare nel passato in un panorama magico che nel presente, pur mantenendo il fascino della natura, si svuotava di significato, perché Lei ormai non c’è più. Chiudo la visita al Temple Point Resort con una profonda gioia nel cuore e l’orgoglio di aver portato fino a qui una persona così malata e disabile. Ora ha un po’ dell’incredibile. Ma il suo passaggio in questa terra, non è stato senza significato. Mia Madre con la sua malattia ha saputo seminare anche in questa terra così lontana dall’Italia e così povera, alcuni semi di solidarietà, che prendono corpo nella ristrutturazione della casa della suore a Mida. La sua vita era paradossalmente uno scarto, era una vita di minorata, ma questa vita tanto scartata dal mondo Santina la viveva con serenità ed anche in questo assomigliava alla Tonelli che diceva: Nella mia vita non c’è rinuncia, non c’è sacrificio. Rido di chi la pensa così. La mia felicità è pura. Chi altro al mondo ha una vita così bella? Riuscire a dire frasi del genere in condizioni precarie, difficili e di sofferenza è qualche cosa di eroico, care Annalena e Santina! Grazie Temple Point Resort, grazie per la bellissime giornate passate qui con Mamma e che hanno saputo seminare futuro, al punto tale che sono tornato qui, per continuare a ricordare Santina, per vedere i frutti della nostra solidarietà…

 

Nella visita al villaggio di Mida ho avuto l’onore di essere accompagnato dal Vescovo Mons. Emmanuel Barbara che mi ha dedicato molto tempo nella mia visita, pur oberato di lavoro pastorale in quanto è anche Amministratore Apostolico della grande Diocesi di Mombasa. Con noi nella macchina vi è anche l’economo diocesano che si chiama Padre Anthony. Il Vescovo è un cappuccino maltese che ha passato tanti anni in Africa, con la sua sapiente guida riesco a leggere correttamente e sapientemente le grandi problematiche della Chiesa di Malindi. Sono stati giorni per me di grande cordialità sacerdotale e di incontro con le realtà pastorali di quella terra tanto diversa dall’Europa.

Giungiamo al villaggio di Mida e, dopo aver visto la nuova Chiesa, visitiamo la casa delle suore, che con grande cordialità ci ricevono e ci offrono un buon te caldo. Sono molto curioso, voglio vedere come siano diventati concreti gli aiuti che abbiamo dato e che provengono tutti dalla sofferenza di Mamma. Il Vescovo intuisce il mio desiderio e con molta disponibilità è Lui stesso a mostrarmi la ristrutturazione della casa: le nuove stanze, le cisterne del’acqua, il giardino con un piccolo portico… fino a giungere ad una bella targa nella quale trovo scritto: In onore di Santina Zucchinelli che con la sua preghiera e sofferenza è per noi un esempio. E’ una targa in plexiglas azzurro scuro con al centro la foto di Santina che tiene in mano un crocifisso di legno per le strade di Gerusalemme. Attorno alla bella targa i bambini della scuola hanno attaccato lettere in carta con scritto: Ecce Ancilla Domini. Il Vescovo mi dice: “Allora sei contento don gigi, abbiamo trattato bene la tua mamma?” Le suore mi guardano, mi guarda Padre Anthony… Sono profondamente commosso e nel mio cuore si sovrappone un’altra immagine tanto dolce: è quella dei bambini attorno alla targa dedicata alla nostra Associazione a Salvador de Bahia, dove a maggio mi sono recato per inaugurare il nuovo Centro del Kilombo. Esprimo tutta la mia gioia con semplici gesti e raccolgo nel cuore queste impressioni forti che portano pace e danno il coraggio di continuare sulla irta strada della solidarietà con i poveri ed i sofferenti insegnatami dall’abisso di sofferenza di Santina nel quale ho nuotato per sette anni.

 

Quella dura e forte sofferenza di mia madre non è stata vana, proprio quella sofferenza era un buon seme che caduto nel campo della sofferenza e della miseria di altri popoli oggi produce i suoi frutti più squisiti, solo per citare gli ultimi: a Salvador de Bahia una cucina per i poveri nella miserabile favela di Novos Alagados, dalla quale abbiamo preso dieci bambini in adozione a distanza e … il Kenya dove ha preso vita una nuova casa per le suore di Mida e dove una cisterna di 10.000 litri di acqua sarà piazzata in una scuola per 200 bambini, dove un’aula scolastica sarà edificata sul dolore di Santina in un luogo sperduto di missione dal nome di Lango Baya, dove infine 10 piccoli bambini sono stati presi in adozione a distanza a Msabaha nel tentativo di lenire la miseria e le sofferenze di questo popolo con il dolore e la sofferenza offerta da Santina al suo Signore per il bene di altre persone. Penso che in questo Santina si sia avvicinata alla splendido esempio di Annalena che aveva fatto sua una frase di Teilhard de Chardin ‘Non sono, né voglio, né posso essere un maestro. Prendete di me ciò che vi aggrada e costruite il vostro personale edificio… io non desidero altro che di essere gettata nelle fondamenta di qualcosa che cresce…».

 

Ed anche a Bergamo sta partendo nell’Ospedale San Giovanni XXIII l’aiuto e la cura alle persone latinoamericane affette dal morbo di Chagas…Si è proprio vero il dolore e la preghiera di Santina non sono state inutili, ma sono stati preziosi talenti fatti fruttare per i poveri e i malati. E siamo convinti che Lei dal cielo accompagna e dirige questi lavori e queste opere che mostrano la verità della frase di San Paolo che quando sì è deboli, allora per la logica del Vangelo, si è davvero forti… e si diventa capaci di regalare un sorriso agli altri!

 


Io impazzisco per i brandelli di umanità ferita, più son feriti, più maltrattati, più di nessun conto agli occhi del mondo, più io li amo. Questo non è un merito, è un esigenza della mia natura.

ANNALENA TONELLI

 

APPENDICE: IL DIARIO DI VIAGGIO

GIORNO MATTINO POMERIGGIO SERA
11 agosto 2014 LunedìVIAGGIO Viaggio: ore 6,55 Roma – Parigi ore 10.55 Parigi – Nairobi ore 23 Nairobi – Mombasa
12 agosto 2014 MartedìMALINDI Arrivo a Malindi ore 4,30 Riposo e pranzo Programmazione attività settimana, preghiera Preghiera e Santa Messa a conclusione della giornata
13 agosto 2014 MercoledìVILLAGGI DI MIDA E MSABAHA Visita con il Vescovo e Fr. Anthony a Mida ed incontro con le suore nella casa ristrutturata con la carità di Santina, visita nuova Chiesa nella Parrocchia. Ritorno a Malindi e pranzo Visita alla Parrocchia di Msabaha con P. Ilary: la scuola parrocchiale. Cisterna di 10.000 litri di acqua. Centro di Jarka. Capanna di Nur Preghiera e Santa Messa a conclusione della giornata.
14 agosto 2014 GiovedìMISSIONE DI LANGO BAYA E VILLAGGIO DI WATAMU Con P. Alexandro partenza per Lango Baya. Visita alla Missione: scuola, Chiesa, casa delle suore il progetto della nuova scuola. Visita alla capanna di Stella Visita a Watamu del progetto della ONLUS: My name is help. Visita al Temple Point Resort dove eravamo stati con Santina nell’ottobre 2011 Preghiera e Santa Messa a conclusione della giornata. Cena con amici di Bergamo
15 agosto 2014 VenerdìVILLAGGIO DI MSABAHA Visita in Episcopio dal Vescovo. Incontro con i bambini della scuola parrocchiale per cisterna di acqua. Incontro con Jarka per i 10 bambini in adozione a distanza. Pranzo con il Vescovo Solenne Messa dell’Assunta celebrata sulle rive dell’Oceano indiano con 40 persone Cena in una casa di amici di Bergamo
16 agosto 2014 SabatoVILLAGGIO DI MSABAHA Incontro con Jarka per progetto adozione a distanza e costruzione capanna. Visita capanna di Daniel Ritorno a Malindi in moto Visita orfanatrofio e benedizione di 120 bambini Preghiera e Santa Messa a conclusione della giornata. Cena di festa a conclusione del soggiorno
17 maggio 2014 DomenicaVIAGGIO Ore 5.30: Mombasa – Nairobi Ore 8,25: Nairobi – Amsterdam Ore 17,10: Amsterdam – Roma Ore 19,25

« di 3 »